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Suppl. a Spartaco

 

Ripudiamo la nostra posizione sul terremoto ad Haiti

Una capitolazione all’imperialismo Usa

Dichiarazione del Comitato esecutivo internazionale della Lega  comunista internazionale (quartinternazionalista)

Workers Vanguard (Wv), il giornale della SL/U.S., ha commesso un tradimento del fondamentale principio di opposizione al “proprio” governo imperialista nei suoi articoli sul terremoto ad Haiti. Oltre a giustificare la presenza delle truppe americane come essenziale per gli aiuti, questi articoli hanno polemizzato contro la posizione corretta e di principio che consisteva nel rivendicare il ritiro immediato delle truppe. Questa linea è stata riprodotta nella stampa di diverse sezioni della Lci, divenendo di fatto la linea della Lega comunista internazionale. Se non dessimo una spiegazione e non facessimo una correzione pubblica, avremmo fatto parecchia strada verso la distruzione come partito rivoluzionario. L'unica posizione internazionalista rivoluzionaria era sin dall'inizio la rivendicazione del ritiro di tutte le truppe Usa/Onu da Haiti!

In un articolo pubblicato in Wv n.951 (29 gennaio), abbiamo scritto apertamente (e poi ripetuto nei numeri successivi del giornale):

“L'esercito americano è l'unica forza sul terreno che ha la capacità (camion, aerei, navi…) di organizzare il trasporto del cibo, dell'acqua e dei rifornimenti medici e di altro tipo che giungono alla popolazione haitiana. Lo fanno certo al tipico, schifoso modo dell'imperialismo Usa. Noi ci siamo sempre opposti alle occupazioni Usa e Onu ad Haiti e altrove (e potrebbe rendersi molto presto necessario rivendicare la cacciata degli Usa/Onu da Haiti), ma non intendiamo chiedere l'interruzione di quel minimo di aiuti che le masse haitiane possono ricevere”.

Il Comitato esecutivo internazionale della Lci ripudia questo tradimento del nostro programma rivoluzionario. Come affermiamo nella Dichiarazione programmatica della SL/U.S.: “Ci opponiamo incondizionatamente a tutti gli interventi militari Usa e alle basi Usa all'estero e difendiamo i paesi coloniali, semicoloniali e gli altri piccoli paesi meno sviluppati dagli attacchi e dagli embarghi degli Usa e dell'Onu”.

Anche quando abbiamo rivendicato, con molto ritardo, “Fuori subito tutte le truppe Usa/Onu da Haiti”, in Wv n.955, abbiamo continuato ad eludere e rifiutare il principio dell’opposizione all'occupazione imperialista Usa della neocolonia haitiana. Inoltre l'articolo diceva: “Come abbiamo spiegato chiaramente nell'articolo 'L'orrore del terremoto di Haiti: imperialismo, razzismo e fame' (Wv n.951, 29 gennaio), pur non essendo a favore dell'invio dell'esercito Usa ad Haiti, neppure intendevamo, nei giorni immediatamente successivi a quest'orribile catastrofe naturale, rivendicare il ritiro immediato delle forze che stavano portando quel minimo di aiuti che giungeva alle masse haitiane”. In realtà il nostro primo articolo non aveva detto chiaramente che non eravamo a favore dell'invio delle truppe Usa e neppure descriveva l'occupazione militare Usa per quello che era.

L'invasione militare americana mirava a dare una maschera “umanitaria” al sanguinario imperialismo Usa e a garantire il controllo militare americano ad Haiti, riaffermando il dominio imperialista americano sui Caraibi, in parte contro rivali imperialisti come la Francia. Rifiutando di opporci all'invasione abbiamo anche ignorato il pericolo specifico che essa implicava per lo Stato operaio deformato cubano (oltre che per il regime populista-nazionalista di Hugo Chavez in Venezuela). Abbiamo accettato la linea di Washington che sosteneva che gli aiuti erano inestricabilmente legati all'occupazione americana, contribuendo così al mito spacciato dall'amministrazione democratica di Obama secondo cui questa era una missione “umanitaria”. Dire che “potrebbe rendersi molto presto necessario rivendicare la cacciata degli Usa/Onu da Haiti” (sottolineature aggiunte) significava dare un appoggio condizionato all'intervento militare Usa. Come ha detto un compagno dirigente del partito, l'unica differenza tra la posizione che abbiamo preso e il 4 agosto 1914, quando i socialdemocratici tedeschi votarono a favore dei crediti di guerra al governo imperialista tedesco allo scoppio della prima guerra mondiale, è che in questo caso non c'era una guerra.

Così facendo abbiamo svuotato del suo contenuto rivoluzionario la teoria della rivoluzione permanente di Trotsky, che lega la battaglia per la rivoluzione sociale e nazionale alla lotta per il potere statale proletario, sia nei paesi neocoloniali che in quelli capitalisti più avanzati. Ciò significa convincere il proletariato nordamericano e in tutto il mondo che è nel suo interesse di classe sostenere attivamente la lotta contro il dominio imperialista ad Haiti. I nostri articoli invece hanno fatto il contrario, promuovendo illusioni nella “democrazia” imperialista americana come salvatrice del popolo haitiano. Abbiamo semplicemente scimmiottato Barack Obama mentre questo mandava truppe di combattimento che comprendevano elementi della 82ma divisione aereotrasportata e unità dei marines. Dubitiamo che avremmo preso così facilmente una posizione del genere se l'amministrazione repubblicana di Bush sedesse ancora alla Casa Bianca.

Nel suo ultimo articolo, “Svolte e contorsioni della Sl su Haiti” (Internationalist, 9 aprile), il centrista Internationalist Group (Ig) scrive: “Se per i riformisti, che vogliono solo cambiare la politica degli imperialisti invece di abbatterne il sistema, appoggiare un'occupazione imperialista è poca cosa, nel caso della Sl/Lci dev'essere più difficile da digerire”. E lo è davvero. Da parte sua, l'Ig ha trattato il terremoto come se aprisse la possibilità di una rivoluzione ad Haiti, sostenendo che: “Questo piccolo ma combattivo proletariato può mettersi alla testa delle masse povere della città e delle campagne cercando di organizzare il suo potere, specialmente ora che la macchina dello Stato capitalista è ridotta ad un cumulo di macerie e a piccole bande di polizia dedite allo sciacallaggio” (Haiti: Solidarietà operaia, si! Occupazione imperialista, no!”, Internationalist, 20 gennaio).

Invece di limitarci a mettere a nudo le fantasie terzomondiste dell’Ig, abbiamo centrato la polemica attorno a fervide apologie dell'intervento militare imperialista, una posizione a destra dell'Ig. Questi centristi, che glorificano il nazionalismo terzomondista, hanno avuto completamente ragione a caratterizzare la nostra posizione come “socialimperialista”: a parole socialista, nella pratica un appoggio all'imperialismo. E' una pillola dura da ingoiare. Solo condannando con forza la nostra stessa linea, possiamo evitare l'alternativa di seguire la strada percorsa dai fondatori dell'Ig dopo l'abbandono della nostra organizzazione alla ricerca di forze diverse dal proletariato. Nel loro caso, queste forze vanno dai rottami della burocrazia stalinista che hanno svenduto la Ddr alla controrivoluzione imperialista, fino ai nazionalisti latino americani e ai burocrati sindacali con qualche fraseologia di sinistra.

Polemizzando contro l'Ig, Workers Vanguard ha abusato dell'autorità del dirigente rivoluzionario Lev Trotsky per mascherare l'appoggio ad un'occupazione imperialista. Nel suo articolo del 1938, “Imparate a pensare”, Trotsky sosteneva che non si deve sempre mettere un segno meno dove la borghesia mette un segno più. Però non parlava di una forza di occupazione militare, ma di casi in cui un governo imperialista inviasse aiuti militari a dei combattenti anticoloniali. Inoltre il riferimento che Trotsky faceva nel suo articolo a degli operai che fraternizzano con un esercito inviato a spegnere un incendio, non si riferiva ad una situazione come quella di Haiti, dove le truppe imperialiste Usa stavano invadendo un paese neocoloniale, cosa cui i leninisti si oppongono per principio e incondizionatamente.

I rivoluzionari non devono nemmeno alimentare illusioni nell'aiuto non militare che i governi capitalisti possono dare. In risposta all'invasione americana di Haiti dopo il terremoto avremmo fatto bene a riprendere la posizione della nostra sezione australiana nel 2005 a seguito dell'intervento imperialista “umanitario” in Indonesia e in particolare nella provincia secessionista di Aceh dopo lo tsunami. Un articolo di Australasian Spartacist (n.190, autunno 2005), intitolato “Gli imperialisti australiani approfittano della catastrofe dello tsunami”, rivendicava “Fuori subito tutte le truppe e polizie australiane e imperialiste da Aceh!” e denunciava i piani di aiuto degli imperialisti. L'articolo sottolineava che questi aiuti “al di la dei vantaggi a breve termine che possono portare ad un limitato numero di oppressi, puntano sempre a rafforzare il giogo neocoloniale sulle masse del terzo mondo”.

La “politica del possibile”

Fin dalla nascita della nostra tendenza come opposizione interna al Socialist Workers Party (Swp) all'inizio degli anni Sessanta, abbiamo capito che l'isolamento nazionale porta rapidamente alla distruzione di qualsiasi formazione soggettivamente rivoluzionaria, tanto più se sottoposta alle pressioni che agiscono nel cuore stesso dell'imperialismo mondiale, gli Stati Uniti. Un vero internazionalismo proletario significa collaborazione internazionale disciplinata, senza la quale non potremmo contrastare efficacemente le forze dell'opportunismo nazionalista.

L’abbellimento dell'intervento imperialista Usa è stato facilitato dalla sospensione del centralismo democratico internazionale. Il ruolo della propaganda come impalcatura per la costruzione di un partito rivoluzionario è di pubblicare la linea del partito decisa  dalla direzione con discussioni e mozioni. Prima di rendere pubblica in Wv n.951 una linea che si opponeva a rivendicare “via le truppe da Haiti”, l'Ufficio politico della SL/U.S. e il Segretariato internazionale (l'organismo amministrativo residente del Cei), hanno abdicato alle loro responsabilità, non organizzando una discussione e votazione, ma decidendo la linea con una consultazione informale. Tuttavia, una volta pubblicata in Workers Vanguard, questa linea è stata ripresa dai giornali di diverse sezioni della Lci, segno che inizialmente vi erano pochi disaccordi.

Il 18 marzo, una riunione del Si ha infine votato di rivendicare l'immediato ritiro delle truppe degli Usa e dell'Onu. Ma le mozioni adottate a quella riunione, su cui si è poi basato l'articolo in Wv n.955, ribadivano che “era giusto non chiedere il ritiro delle truppe Usa subito dopo il terremoto”. Dicendo che “le particolari, eccezionali circostanze di due mesi fa non esistono più”, le mozioni continuavano anche a ripetere che la difesa condizionata dell'invasione militare Usa era giusta nella congiuntura immediata di un disastro naturale. Inoltre, pur criticando la formula secondo cui l'esercito Usa era l'unica forza sul terreno con la struttura necessaria a distribuire gli aiuti, le mozioni del Si non imponevano una correzione pubblica di questa affermazione. James P. Cannon, il fondatore del trotskismo americano, condannava questo tipo di disonestà. Parlando alla Conferenza del 1954 dell'Swp trotskista, in una situazione in cui il partito doveva riconoscere degli errori, fece notare che: “Lo sapete, gli stalinisti hanno cambiato linea più spesso e più bruscamente di ogni altro partito nella storia. Ma non hanno mai detto: 'Ci siamo sbagliati'. Hanno sempre detto: 'La situazione è cambiata'. Noi dobbiamo essere più onesti e precisi.”

Il menscevismo prende spesso l'aspetto del “realismo” e della “praticità”. Nel tentativo di trovare una “soluzione concreta” in una situazione in cui da un punto di vista proletario rivoluzionario non ve n'erano, abbiamo capitolato. Il nostro piccolo partito rivoluzionario avrebbe dovuto avanzare una prospettiva internazionalista proletaria per la liberazione di Haiti, basata soprattutto sull'opposizione al “nostro” governo imperialista. Nella situazione immediata, l'unica espressione concreta di questo programma era negativa: la rivendicazione che a tutti i profughi haitiani fosse consentito l'ingresso negli Usa con pieni diritti di cittadinanza, l'opposizione a qualsiasi deportazione dagli Usa degli haitiani che vi erano entrati e soprattutto la rivendicazione del ritiro di tutte le truppe Usa/Onu.

I nostri articoli hanno distorto la realtà per giustificare la presenza militare americana. Abbiamo criticato giustamente i riformisti che spargevano illusioni nei governi imperialisti chiedendo loro di inviare “aiuti, non truppe”, ma la nostra risposta è stata perfino peggiore. I nostri articoli hanno presentato l'intervento militare Usa come l'unico modo “realistico” di portare “aiuti” alle masse haitiane e abbiamo preteso demagogicamente che il ritiro delle truppe di combattimento Usa si sarebbe “tradotto nella morte di fame in massa”. Questo equivaleva a trattare la questione non dal punto di vista del programma marxista, ma attraverso le lenti liberali del “soccorso umanitario”. Michael Harrington, ex leader dei Socialdemocratici d'America e consulente dei piani di “lotta alla povertà” dell'amministrazione democratica di Lyndon B. Johnson, colse il succo di questa visione del mondo socialdemocratica con l'espressione, “l'ala sinistra del possibile”.

La “politica del possibile” è una pressione palpabile nel periodo di reazione post sovietica, in cui la rivoluzione e persino la lotta di classe combattiva, specialmente negli Stati Uniti, sembrano remote e le nostre concezioni politiche trovano in genere poca risonanza. C'è un abisso tra quello per cui ci battiamo e la coscienza della classe operaia e dei giovani di sinistra, anche di quelli che si considerano socialisti. Come abbiamo osservato, è stato molto difficile preservare la nostra continuità rivoluzionaria e molto facile distruggerla.

La lotta per mantenere una prospettiva rivoluzionaria

All'inizio degli anni Cinquanta, nella battaglia contro l'opposizione guidata da Cochran nel Socialist Workers Party americano, che all'epoca era ancora un partito rivoluzionario, James P. Cannon disse:

“Anche nelle condizioni migliori, il movimento rivoluzionario è una lotta difficile che consuma molto materiale umano. Non per nulla in passato si è ripetuto migliaia di volte che 'la rivoluzione è una divoratrice di uomini'. In questo paese, il più ricco e conservatore del mondo, il movimento è forse il più vorace di tutti. Non è facile persistere nella lotta, resistere, tenere duro e lottare anno dopo anno senza vittorie e anzi, in epoche come l'attuale, senza neppure progressi tangibili. Ci vogliono, oltre al carattere, una convinzione teorica e una prospettiva storica. E in aggiunta, bisogna associarsi con altri in un partito comune”. (Sindacalisti e rivoluzionari, 11 maggio 1953).

L'esempio della degenerazione dell'Swp da partito rivoluzionario, attraverso il centrismo per finire nel più abietto riformismo, è istruttivo. Il partito resistette a più di un decennio di stagnazione e isolamento durante la caccia alle streghe anticomunista. Vedendo il loro ruolo ridotto essenzialmente ad una lotta per la sopravvivenza nella roccaforte dell'imperialismo Usa, gli invecchiati quadri di partito dell'ala di Cochran abbandonarono la prospettiva rivoluzionaria. La maggioranza dell'Swp guidata da Cannon e Farrell Dobbs lottò per preservare la continuità rivoluzionaria del trotskismo contro questo liquidazionismo. Ma anch'essi non furono immuni dalle pressioni deformanti che avevano portato alla scissione dell'ala di Cochran.

Quattro anni dopo, nel 1957, l'Swp appoggiò l'invio di truppe federali a Little Rock, Arkansas, il cui esito fu la distruzione dei tentativi locali di organizzare l'autodifesa dei neri contro le orde razziste che si opponevano all'integrazione scolastica. Il fatto di aver dipinto le truppe Usa come una difesa sui cui i neri potevano fare affidamento, suscitò una forte opposizione nel partito negli anni Cinquanta, specialmente da parte di Richard Fraser, di cui abbiamo adottato il programma di integrazionismo rivoluzionario come strada per la liberazione dei neri negli Stati Uniti. Ma la linea sbagliata non venne mai corretta e l'idea che l'esercito imperialista Usa fosse l'unica forza “realistica” che poteva difendere dal terrore razzista il movimento per i diritti civili nel Sud segregazionista, si radicò ulteriormente. Nel 1964 l'Swp aveva adottato nelle sue campagne lo slogan grottesco: “Ritirate le truppe dal Vietnam e mandatele nel Mississippi!” Nel 1965 l'Swp si era ormai sbarazzato di qualsiasi pretesa di opposizione rivoluzionaria all'imperialismo e promuoveva la menzogna riformista secondo cui la sporca guerra dell'imperialismo Usa contro gli operai e i contadini vietnamiti poteva essere fermata da un movimento pacifista aclassista.

I giovani quadri della Tendenza rivoluzionaria dell’Swp che lottarono contro la degenerazione del partito divennero i fondatori della nostra organizzazione. Capire il percorso dell'Swp e usarlo come specchio in cui vedere dove finiremmo noi se non correggiamo i nostri errori e il tradimento esplicito del nostro programma internazionalista rivoluzionario in reazione al terremoto ad Haiti, è una parte della battaglia per preservare la continuità con il partito rivoluzionario di Cannon, e attraverso di esso con i bolscevichi di Lenin e Trotsky.

La capacità di fare questa correzione non è fonte di orgoglio. Non fa che porre le basi per una rettificazione politica. Abbiamo attraversato la linea di classe e la necessità urgente è di riaffermare il programma internazionalista proletario del leninismo e lottare per mantenerlo.

27 aprile 2010