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Spartaco n. 83 |
Aprile 2019 |
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Trump e i democratici vogliono un cambio di regime
Imperialisti, giù le mani dal Venezuela!
Abbasso tutte le sanzioni contro il Venezuela!
4 Febbraio - Il palese tentativo degli imperialisti Usa di architettare il rovesciamento del governo populista borghese di Nicolas Maduro in Venezuela è una sinistra minaccia agli operai e ai poveri. Il 23 gennaio, Juan Guaidó, capo dell’opposizione all’Assemblea nazionale, si è dichiarato presidente ed è stato immediatamente riconosciuto dagli Usa, dal Canada e da diversi Stati dell’America latina. Cinque giorni dopo, l’amministrazione Trump, dopo aver dichiarato che “l’opzione militare” restava sul tavolo, ha imposto sanzioni alla compagnia petrolifera di Stato Pdvsa, che possiede gran parte della valuta pregiata in Venezuela. Questa decisione peggiorerà di molto la penuria di cibo e medicinali che colpisce le masse povere delle città e delle campagne e colpirà fortemente l’unica risorsa economica del Paese.
In seguito la Casa Bianca ha dichiarato che i fondi venezuelani all’estero da quel momento appartenevano alla cricca di Guaidó. La Banca d’Inghilterra si è unita a questo taglieggiamento di Stato trattenendo 1,2 miliardi di oro venezuelano. Un coro crescente di imperialisti europei si è associato alla richiesta di “nuove elezioni” per imporre un “cambio di regime”.
Il tentativo degli Usa di rovesciare Maduro è appoggiato sia dal Partito democratico che da quello repubblicano, i cui tentativi di rovesciare il governo venezuelano risalgono al fallito tentativo di golpe contro Hugo Chávez nel 2002. Chávez, come il suo delfino Maduro, era un governante capitalista bonapartista. Ma in questa veste, ha usato le entrate derivanti dal petrolio per finanziare delle riforme sociali che sono andate a vantaggio dei poveri delle città e delle campagne e si è guadagnato l’odio di Washington per aver condannato gli interventi militari degli Usa e ostacolato la loro politica in America latina.
In particolare, dall’epoca di Chávez, Caracas ha stabilito stretti rapporti con l’Avana e ha rifornito il governo stalinista di petrolio, contribuendo a consentire la sopravvivenza dello Stato operaio burocraticamente deformato di Cuba nonostante l’incessante ostilità degli imperialisti Usa. La campagna per cacciare Maduro punta anche ad affamare Cuba, che da quasi 60 anni è sottoposta al blocco economico e a fomentare la controrivoluzione capitalista sull’isola. A differenza del Venezuela, a Cuba la borghesia è stata espropriata in quanto classe negli anni successivi alla Rivoluzione del 1959 guidata dai guerriglieri di Fidel Castro. E’ fondamentale che il proletariato internazionale si schieri per la difesa militare incondizionata di Cuba contro l’imperialismo e la controrivoluzione.
Inoltre, la Casa Bianca di Trump si sta posizionando per colpire lo Stato operaio deformato cinese, che assieme alla Russia capitalista ha concesso crediti a Maduro da quando l’economia venezuelana è entrata in una spirale discendente qualche anno fa. Sia il governo russo che quello cinese hanno espresso la loro opposizione alle provocazioni di Washington. Il governo di Pechino, che viene rimborsato in idrocarburi ha avuto anche delle discussioni con Guaidó, che si è offerto di rispettare gli accordi tra Cina e Venezuela.
Negli Usa la classe operaia ha un dovere particolare di opporsi alle macchinazioni imperialiste della sua classe dominante, che da più di un secolo ha lasciato una scia sanguinosa di guerre, colpi di Stato militari, squadroni della morte ed embargo per tenere l’America latina sotto il suo tallone. L’opposizione alle sanzioni economiche e a qualsiasi intervento militare in Venezuela rafforzerebbe gli operai negli Usa nella lotta contro i governanti capitalisti razzisti a casa propria. E’ interesse dei lavoratori rivendicare anche la cancellazione del debito venezuelano verso gli Stati Uniti!
Per noi marxisti, l’opposizione all’intervento Usa in Venezuela non implica il minimo appoggio politico al governo borghese di Maduro. Mentre con una mano Washington indurisce le sanzioni che affamano il Venezuela, con l’altra la propaganda imperialista addita l’iperinflazione, la penuria di beni di prima necessità e il crollo dell’industria petrolifera come prove del fallimento del “socialismo”. In verità non c’era niente di socialista nella “Rivoluzione bolivariana”. Quando si impadronì delle redini dell’apparato statale capitalista nel 1998, Chávez, un ex tenente colonnello dell’esercito, si trovò dinanzi il compito di ristabilire i vacillanti profitti petroliferi, linfa vitale della borghesia venezuelana. Si dedicò immediatamente a mettere in riga i sindacati dei lavoratori petroliferi e ad aumentare l’efficienza dell’industria di Stato. Queste azioni gli guadagnarono l’appoggio di gran parte della classe dominante, compreso il grosso dell’alto comando dell’esercito, che lo aiutò a tornare al potere dopo il golpe del 2002.
Ma quando Chávez ha iniziato ad usare parte dei proventi del petrolio per alleviare la disperata sofferenza delle masse di poveri, un settore crescente della borghesia, che si era ingrassata intascando i profitti del petrolio, gli si è rivoltata contro. Le sanguisughe dalla pelle bianca come il latte, inorridivano all’idea che un uomo di origine nera e indigena usasse parte dei soldi per finanziare riforme a vantaggio dei venezuelani poveri e di colore. Ciononostante, lungi dal rappresentare un passo in direzione del socialismo, quelle riforme servivano a placare il malcontento degli operai e dei poveri e a legarli ideologicamente al dominio del capitalismo, tramite il Partito socialista unificato (borghese) di Chávez.
Finché il prezzo internazionale del petrolio era alto e il governo sguazzava nei contanti, Chávez poté respingere le sfide al suo governo e restare popolare tra i lavoratori, oltre che tra una parte della classe capitalista che se la passava egregiamente. Ma col crollo del prezzo del petrolio tra il 2014 e il 2016, Maduro si è trovato alle prese con una crisi sempre più grave. Di fronte alle agitazioni attizzate da Guaidó e dai suoi sostenitori negli Usa, Maduro fa affidamento sull’esercito, la forza principale dell’apparato statale. Sia Chávez che Maduro hanno cercato di garantirsi la fedeltà degli alti ufficiali assegnando loro cariche nella distribuzione del cibo, nell’industria petrolifera e in altre attività economiche remunerative. La maggioranza degli alti ufficiali resta per ora con Maduro, anche se un generale dell’aeronautica è passato con Guaidó, il quale, all’unisono con i suoi burattinai imperialisti, chiede ai militari di cambiar casacca.
La scorsa settimana, mentre continuavano le manifestazioni di destra, i lavoratori del petrolio hanno manifestato per condannare qualsiasi golpe appoggiato dagli Usa contro Maduro e per difenderlo. Noi ci opporremo a qualsiasi colpo di Stato sostenuto dagli Usa contro Maduro e diciamo che il proletariato deve scendere in campo nella lotta contro gli imperialisti e i loro fantocci venezuelani. Ma gli operai devono organizzarsi sulla base dell’indipendenza politica dal governo di Maduro e da tutte le forze capitaliste. La classe operaia può guidare tutti i poveri e gli oppressi in una rivoluzione socialista che spazzi via lo Stato capitalista. Questa richiede la direzione di un partito leninista-trotskista dedicato alla lotta per il potere operaio, dal Venezuela agli Usa.
Gli imperialisti giocano la carta della “democrazia”
Juan Guaidó, dicono, ha ragione a rivendicare la presidenza, perché Maduro non è stato “eletto democraticamente” e il potere perciò è passato al capo dell’Assemblea nazionale del Venezuela. In realtà, questo sconosciuto trentacinquenne è stato messo a capo dell’Assemblea a dicembre dai dirigenti del partito di destra cui appartiene, il Partito della volontà popolare. Allevato alla George Washington University di Washington, D.C., Guaidó è un discepolo di Leopoldo López, il capo di Volontà popolare. López, che discende dall’élite venezuelana e si è laureato alla Kennedy School of Government di Harvard, un’incubatrice della Cia, al momento è agli arresti domiciliari.
Guaidó ha preparato la sua sfida al potere recandosi in visita a Washington lo scorso dicembre, prima di andare in tournée nei Paesi confinanti: Colombia e Brasile. La “democrazia” colombiana è guidata da Iván Duque, ultimo di una lunga lista di governanti di destra tristemente famosi per aver terrorizzato e ucciso contadini e militanti di sinistra. Quella brasiliana ha alla sua testa Jair Bolsonaro, ammiratore della dittatura militare di quel Paese tra il 1964 e il 1985. A capo delle operazioni contro Maduro ci sarà anche il vecchio arnese della guerra fredda, Elliot Abrams, recentemente nominato inviato degli Usa in Venezuela. Negli anni Ottanta, Abrams fu un pilastro delle guerre sporche anticomuniste dell’amministrazione Reagan in Centramerica e dell’appoggio alle giunte sanguinarie dell’Argentina e del Cile. Nel 2002, fu tra i principali artefici del fallito golpe contro Chávez.
Se sono i repubblicani di Trump a prendere le decisioni, il Partito democratico partecipa a pieno titolo alla campagna volta a mettere in riga il Venezuela con la cacciata di Maduro. Vi partecipa anche lo statista “socialista” Bernie Sanders, che in un comunicato del 24 gennaio ha condannato Maduro per il “violento giro di vite sulla società civile” e per la sua rielezione “fraudolenta” lo scorso anno, pur disapprovando (con gran delicatezza) la storia di “interventi inappropriati nei Paesi latinoamericani” degli Usa. La richiesta di Sanders di “elezioni oneste” serve solo a nascondere il pugno di ferro dell’imperialismo Usa nel guanto di velluto della “democrazia”.
Da veri partiti dell’imperialismo Usa, sia i democratici che i repubblicani vedono ogni centimetro di terra a Sud del confine degli Stati uniti come loro impero. Probabilmente Sanders pensa che l’invio di truppe Usa in Venezuela potrebbe rivelarsi dannoso e scatenare sommovimenti in tutta l’America latina. Il modo in cui operava l’amministrazione Obama consisteva nell’imporre sanzioni affamatrici e mandare fondi all’opposizione, un approccio che Trump, una volta in carica, non ha fatto altro che seguire. E non si può certo dire che i democratici siano avversi alla “opzione militare” in America latina o ovunque (si pensi all’invasione di Cuba alla Baia dei Porci voluta da John F. Kennedy nel 1961; all’invasione della Repubblica dominicana da parte di Lyndon Johnson nel 1965; al golpe appoggiato da Obama in Honduras nel 2009; per non parlare dei milioni di persone uccise nelle guerre di Corea e del Vietnam).
Socialist Alternative (Salt) e l’International Socialist Organization (Iso), che si presentano come oppositori dell’imperialismo Usa, erano al settimo cielo per la campagna di Sanders per le presidenziali del 2016, cui Salt ha partecipato dichiaratamente. Questi gruppi riformisti hanno anche esultato per l’elezione della parlamentare del Partito democratico Alexandria Ocasio-Cortez, militante dei Democratic Socialists of America (Dsa). Salt e Iso sono la ruota di scorta di Sanders e dei Dsa, il cui obiettivo è quello di riportare i democratici a controllare la macchina dell’imperialismo. Noi della Spartacist League, cerchiamo di spezzare le catene che legano il movimento operaio al Partito democratico e di costruire un partito operaio rivoluzionario che leghi la lotta contro le rapine degli Usa all’estero alla battaglia contro la schiavitù salariata e l’oppressione razzista nel cuore dell’imperialismo.
Il vicolo cieco del populismo borghese
Alcuni riformisti, come il Workers World Party o il Partito per il socialismo e la liberazione, si sono schierati a sostegno del Venezuela continuando ad appoggiare il governo di Maduro e il mito secondo cui il chavismo rappresentava la strada verso il “socialismo bolivariano”. Un’organizzazione che aveva fatto suo Chávez, la Tendenza marxista internazionale (Tmi) di Alan Woods [in Italia il gruppo di Sinistra, classe, rivoluzione] adesso prende le distanze dal governo Maduro, ormai sempre più impopolare. Dopo che per dieci anni la Tmi si è dedicata a consigliare Chávez su come amministrare il suo governo, oggi proclama che le sofferenze del Venezuela dimostrano “l’impossibilità di regolare il capitalismo e il disastro delle politiche d’intervento statale nei limiti del capitalismo” (marxist.com, 29 gennaio). Intanto i loro compagni in Venezuela affermano che il problema non è l’impostura della rivoluzione bolivariana, ma la “mediocrità dei suoi leader”.
Al contrario di questi opportunisti, fin dall’inizio noi abbiamo sempre detto la verità sul governo borghese di Chávez/Maduro. Quando ci siamo opposti al tentativo di golpe del 2002, abbiamo sottolineato che per quanto Chávez avesse ottenuto l’appoggio delle masse grazie alla sua irriverenza verso i ricchi e al suo orgoglio per le sue origini indigene, “il ruolo dei populisti come Chávez è quello di proteggere l’ordine capitalista, deviando la giusta rabbia delle masse oppresse” (“La Cia prende di mira Chávez” Workers Vanguard n.787, 20 settembre 2002).
Il fatto che il Venezuela abbia continuato ad esportare la maggior parte del suo petrolio verso gli Usa e la sua dipendenza dalle importazioni per quanto riguarda il cibo, i medicinali e i manufatti, è una dimostrazione di quanto continuasse ad essere subordinato all’imperialismo. Nei Paesi a ritardato sviluppo del capitalismo, la borghesia è troppo debole, timorosa del proletariato e dipendente dal mercato mondiale per poter spezzare il giogo degli imperialisti, eliminare la povertà delle masse e risolvere altre questioni sociali scottanti. In questi Paesi, le riforme dei populisti e l’austerità dei neoliberisti sono due facce della stessa medaglia: il dominio di classe dei capitalisti, che alternano l’una all’altra in funzione del mutare delle condizioni politiche.
L’unica via d’uscita è quella della rivoluzione permanente, la teoria sviluppata ed estesa da Lev Trotsky, che insieme a V.I. Lenin fu uno dei principali dirigenti della Rivoluzione d’Ottobre del 1917 in Russia. Come spiegò Trotsky ne La rivoluzione permanente (1930), bisogna combattere per “la dittatura del proletariato, che assuma la guida della nazione oppressa e, prima di tutto, delle sue masse contadine”.
Il potere degli operai metterebbe all’ordine del giorno non solo compiti democratici, come la rivoluzione agraria per dare le terre ai contadini poveri del Venezuela, ma anche compiti socialisti come la collettivizzazione dell’economia. Darebbe un forte impulso all’estensione della rivoluzione socialista internazionale. Solo la vittoria del proletariato nel mondo capitalista avanzato può garantire la difesa della rivoluzione dalla reazione borghese, lo sradicamento della povertà e l’avanzata verso una società di abbondanza materiale. Questa è la prospettiva della Lega comunista internazionale e del nostro sforzo per riforgiare la Quarta internazionale di Trotsky, partito mondiale della rivoluzione socialista.
[Tradotto da Workers Vanguard n.1148, 8 febbraio 2019]
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