Spartaco n. 74

Aprile 2011

 

Produzione per il profitto = anarchia e saccheggio

Capitalismo e riscaldamento globale

Per la rivoluzione socialista! Per un’economia pianificata internazionale!

Senza dubbio la Terra nel suo complesso si sta riscaldando. Secondo i dati diffusi nel mese di luglio dalla National Oceanic and Atmospheric Administration statunitense, le temperature complessive della superficie terrestre e oceanica nel mese di giugno scorso sono state le più alte dal 1880, anno in cui cominciarono ad essere registrate. Per 340 mesi consecutivi sono state al di sopra della media riscontrata nel Ventesimo secolo, mentre il ghiaccio marino dell’Artico si fonde ad un ritmo da record. Indubbiamente, l’aumento di calore può essere attribuito in buona parte ai cambiamenti periodici naturali delle temperature oceaniche e alla pressione atmosferica di superficie. Ma c'è qualche altro fattore in azione dietro la tendenza al riscaldamento globale. La stragrande maggioranza degli scienziati del clima in tutto il mondo, tra cui non solo l’“Intergovernmental Panel on Climate Change” delle Nazioni Unite (Ipcc), ma le accademie scientifiche nazionali degli Stati Uniti e di molti altri paesi, individuano quel fattore nel gas a effetto serra di origine antropica (causato dall’attività umana).

Gruppi riformisti come l’International Socialist Organization (Iso), in combutta con gli ambientalisti liberali di sinistra, hanno fatto leva sui “cambiamenti climatici” per chiedere alle maggiori potenze capitaliste di unire i loro sforzi per ridurre i gas serra, un obiettivo che settori importanti della classe dominante capitalista rivendicano. Così l'Iso, Greenpeace e altri hanno riposto una grande fiducia nei colloqui sul clima che si sono tenuti nel dicembre 2009 a Copenaghen sotto il patrocinio delle Nazioni Unite, che sono un covo di ladri imperialisti e delle loro vittime.

Un nuovo “movimento internazionale per la giustizia climatica” è stato proclamato dopo che in decine di migliaia sono accorsi nella capitale danese, per lo più per chiedere che le potenze mondiali si mettano d'accordo nel ridurre le emissioni di gas serra e nel dare sostegno finanziario ai paesi del Terzo mondo. Le proteste hanno visto anche una manifestazione con centomila partecipanti nel corso del vertice che si è svolto per due settimane, durante la quale gli squadroni della polizia armati fino ai denti hanno arrestato circa mille persone. Dopo di che, a migliaia di delegati con lo status di osservatori, inclusi membri di gruppi conosciuti, come Greenpeace, è stata impedita la partecipazione agli ultimi giorni della conferenza.

Ciò che alcuni avevano soprannominato “Hopenhagen” [Copenhagen della speranza] si è concluso senza raggiungere gli obiettivi dichiarati: rinnovare gli impegni per ridurre le emissioni da parte dei paesi industrializzati che firmarono il Protocollo di Kyoto nel 1997 (che gli Usa non hanno mai ratificato) e fissare gli obiettivi per le emissioni di tutti gli altri paesi. Un risultato ampiamente prevedibile. Infatti le classi capitaliste del mondo sono divise tra di loro su questo tema, ed il compito fondamentale di ogni governo capitalista è quello di proteggere i propri “interessi nazionali”. I pochi paesi imperialisti che dominano il mercato mondiale sono in concorrenza tra loro per le sfere di sfruttamento in tutto il mondo, e hanno già provocato due devastanti guerre mondiali nella loro insaziabile ricerca del profitto.

Cambiamenti rilevanti nelle emissioni implicherebbero quasi certamente ingenti costi economici, che pochi governi capitalisti son disposti a sostenere, soprattutto in questo periodo di rallentamento economico globale. Le principali attività umane che contribuiscono al rilascio di gas serra sono anche le principali attività che fanno girare le ruote della moderna economia: la combustione di combustibili fossili, come petrolio e carbone. Data l'importanza delle fonti d’energia a buon mercato, la concorrenza imperialista per i combustibili fossili, soprattutto il petrolio, ha contribuito a provocare numerosi conflitti militari nel secolo scorso. I paesi che controllano il rubinetto del petrolio o l'accesso alle grandi riserve di carbone hanno tutto l'interesse materiale a mantenere lo status quo.

L'esempio degli Stati Uniti, il più grande produttore di gas serra pro capite al mondo, è indicativo. Aziende americane gigantesche come la ExxonMobil sono centrali nel cartello petrolifero mondiale, mentre Germania e Francia, il nucleo dell'Unione Europea (Ue), non hanno la stessa rilevanza. Quindi un aumento del prezzo del petrolio sul mercato mondiale non solo arricchisce un settore fondamentale delle imprese americane, ma aumenta anche i costi energetici dei rivali capitalisti francesi e tedeschi. Per anni, gli Usa si sono scontrati con l'Ue sull'esecuzione del Protocollo di Kyoto, poiché le soglie nominali di emissioni incluse nell’accordo avrebbero colpito più direttamente gli Stati Uniti.

A prescindere dalle reciproche differenze, durante i recenti negoziati sui cambiamenti climatici, gli imperialisti, guidati dagli Stati Uniti, si sono ritrovati uniti a far pressioni sulla Cina, uno Stato operaio burocraticamente deformato, in gran parte con l’obiettivo di arginare la sua crescente potenza industriale. Dopo aver ottenuto il sostegno dell'Ue per scaricare i costi degli accordi sulla riduzione delle emissioni sui paesi meno sviluppati, gli Stati Uniti si sono rifiutati di sostenere qualsiasi accordo a Copenaghen se non avesse incluso un controllo rigoroso delle emissioni cinesi. Dietro a tali manovre si nasconde l'obiettivo strategico degli imperialisti di distruggere lo Stato operaio cinese sottoponendolo ancora una volta ad uno sfrenato sfruttamento capitalista. Contro gli ambientalisti e i falsi socialisti che si uniscono agli attacchi contro la Cina, noi siamo per la difesa militare incondizionata della Cina contro l'imperialismo e la controrivoluzione capitalista.

Per i marxisti, affrontare l'aspetto del riscaldamento globale che deriva dall’attività umana non è fondamentalmente un problema tecnico ma un problema sociale. Il marxismo si oppone all'ideologia ambientalista, che accetta l'inviolabilità del dominio di classe capitalista, in cui la produzione è orientata al profitto e la ricchezza sociale è monopolizzata da una ristretta classe dirigente borghese. Noi ci battiamo per una società che darà di più, non di meno, ai lavoratori e alle masse povere del mondo. Il nostro obiettivo è quello di eliminare la scarsità materiale e far avanzare qualitativamente gli standard di vita di tutti. A tal fine, ci battiamo per rivoluzioni socialiste nei paesi capitalisti che esproprino la borghesia e per rivoluzioni politiche proletarie in Cina e negli altri Stati operai burocraticamente deformati, che pongano le basi per la costruzione di un'economia mondiale pianificata e collettivizzata. Con una produzione libera dal profitto, le capacità creative dell’umanità saranno liberate per costruire una società in cui la povertà, la malnutrizione, la disuguaglianza e l'oppressione saranno ricordi del passato.

Quando gli operai domineranno il mondo, l'energia sarà generata e utilizzata nel modo più razionale, efficiente e sicuro possibile, anche attraverso lo sviluppo di nuove fonti energetiche. Non escludiamo a priori l'uso di combustibili fossili o di qualsiasi altra fonte di energia: nucleare, idroelettrica, solare, eolica, ecc. Solo per promuovere la modernizzazione e lo sviluppo complessivo del Terzo mondo, dove miliardi di persone sono oggi condannate ad una disperata povertà, quasi certamente servirà una produzione di energia globale di gran lunga maggiore.

E’ inutile tentare di affrontare i problemi legati al clima entro i confini del sistema capitalista anarchico e nazionale. Il clima è il risultato delle interazioni tra l'atmosfera, gli oceani, i ghiacciai, gli organismi viventi, i suoli, i sedimenti, le rocce, tutti fattori che influiscono, in misura maggiore o minore, il movimento del calore attorno alla superficie terrestre. La migliore possibilità per influenzare positivamente qualcosa di così dinamico, ampio e complesso come il sistema climatico è quello di avviare un'azione coordinata a livello globale basata sulle più recenti conoscenze scientifiche e tecnologiche.

Con un’economia mondiale riorganizzata su base socialista, si potrebbe elaborare e realizzare un piano per ridurre al minimo le emissioni di gas serra e mitigare gli impatti del riscaldamento su di una scala inimmaginabile sotto il capitalismo. Se necessario, potrebbe essere fatto uno sforzo concertato per intraprendere la riorganizzazione di intere industrie trasformando i loro processi, sia nella produzione di energia che nella sua distribuzione, nei trasporti, nell’edilizia, nel settore manifatturiero e nell'agricoltura.

Inoltre la crescente abbondanza eliminerà anche i fattori materiali, e i valori sociali retrogradi, come quelli propagandati dalle religioni, che stimolano la crescita della popolazione. Come svilupperemo in seguito, una riorganizzazione socialista della società porrebbe le basi per un prolungato, lieve calo della popolazione, contribuendo a garantire che vi saranno risorse sufficienti per garantire a tutti il benessere.

Scienza del clima e riscaldamento globale

Il clima della Terra subisce naturalmente un cambiamento continuo, a causa dei cambiamenti periodici dei moti orbitali della Terra e dell'inclinazione dell’asse di rotazione, nonché variazioni di intensità della luce solare e dell'attività vulcanica. Analisi effettuate su carotaggi di ghiaccio e sedimenti oceanici hanno mostrato l’esistenza di prolungati periodi di glaciazioni e periodi interglaciali nel corso degli ultimi milioni di anni. I periodi interglaciali hanno incluso periodi in cui il mondo era più caldo di oggi e rettili incapaci di tollerare il freddo vivevano oltre il circolo polare artico. Reperti geologici indicano che la transizione dall'ultima era glaciale, che raggiunse il culmine ventimila anni fa, al calore di oggi non è avvenuta dolcemente, ma è stata piuttosto una selvaggia corsa sulle montagne russe. L'inizio e la fine di alcuni picchi climatici sono avvenuti nel breve arco di decenni.

Escludendo gli “scettici del clima” (compresi quelli al soldo dei giganti petroliferi), è ampiamente accettato che le attività umane stanno anch’esse influenzando il clima. Il rapporto del 2007 dell'Ipcc, probabilmente l’organismo più autorevole al mondo in fatto di clima, conclude: “Il riscaldamento del sistema climatico è inequivocabile, come è ora evidente dalle osservazioni di un aumento globale della temperatura media dell'aria e degli oceani, del diffuso scioglimento di neve e ghiaccio e l'aumento globale del livello medio del mare”. Il rapporto aggiunge: “La maggior parte dell'aumento osservato nelle temperature medie globali dalla metà del ventesimo secolo è molto probabilmente dovuto all'aumento delle concentrazioni di gas serra di origine antropica [Ghg]”. Questo rapporto, scritto e rivisto da migliaia di scienziati di tutto il mondo, si basa sui più recenti dati scientifici e tecnici e trova un ampio consenso all'interno della comunità scientifica.

I “gas serra antropogenici” influiscono sul clima aumentando ciò che è chiamato, usando un’analogia imprecisa, “effetto serra”. Come lo descrisse il fisico matematico Jean Baptiste Fourier per la prima volta nel 1820, l'energia sotto forma di luce solare attraversa in gran parte l'atmosfera per raggiungere la superficie terrestre riscaldandola, ma il calore non può così facilmente sfuggire verso lo spazio. L'aria assorbe una parte importante del totale della radiazione infrarossa (che Fourier chiamava “calore oscuro”) emessa dalla Terra, e parte di questa energia termica è nuovamente irradiata verso la superficie, contribuendo a farla rimanere calda. La superficie di un pianeta simile alla Terra senza atmosfera sarebbe in media di circa 33 gradi centigradi più fredda della Terra attuale e vi sarebbe una grande oscillazione di temperatura tra giorno e notte e tra estate e inverno, come avviene sulla Luna.

Ma non tutti i gas presenti nell'atmosfera contribuiscono allo stesso modo a mantenere calda la Terra. I componenti più abbondanti dell’atmosfera, l'azoto biatomico e l'ossigeno, sono quasi trasparenti alla radiazione infrarossa, che è fortemente assorbita dalle molecole di vapore acqueo, anidride carbonica, metano, protossido di azoto e ozono. Dopo il vapore acqueo, l'anidride carbonica è il più abbondante “gas serra”, e attualmente ne rappresenta circa 390 parti per milione (ppm) in volume, per una massa totale di circa tremila miliardi di tonnellate. La concentrazione è cresciuta significativamente in un tempo relativamente breve dal livello di 280 ppm prima della rivoluzione industriale, come è stato accertato da misurazioni su carotaggi di ghiaccio. La presenza di anidride carbonica sta attualmente crescendo ad un ritmo di oltre due ppm ogni anno.

Gli esseri umani attraverso molte attività contribuiscono significativamente a determinare le concentrazioni atmosferiche dei gas serra. Bruciare combustibili fossili o legno produce anidride carbonica; il bestiame, la produzione di petrolio e le miniere di carbone aggiungono metano; i processi agricoli e la produzione di acido nitrico contribuiscono a diffondere nell’atmosfera protossido di azoto. Altre pratiche, come la deforestazione, svolgono anch’esse un ruolo, perché le foreste assorbono anidride carbonica dall'aria, immagazzinandola. Ma l'attenzione è caduta sulla combustione di combustibili fossili, che produce la stragrande maggioranza dell’anidride carbonica emessa ogni anno dall'attività umana. Mentre gli oceani, il terreno e la vegetazione terrestre assorbono circa la metà di queste emissioni, il resto si accumula nell'atmosfera, dove contribuiscono a rafforzare l'effetto serra.

Le possibili conseguenze del riscaldamento globale evocate da un certo numero di scienziati sono estremamente gravi. Ma il funzionamento del sistema climatico è conosciuto ancora solo parzialmente, così nessuno può dire che una previsione si verificherà certamente. E’ possibile che l'impatto del riscaldamento indotto dalle attività umane non sia così dannoso come prevedono l’Ipcc e altri, ma c'è anche la possibilità che gli effetti saranno peggiori. La gamma di possibilità si riflette nella comunità scientifica, con una piccola minoranza che critica il rapporto del 2007 dell'Ipcc per sopravvalutare i potenziali effetti e altri che disapprovano il suo “conservatorismo”.

Il rapporto prevede l'innalzamento del livello del mare e inondazioni costiere come risultato dello sciogliersi delle calotte polari e dell'espansione termica degli oceani. Prevede cambiamenti di clima che potrebbero causare la trasformazione di aree popolate in aree aride o sommerse e porterebbe all'estinzione di molte specie marine e terrestri. Il numero delle “aree aride” del pianeta è già più che raddoppiata dal 1970 fino a raggiungere circa il 30 per cento della superficie terrestre. La riduzione dei ghiacci dell’Antartide occidentale e della Groenlandia, simile alle passate riduzioni interglaciali, farebbe crescere il livello del mare di oltre dieci metri, abbastanza per sommergere decine di grandi città del mondo, da New York a Shanghai.

Un forte riscaldamento prolungato per decenni potrebbe anche innescare meccanismi che andrebbero a modificare il clima in modo qualitativo. Il completo disgelo del permafrost artico potrebbe rilasciare miliardi di tonnellate di carbonio immagazzinato per lo più sotto forma di metano, un gas serra molto più potente dell’anidride carbonica. Una possibilità ancora più remota, ma di impatto ancora maggiore, sarebbe il rilascio della quantità colossale di metano ora racchiusa in cristalli di ghiaccio d'acqua (strutture note come clatrati) che si trovano nelle profondità dell'Artico e di altri oceani.

Paradossalmente, il riscaldamento dell'atmosfera potrebbe anche immergere gran parte dell'emisfero settentrionale in un gelo profondo. Se un sufficiente flusso di acqua dolce dal ghiaccio in fusione si riversasse nel Nord Atlantico, quel grande convogliatore termico che è la Corrente del Golfo cesserebbe di operare. Originata nel Golfo del Messico, questa potente corrente trascina l'acqua calda verso nord e causa il riscaldamento dell’Europa Occidentale, del Canada e degli Stati Uniti del nordest.

Una serie di ricerche successive al 2007 ha rielaborato e modificato le previsioni dell'Ipcc, e mostrato le incertezze presenti nei modelli climatici. Una di queste, l'ultima ricerca dell’esperto di uragani del Mit, Kerry Emanuel, in passato uno dei principali sostenitori del legame tra riscaldamento globale e crescente violenza e frequenza degli uragani, ora mette in discussione tali conclusioni. All'inizio del 2010, l'Ipcc ha ammesso una serie di errori scientifici e ritrattato l'avvertimento drammatico contenuto nella sua relazione del 2007, che la maggior parte dei ghiacciai himalayani potrebbe sciogliersi entro il 2035. Il rigore scientifico è ulteriormente messo in pericolo da ricercatori del clima che si rifiutano di pubblicare i programmi software che sono utilizzati per elaborare i propri modelli, una pratica che è venuta alla luce durante lo scandalo e-mail del “Climategate” alla University of East Anglia architettato da esponenti della destra.

Anche i modelli più sofisticati semplificano grossolanamente i processi fisici, come le complesse dinamiche del vapore acqueo. Cosa più importante, le previsioni che ne derivano presuppongono una realtà sociale statica. Le previsioni del rapporto dell'Ipcc del 2007 sono basate su diversi “scenari” di crescita e sviluppo. Ma qualsiasi serie di eventi potrebbe alterare radicalmente la storia. Un articolo di Scientific American (gennaio 2010) dal titolo “Guerra nucleare locale, sofferenza globale”, spiega che, se in un conflitto, ad esempio tra India e Pakistan, fossero sganciate cento bombe nucleari su città e zone industriali, produrrebbero abbastanza fumo da coprire il sole e danneggiare l'agricoltura mondiale. Questo scenario impallidisce di fronte alla minaccia rappresentata dal massiccio arsenale nucleare nelle mani degli imperialisti Usa. Un solo sottomarino americano di classe Ohio è in grado di lanciare fino a 192 testate termonucleari su obiettivi distinti.

Le devastazioni dell’imperialismo

Quali che siano i tempi e le effettive conseguenze del riscaldamento globale, una cosa è certa: in un mondo dominato dal capitalismo imperialista, il costo umano, misurato in fame, distruzioni o malattie, sarebbe soprattutto a carico di lavoratori e poveri. I paesi meno sviluppati del mondo, con infrastrutture misere e con meno risorse disponibili per adattarsi alle mutate condizioni, sarebbero colpiti in maniera particolarmente severa. Il vero colpevole non è il cambiamento climatico in quanto tale, ma piuttosto il sistema capitalistico mondiale, che impone condizioni disumane ai paesi semicoloniali e priva la popolazione dei beni più elementari, e non solo in tempi di calamità.

L'imperialismo moderno, caratterizzato dall’esportazione di capitali, si è sviluppato alla fine del diciannovesimo secolo, quando i confini degli Stati-nazione si dimostrarono troppo ristretti e limitati per soddisfare la domanda capitalista di nuovi mercati e fonti di manodopera a basso costo. Con le armi e con il sangue, i paesi avanzati hanno essenzialmente ritagliato il mondo in sfere concorrenti di sfruttamento, un processo descritto da V.I. Lenin nella sua classica opera L’imperialismo, fase suprema del capitalismo (1916). Le potenze imperialiste intrapresero una serie di conquiste e guerre coloniali, che culminarono con la Prima e la Seconda guerra mondiale, nelle quali ogni classe dominante capitalista cercò di espandere ulteriormente i suoi interessi a spese dei suoi rivali.

Insieme allo sfruttamento della classe operaia nel proprio paese, le classi capitalistiche di Nord America, Europa e Giappone sfruttano e opprimono le masse oppresse in Asia, Africa e America Latina, arrestando lo sviluppo generale sociale ed economico della stragrande maggioranza dell'umanità. Gli ambientalisti citano più di quattro decenni di siccità e di piogge irregolari nella regione del Sahel nell'Africa sub-sahariana, che si estende dall'Oceano atlantico al Sudan, come prova positiva del costo elevato del cambiamento climatico. La rapida desertificazione del Sahel, dove la popolazione è costituita per lo più da pastori nomadi e contadini, ha esacerbato la concorrenza per le risorse del territorio tra la miriade di gruppi etnici della regione. Ma ciò che ha spinto il Sahel più profondamente nella povertà, nella fame e nella miseria è in fondo un fenomeno creato dall’uomo, un sottoprodotto del giogo imperialista.

Solo una piccola parte del territorio totale dell’Africa è attualmente coltivabile. I progetti di irrigazione, di bonifica delle paludi e di pulizia delle aree infestate da malattie, che sarebbero necessarie per sviluppare il potenziale agricolo africano, sono impensabili fin tanto che il continente sarà schiacciato nella morsa del Fondo monetario internazionale e della Banca mondiale. L'Africa è chiusa in un vicolo cieco, ereditato dal colonialismo, che consiste nel dover focalizzare la propria agricoltura in monocolture tropicali per poterle vendere sul mercato mondiale ed essere così in grado di rimborsare i debiti usurari fatti per lo più per pagare massicce importazioni di cibo. La devastazione del continente africano è stata notevolmente aggravata dalla distruzione nel 1991-92 dello Stato operaio degenerato sovietico, che ha eliminato il principale contrappeso all'imperialismo Usa e ha interrotto una fonte di aiuto essenziale a vari regimi del Terzo mondo.

Finché rimane, il capitalismo continuerà a riprodurre fame di massa e altri flagelli, come epidemie di malattie prevenibili che sono conseguenza della mancanza di sistemi di fognature, acqua potabile e altre infrastrutture sociali di base. Anche se il riscaldamento indotto dall'uomo fosse in qualche modo fermato sotto il capitalismo, la depredazione imperialista continuerebbe senza sosta. Tra le altre cose, ciò rende miliardi di persone vulnerabili ai cambiamenti “naturali” del clima, come le variazioni di condizioni meteorologiche locali, gli “eventi meteorologici estremi” come gli uragani e altri disastri naturali. Il terremoto di Haiti del gennaio 2010 è un caso emblematico. La morte di circa 250 mila persone è il risultato di oltre un secolo di oppressione imperialista che ha lasciato quel paese, disperatamente povero, completamente esposto all'impatto del terremoto quando le strutture fatiscenti di Port-au-Prince sono semplicemente crollate. Oggi, circa un milione e mezzo di haitiani vive ancora in tende di fortuna.

La lotta per il rovesciamento rivoluzionario del decadente ordine capitalista è una questione di sopravvivenza umana. Una piccola indicazione dei vantaggi di un’economia collettivizzata rispetto al sistema capitalista di produzione per il profitto è il successo avuto dallo Stato operaio deformato cubano nel proteggere la sua popolazione da uragani devastanti. Nel 2008, quattro uragani hanno colpito Haiti, uccidendo circa ottocento persone. Due di quegli uragani sono passati anche sopra Cuba, causando quattro morti. Malgrado la cattiva gestione burocratica dell'economia e la relativa povertà del paese, resa più profonda da oltre quarant’anni di embargo economico statunitense, Cuba è famosa per l’efficiente evacuazione dei cittadini di fronte a tali disastri. Il governo fornisce previsioni iniziali, educa e mobilita la popolazione ed ha organizzato rifugi, trasporti, cibo e supporto medico.

Profitti e protezionismo

Sebbene molti verdi radicali si descrivano come anti-capitalisti, tutte le varietà di ambientalismo sono espressioni dell'ideologia borghese, che offre soluzioni basate sulla scarsità e sulla divisione in classe della società. In risposta al riscaldamento globale, molti ambientalisti propongono delle “soluzioni” basate sul mercato, che sono le preferite dei governi capitalisti di tutto il mondo. Al centro vi è il sistema del “cap-and-trade”, che è ora seguito dalle economie dell'Ue. Secondo questo sistema, viene stabilito un generoso limite di quantità di gas ad effetto serra che le imprese sono autorizzate ad emettere (il “cap”). Quelle che emettono più del limite massimo devono acquistare crediti da altre che ne emettono meno del limite loro assegnato (il “trade”). Alla fine, è la classe operaia che paga il prezzo di questo accordo, in primo luogo sborsando prezzi più elevati per l’energia e il carburante; la stessa cosa accadrebbe se una “carbon tax” [tassa sulle emissioni di gas serra] fosse riscossa al fine di allineare il suo “prezzo” al suo “costo sociale ”.

Le aziende hanno anche la possibilità di evitare di ridurre le proprie emissioni investendo in progetti “compensativi” all’estero, spesso in paesi poveri, che sostengono di ridurre i gas serra presenti nell'atmosfera. Uno di questi progetti fornisce pompe a pedale a propulsione umana per l'irrigazione dei terreni agricoli a famiglie contadine povere in India, mentre un altro incoraggia i keniani ad utilizzare generatori alimentati a sterco. Progetti di rimboschimento in Guatemala, Ecuador e Uganda hanno danneggiato le forniture locali di acqua, causato lo sgombero di migliaia di contadini dalle loro terre truffandoli del compenso promesso per la manutenzione degli alberi. Forse gli ambientalisti occidentali pensano di “compensare” i loro sensi di colpa liberali per le loro vite confortevoli promuovendo tali programmi. Ma nel Terzo Mondo, il risultato finale è il rafforzamento della povertà di massa.

Il “cap-and-trade” è diventato una nuova arena di speculazione capitalista. Alcune aziende chimiche, come DuPont, hanno intensificato la produzione di un refrigerante particolare al fine di ricavare ingenti contributi “compensativi” per l’incenerimento dei rifiuti del sottoprodotto di produzione HFC-23, un gas serra ad alto impatto. Il traffico dei gas serra promette anche di essere un terreno lucroso per speculatori e banche d'investimento, non dissimile da quello in titoli sui mutui spazzatura che ha provocato l'implosione dell'economia globale. Più di 130 miliardi di dollari sono passati di mano nel mercato globale dei gas serra nel 2009.

L'ambientalismo va anche di pari passo con lo sciovinismo nazionale, come si è visto ad esempio nel suo sostegno al protezionismo commerciale. Se gli attori principali avessero trovato un accordo a Copenhagen, uno degli effetti probabilmente sarebbe stato un rinnovato protezionismo. Come ha osservato Michael Levi in Foreign Affairs (settembre-ottobre 2009): “Il mondo ha poche scelte possibili in grado di far rispettare gli impegni a ridurre le emissioni oltre sanzioni commerciali punitive o altre sanzioni altrettanto spiacevoli”. In effetti, le normative ambientali sono servite a lungo come maschera per le tariffe doganali, una pratica nascosta nelle norme della World Trade Organization (Wto). Storicamente, il protezionismo ha alimentato guerre di ritorsione commerciale, che a volte si trasformano in guerre vere.

L'anno scorso, il presidente della Commissione europea ha minacciato di imporre tariffe doganali sulle merci provenienti dagli Stati Uniti e altri paesi non aderenti al protocollo di Kyoto per proteggere le imprese europee. Sepolta all'interno di una versione della Casa Bianca di legge “cap-and-trade” elaborata dai Democratici, vi è una disposizione per l'imposizione di dazi contro le importazioni da paesi che non hanno limitato le emissioni a partire dal 2020. L'industria siderurgica statunitense già chiede sanzioni contro i produttori di acciaio cinesi se Pechino non si impegna a rispettare i limiti per le emissioni di gas serra. A ruota, la burocrazia sindacale sciovinista anticomunista dell’United Steelworkers ha presentato un’accusa contro la Cina per violazione delle norme del Wto sovvenzionando esportazioni di pannelli solari, turbine eoliche e altre attrezzature produttrici di “energia pulita”. Promuovendo la bugia che i lavoratori in ogni paese sono legati ai loro sfruttatori da un “interesse nazionale” comune, il protezionismo è un veleno per la solidarietà internazionale della classe operaia.

Il protezionismo nei confronti degli importatori brasiliani di etanolo prodotto con la canna da zucchero e altri, fa parte del piano dell'amministrazione Obama per l’“indipendenza energetica” degli Stati Uniti. Come Obama ha chiarito descrivendo la dipendenza degli Stati Uniti dal petrolio del Medio Oriente come il suo tallone d'Achille, l’“indipendenza energetica” è un grido di battaglia per migliorare la capacità dell’imperialismo degli Stati Uniti di portare avanti le proprie ambizioni militari ed economiche a livello mondiale attraverso la diversificazione e il rafforzamento del controllo delle fonti energetiche.

Non è un caso che gruppi come Greenpeace fanno eco alla richiesta di “indipendenza energetica”. Le principali organizzazioni politiche degli ambientalisti, i Verdi, sono partiti capitalisti ostili al proletariato. Negli Stati Uniti, i Verdi agiscono come gruppo di pressione liberale sul Partito Democratico, e accolgono alcuni evangelizzatori ambientali come Al Gore, che quando era vice presidente di Bill Clinton contribuì a realizzare le sanzioni che hanno ridotto alla fame gli iracheni ed il bombardamento della Serbia. In Germania, il partito dei Verdi ha partecipato a un governo di coalizione capitalista con il Partito socialdemocratico dal 1998 al 2005. Durante quel periodo, gli ambientalisti tedeschi si sono mescolati con l'estrema destra, il cui razzismo anti-immigrati fu ripreso dai Verdi in nome della lotta contro la sovrappopolazione. E’ stato il ministro degli esteri Joschka Fischer a schierare l’esercito tedesco oltre le frontiere della Germania, per la prima volta dal Terzo Reich di Hitler, partecipando alle guerre contro la Serbia e l'Afghanistan guidate dagli Stati Uniti.

L'ascesa del capitalismo verde

L’ambientalismo non è affatto antagonista alla produzione per il profitto privato. Un articolo del New York Times (21 aprile) dal titolo “Dopo 40 anni, la Giornata della terra è un grande business” ha commentato: “Il sentimento contro il business in occasione della prima Giornata della terra nel 1970 era tale che gli organizzatori non avevano accettato finanziamenti dalle aziende e tennero corsi su come ‘sfidare i leader aziendali e governativi’. Quarant’anni dopo, la giornata si è trasformata in una fondamentale piattaforma di marketing per la vendita di una vasta gamma di beni e servizi, come prodotti per ufficio, yogurt greco e prodotti ecologici per l’odontoiatria”.

Spargono più retorica “verde” i consigli di amministrazione di chiunque altro. Come conseguenza degli interessi conflittuali nella borghesia americana, nel 2009, molte aziende famose hanno abbandonato la Camera di commercio Usa per protestare contro la sua politica di negare il riscaldamento globale. Molte grandi aziende hanno scelto di passare a “emissioni zero” come il gigante Internet Google, che si vanta di costruire data center a basso consumo energetico e d’investire in impianti solari e parchi eolici aziendali.

L'ex amministratore delegato di British Petroleum (Bp), Lord Browne, ha contribuito a far nascere la moda a metà degli anni Novanta facendo apparire i guadagni in efficienza come tagli nelle emissioni e strombazzandoli nei comunicati stampa. In un'epoca in cui le sue controparti statunitensi riversavano milioni nelle casse della “Coalizione climatica globale”, uno dei gruppi industriali più espliciti nel combattere la riduzione delle emissioni, Browne ha previsto una cornucopia di sussidi e sgravi fiscali derivanti dal consenso emergente in Occidente nel trattare come un problema le emissioni di carbonio. Ha ribattezzato la sua società “Beyond Petroleum” [oltre il petrolio] e ha adottato un nuovo logo “ecologista” mentre trasformava Bp da un estrattore regionale di petrolio in un’impresa globale del petrolio, che si dilettava in energia “alternativa”. Nel frattempo Bp tagliava i costi, utilizzando materiali da costruzione a buon mercato e tagliando sui sistemi di sicurezza delle piattaforme petrolifere, ponendo le basi per numerosi “incidenti”, come l’esplosione dell’aprile 2010 che ha ucciso undici lavoratori e ha riversato milioni di litri di petrolio nel Golfo del Messico (vedi “Gulf Coast Disaster: Capitalist Profit Drive Kills”, Wv n. 961, 2 luglio 2010).

Mentre gli ambientalisti liberali di sinistra e l’International Socialist Organization riformista puntano il dito contro Bp per aver messo una foglia di fico verde alle sue attività sui combustibili fossili, Browne ha in effetti stabilito una moda per il movimento “go green”. L'attenzione dei media su di un calcolatore di consumi energetici apparso sul sito web di Bp nel 2005 ha contribuito a diffondere il concetto di riduzione individuale dell’impatto ambientale. L'anno successivo, il documentario di Al Gore An Inconvenient Truth [una verità scomoda] istruiva le persone ad abbandonare uno stile di vita presuntamente improntato agli sprechi consumando di meno, utilizzando meno acqua calda, sostituendo a casa le lampadine a incandescenza con quelle a basso consumo, e gonfiando correttamente le gomme dell'auto. La rivista The Economist di Londra, portavoce del capitale finanziario, ha ironicamente osservato, “Le scelte economiche individuali non faranno la benché minima differenza per il futuro del pianeta. Nessuno salverà la vita di un orso polare, spegnendo la luce”. (31 maggio 2007). Le conferenze di Al Gore sulla riduzione del consumo di certo non gli hanno impedito di godere del lusso della sua villa di Nashville, o del suo jet privato.

“Fare di più con meno” non è certo una scelta per i lavoratori disoccupati nel deserto industriale di Detroit o per le masse brulicanti che vivono nelle enormi baraccopoli di Calcutta. Le aziende che diventeranno “ecologiche” non miglioreranno le condizioni dei lavoratori sulle catene di montaggio, dove i padroni minacciano la loro vita e l'incolumità fisica accelerando la produzione per estrarre il massimo profitto. L'uso di energia “alternativa” non ridurrà la concentrazione di inquinamento nei quartieri poveri e della classe operaia. Le corporation che producono energia, ne rastrelleranno, comunque, i soldi.

I tentativi di utilizzare razionalmente le risorse del mondo e di contrastare il degrado ambientale su vasta scala si scontrano contro l’anarchia della produzione capitalista, che si basa sulla proprietà privata dei mezzi di produzione: le fabbriche, la tecnologia, terra, ecc. Per quanto ben organizzate possano essere le singole fabbriche, sotto il capitalismo non esiste un piano d’insieme dell'economia. Le decisioni di investimento, incluse quelle per ricerca e sviluppo, sono in primo luogo guidate dal profitto.

Friedrich Engels, che con Karl Marx ha fondato il socialismo scientifico moderno, ha osservato nel suo saggio incompiuto del 1876, “Il lavoro nel processo di umanizzazione della scimmia”:

“Il singolo industriale o commerciante è soddisfatto se vende la merce fabbricata o comprata con l’usuale profittarello e non lo preoccupa quello che in seguito accadrà alla merce o al compratore. Lo stesso si dica per gli effetti di tale attività sulla natura. Prendiamo il caso dei piantatori spagnoli a Cuba, che bruciarono completamente i boschi sui pendii e trovarono nella cenere concime sufficiente per una generazione di piante di caffè altamente remunerative. Cosa importava loro che dopo di ciò le piogge tropicali portassero via l’ormai indifeso ‘humus’ e lasciassero dietro di sé solo nude rocce? Nell’attuale modo di produzione viene preso prevalentemente in considerazione, sia di fronte alla natura che di fronte alla società, solo il primo, più palpabile risultato”.

Perché, allora, molti esponenti borghesi si preoccupano per l'ambiente? In primo luogo, un capitalista individuale si preoccupa quando si dimostra che gli inquinanti emessi da un processo industriale hanno un impatto sul suo benessere, e non solo su quello dei suoi schiavi salariati. Più in generale, un numero crescente di rappresentanti politici dei capitalisti è allarmato per il riscaldamento globale a causa delle conseguenze economiche e sociali negative che ne possono conseguire. In un articolo del New York Times (9 agosto 2009) dal titolo “Il cambiamento del clima visto come minaccia alla sicurezza degli Stati Uniti” cita analisti militari e dei servizi segreti che sollevano la prospettiva di un “intervento militare per far fronte alle conseguenze di violente tempeste, siccità, migrazioni di massa e pandemie” nei prossimi decenni. Il Pentagono sta già facendo progetti per la protezione delle sue installazioni fortificate al livello del mare e per rafforzare i confini contro i profughi. Il suo parlare di tutela degli interessi degli Stati Uniti è una ricetta per altri interventi imperialisti come l'occupazione di Haiti, mascherata da “intervento umanitario”, dopo il terremoto del gennaio 2010.

A sinistra, coloro che non credono più nella prospettiva della rivoluzione socialista proletaria sono rimasti con nient’altro che i loro scenari apocalittici e le proprie impotenti strategie riformiste. In New Left Review (gennaio-febbraio 2010), Mike Davis descrive la “rivoluzione globale” come “uno scenario del tutto irrealistico”, rassegnandosi ad un’imminente catastrofe ecologica. Davis ritiene che: “La crescente turbolenza ambientale e socio-economica, invece di dare il via a un’eroica innovazione e alla cooperazione internazionale, può semplicemente guidare le élite pubbliche in tentativi ancor più frenetici di isolarsi dal resto dell'umanità (...) L'obiettivo sarebbe la creazione di oasi verdi e protette di benessere permanente, in mezzo ad un pianeta ferito”.

L’“eco-socialista” ampiamente pubblicizzato, John Bellamy Foster, fa di tutto per trasformare Karl Marx in un proto-ambientalista, spogliando il marxismo del suo contenuto rivoluzionario. In Monthly Review (gennaio 2010), Bellamy parla di un “nuovo proletariato ambientale” costituito da piccoli contadini, disoccupati, abitanti delle baraccopoli e altri abitanti del Terzo mondo considerandoli come i “primi che saranno colpiti dalla calamità incombente” e “i principale agenti storici e promotori di una nuova epoca di rivoluzione ecologica”. Quest’idea ha chiare radici nella nuova sinistra degli anni Sessanta, che ha respinto la capacità unica che ha la classe operaia, sia nei paesi avanzati che nel mondo neocoloniale, di rovesciare l'ordine capitalistico e collettivizzare i mezzi di produzione. Dopo la scomparsa della nuova sinistra, un certo numero di attivisti radicali ha fatto pace con gli imperialisti, abbracciandone l’una o l'altra varietà di politica verde.

In effetti, nelle regioni di cui parla Bellamy, esiste un vero proletariato: i lavoratori che si spaccano la schiena nelle miniere di platino del Sud Africa, nelle catene di montaggio di auto in India e nelle fabbriche di aeroplani del Brasile. Così come nei paesi a capitalismo avanzato, quello che manca sono dei partiti operai rivoluzionari che mobilitino il potere sociale della classe operaia alla testa delle masse espropriate urbane e rurali per una rivoluzione socialista.

Un “cambio di sistema” pro-capitalista

Da parte sua, l’organizzazione riformista International Socialist Organization critica certe panacee ambientaliste, come la riduzione individuale dell’“impatto ambientale”, unendosi allo stesso tempo a liberali e verdi nel fare appello ai governi capitalisti affinché applichino pratiche eco-compatibili. In un articolo titolato “Hothouse Earth” [Terra-Serra] (International Socialist Review, marzo-aprile 2009), l’Iso propone un “piano d'azione del governo in materia ambientale” che in gran parte consiste nel consigliare l'amministrazione Obama ad investire in fonti energetiche non fossili. Rispecchiando i pregiudizi piccolo-borghesi che caratterizzano il movimento ambientalista, l'Iso si oppone al nucleare e da la colpa della rovina dell’ambiente al “capitalismo liberista non regolato” (nostro corsivo). Queste posizioni non sono una sorpresa, poiché negli ultimi anni l'Iso ha presentato candidati nel partito borghese dei Verdi.

L’affermazione in “Terra-Serra” che “solo un futuro socialista reca in sé la speranza di un futuro sostenibile per il pianeta” è una foglia di fico per la conclusione operativa dell’articolo: “C'è ancora molta speranza in Obama e molta attesa per un cambiamento che può essere incanalata in un movimento di pressione nei suoi confronti tale che lo spinga ad andare ben oltre le sue promesse elettorali”. Allo stesso modo, il Partito per il socialismo e la liberazione (Psl), ha sostenuto in un articolo del 25 maggio 2008 su un disegno di legge del Congresso in materia di clima: “Senza un movimento militante di massa per fermare il riscaldamento globale, tutto ciò che i politici offriranno saranno mezze misure che assicureranno il continuo flusso di profitti nelle casse degli inquinatori”.

I riformisti hanno avuto il loro “movimento” che ha protestato contro i negoziati Onu sul clima a Copenaghen nel dicembre 2009, quando in decine di migliaia si sono radunati rispondendo all'appello “Ad un cambiamento di sistema, non al cambiamento climatico” e rivendicazioni simili. Lo slogan, strombazzato dal Climate Justice Action (Cja), la Iso e altri, può significare molte cose diverse. Per il Cja, una rete internazionale di gruppi ambientalisti, il previsto “cambiamento” dovrebbe limitare la crescita economica “lasciando i combustibili fossili nella terra”. Ambientalisti di vario tipo hanno a lungo sostenuto che l'umanità abbia superato o supererà presto, il “limite di sostenibilità” del pianeta. Dal loro punto di vista, ci sono troppe persone che abitano il pianeta e possiedono troppo. Invariabilmente le proposte degli ambientalisti per limitare i consumi e ridurre la produzione, vanno di pari passo con le misure di austerità capitalista contro la classe operaia e i poveri sia nei centri industriali che nei paesi arretrati.

L'effetto principale della mobilitazione a Copenhagen è stato quello di implorare gli imperialisti “democratici” ad accelerare i negoziati sulla riduzione delle emissioni, come si vedeva in cartelli tipo: “Bla, bla, bla. Agire subito”, “Non c’è un pianeta di scorta” e “Il mondo vuole un vero accordo”. Le speranze erano riposte soprattutto sul comandante in capo imperialista Barack Obama, i cui sermoni sui problemi che il riscaldamento globale pone agli esseri umani coincidono con la sua escalation della sanguinaria occupazione in Afghanistan, l’estensione mondiale della potenza militare Usa e l’aumento degli attacchi ai diritti democratici negli Stati Uniti in nome della “guerra al terrore”.

Prima di Copenaghen, l'Iso, che ha accolto con entusiasmo l'ascensione di Obama alla Casa Bianca, piagnucolava in un articolo di Socialist Worker (2 luglio 2009) sul disegno di legge sul “cap-and-trade” della Casa Bianca: “Se tutto quello che sente è il suono dei dollari delle corporation che entrano nelle casse del Partito democratico, è chiaro che la terra e la vita umana, animale e vegetale saranno di molto subordinate alle considerazioni sui profitti delle imprese”. Come il Psl ed il resto della sinistra riformista, la Iso propone il mito che le priorità fondamentali dei governanti capitalisti possono essere modificate per servire gli interessi degli sfruttati e degli oppressi, se solo si esercita una sufficiente pressione sull'ala più liberale della borghesia, rappresentata negli Stati Uniti da una parte del Partito democratico. Per quanto, poco o tanto, facciano riferimento al socialismo, l'effetto dell'attività politica dei riformisti è stato giustamente caratterizzato da Trotsky in Le lezioni dell’Ottobre (1924) come “un’educazione delle masse mirante a riconoscere che lo Stato borghese è incrollabile”.

La crescita della popolazione e Malthus

In un modo o nell'altro, quasi tutti gli ambientalisti identificano la crescita della popolazione come la causa primaria del degrado ambientale. Robert Engelman del Worldwatch Institute ha espresso questa opinione in una edizione speciale di Scientific American (giugno 2009): “In un'era di cambiamento climatico e di economie in declino, i limiti maltusiani alla crescita sono tornati e hanno un doloroso impatto su di noi. Se una volta più persone portavano più inventiva, talento e innovazione, oggi sembra proprio significare meno per ciascuno” (corsivo originale).

Questa prospettiva rovescia il problema. E’'un fatto che la popolazione mondiale sia aumentata da 3 miliardi nel 1960 a 6,5 miliardi nel 2005 e si prevede che saranno raggiunti i sette miliardi l'anno prossimo. Il rapido tasso di crescita della popolazione ingigantisce i problemi endemici del modo di produzione capitalista, la povertà, la fame, il degrado ambientale, ma non è la causa di questi mali. Ad esempio, secondo il programma alimentare mondiale dell'Onu, la produzione alimentare di oggi è più di una volta e mezzo di quanto necessario ad alimentare con una dieta nutriente ogni persona sul pianeta. Tuttavia, i capitalisti manipolano il mercato alimentare mondiale per accumulare il maggior profitto possibile, non per sfamare gli affamati.

L’argomentazione classica che attribuisce alle masse impoverite la colpa della scarsità fu avanzata da Thomas Malthus. Parroco della Chiesa di Inghilterra, Malthus presentò due tesi nel suo scritto del 1798, Saggio sul Principio della popolazione: l'aumento della popolazione se non controllato varia seguendo una scala geometrica, mentre i mezzi di sussistenza crescono su scala aritmetica. Le due proposizioni messe insieme costituiscono il suo principio sulla popolazione, che concludeva che la crescita dell’umanità avrebbe superato le risorse del mondo, e da ciò ne derivava ogni miseria e ogni male.

Con questa argomentazione, i maltusiani allontanano la colpa della povertà di massa dall’attuale ordine sociale diviso in classi. La teoria di Malthus era parte integrante della controffensiva ideologica contro la Rivoluzione francese. Non solo l'aristocrazia feudale in tutta Europa, ma anche la borghesia inglese temeva che le “classi inferiori” facessero propri i principi di libertà, uguaglianza e fraternità. Il maltusianismo era un tentativo di dimostrare l'inevitabilità della privazione per le masse lavoratrici al fine di allontanarli da qualsiasi lotta sociale volta a migliorare la propria sorte.

Marx ed Engels demolirono sarcasticamente la teoria di Malthus, che Engels caratterizzò come “la più aperta dichiarazione di guerra della borghesia contro il proletariato” (La situazione della classe operaia in Inghilterra, 1845). Malthus proiettava come verità eterne gli specifici rapporti di sfruttamento che vigevano in quel momento tra salariati e capitalisti, così come gli antagonismi tra l'aristocrazia terriera e la borghesia urbana. Marx ha mostrato come la povertà della classe operaia sia fondata sull'appropriazione del plusvalore estratto dai lavoratori salariati (il proletariato) da parte dei capitalisti, che possiedono i mezzi di produzione. Ciò che è necessario per porre fine alla miseria e alle privazioni delle masse lavoratrici è l'espropriazione dei mezzi di produzione da parte del proletariato e l'espansione qualitativa delle forze produttive che si realizzerebbe in un’economia collettivizzata. La rivoluzione tecnologica nell'Europa del diciannovesimo secolo è stata in sé stessa una confutazione completa del maltusianismo, dimostrando la capacità di ampliare qualitativamente i mezzi di sussistenza.

I marxisti non sono affatto indifferenti al problema della rapida crescita della popolazione. Ma ci rendiamo conto che solo una società che può elevare il tenore di vita in tutto il mondo è in grado di fornire le condizioni per un naturale declino dei tassi riproduttivi. I paesi capitalisti avanzati, che hanno sperimentato condizioni di vita in progressivo miglioramento hanno generalmente visto un calo dei tassi di fertilità (il numero di bambini che mediamente una donna ha durante i suoi anni fertili), a volte in modo molto significativo. Con l'avvento dell'industrializzazione, i tassi di fertilità sono scesi drasticamente, prima in Francia, poi in Gran Bretagna, poi in gran parte del resto d'Europa e negli Stati Uniti. Nel 1970, 24 paesi avevano tassi di fertilità di 2,1 o meno, livello al quale la popolazione si stabilizza.

Ma questi progressi sono limitati in un mondo dominato dall'imperialismo, in cui miliardi di persone vivono in condizioni insopportabili. L’oppressione imperialista rafforza anche l’oscurantismo reazionario religioso e la brutale oppressione delle donne in tutto il pianeta. Durante la Guerra fredda antisovietica, per esempio, gli Stati Uniti hanno consapevolmente aiutato le forze fondamentaliste islamiche come baluardo contro il “comunismo senza Dio” e il nazionalismo laico. Nel 1950, John Foster Dulles, che divenne segretario di Stato tre anni dopo, dichiarò: “Le religioni orientali sono profondamente radicate e hanno molti valori preziosi. Il loro credo spirituale non può essere conciliato con l'ateismo comunista e il materialismo. Questo crea un legame comune tra noi”.

La borghesia dei paesi arretrati conta anch’essa su religione e superstizione per consolidare il proprio dominio, ad esempio il governo indiano che alimenta lo sciovinismo indù. Nel frattempo, con la propria posizione medievale contro l'aborto e la messa al bando del controllo delle nascite, la Chiesa cattolica, che domina su più di un miliardo di persone, è un importante contributo alla crescita della popolazione. Gli Stati Uniti, da parte loro, non sono secondi a nessuno tra i paesi capitalisti avanzati in fatto di penetrazione del credo religioso.

Nell’articolo “In Defense of Science and Technology—An Exchange on Eco-Radicals and HIV Denialists” (Wv n. 843, 4 marzo 2005) abbiamo osservato:

“La società comunista sarà basata su un insieme di valori sociali completamente diversi da quelli che esistono oggi. La liberazione delle donne dal dominio patriarcale significherà accesso completo e libero al controllo delle nascite e alla contraccezione. Il comunismo alzerà lo standard di vita di tutti al più alto livello possibile. Eliminando la scarsità, la povertà e il bisogno, il comunismo eliminerà anche la più grande forza motrice per la diffusione della religione e della superstizione, e l’arretratezza che ne consegue, che definisce il ruolo delle donne come produttrici della prossima generazione di masse di lavoratori da sfruttare”.

Con il comunismo, gli esseri umani avranno una padronanza di gran lunga maggiore del loro ambiente naturale e sociale. Sia la divisione fra città e campagna che la dipendenza economica dalla famiglia saranno superate. Il tempo in cui le persone erano costrette ad avere numerosi figli, al fine di assicurare una sufficiente manodopera per lavorare la terra o per assistere gli anziani sarà passato da tempo. Come scrisse Engels in una lettera del 1881 a Karl Kautsky:

“In teoria, è ovviamente possibile che il genere umano aumenti numericamente a tal punto che la sua crescita dovrà essere mantenuta entro limiti determinati. Ma se la società comunista dovesse mai vedersi costretta a regolare la produzione di esseri umani allo stesso modo in cui ha già regolato la produzione di cose, allora, e solo allora, sarà in grado di farlo senza difficoltà” [nostra traduzione].

Capitalismo, tecnologia e produzione di energia

E’ comune per gli eco-radicali “anticapitalisti”, che sono sorpresi da come le corporation rovinano l'ambiente, mettere un segno uguale tra capitalismo e tecnologia. In questa tesi, il capitalismo è tutt'uno con il consumo di merci, compresi i beni necessari a vivere. “Ecologisti estremisti” e altri primitivisti portano l’ideologia ambientalista alla sua logica conclusione: opponendosi all'industria e alla civiltà per proteggere il resto della natura dagli esseri umani. Tale visione potrebbe essere realizzata in pratica solo con la morte di miliardi di persone. In “La questione agraria e i 'critici di Marx'” (1901), una polemica contro il “marxista legale” neo-maltusiano Sergej Bulgakov, V.I. Lenin ha osservato:

“Nel passato non è mai esistita nessuna età dell’oro, e l’uomo primitivo era completamente schiacciato dalle difficoltà dell’esistenza, dalle difficoltà della lotta con la natura. L’introduzione di macchine e di modi di produzione perfezionati ha immensamente facilitato all’uomo questa lotta e, in particolare, la produzione degli alimenti. Non è aumentata la difficoltà di produrre gli alimenti, ma la difficoltà per l’operaio di ottenerli; è aumentata perché lo sviluppo capitalistico ha elevato la rendita fondiaria e il prezzo della terra, ha concentrato l’agricoltura nelle mani di grandi e piccoli capitalisti, ha concentrato ancor più le macchine, gli attrezzi, il denaro, senza i quali una buona produzione è impossibile”.

Durante il periodo del suo sviluppo iniziale, il capitalismo diede alla luce la scienza moderna e la rivoluzione industriale, che iniziò con la scoperta e l'uso del carbone nei motori a vapore. La combinazione della macchina a vapore e della tecnologia delle macchine trasformò presto qualitativamente la produzione, sostituendo agli artigiani individuali gli operai salariati che lavorano collettivamente in grandi stabilimenti. Allo stesso tempo, la proprietà privata dei mezzi di produzione divenne sempre più un ostacolo all'ulteriore sviluppo delle forze produttive.

L'espansione della produzione richiese sempre più risorse energetiche, prima il carbone e dopo, sempre di più, il petrolio. Oggi, quattro tra le sei aziende con i più alti profitti al mondo operano nel settore petrolifero, che da solo fornisce oltre un terzo dell'energia del mondo. Migliaia di miliardi di dollari sono investiti a livello mondiale nelle infrastrutture legate alla produzione e alla raffinazione di petrolio e gas. Altri derivati del petrolio, come l'asfalto, la gomma e la plastica, svolgono anch’essi un ruolo fondamentale nelle economie industriali.

I magnati capitalisti e i loro governi sono tutt’altro che in procinto di rinunciare ai loro investimenti storici in combustibili fossili. Né lo sarebbe un governo dei lavoratori. Mentre un’economia pianificata e collettivizzata promuoverebbe una ricerca scientifica per sviluppare fonti di energia più sicure e più efficienti, potrebbe essere costretta a funzionare per qualche tempo basandosi su carbone e idrocarburi (petrolio e gas naturale). Come abbiamo scritto in “Eco-Faddism and Nuclear Power” (Young Spartacus n. 55, giugno 1977):

“I marxisti non sono insensibili agli aspetti ambientali del progresso tecnologico. Ma la nostra preoccupazione è temperata da una grande dedizione all'eliminazione scientifica della scarsità e della miseria umana. La rivoluzione proletaria vittoriosa utilizzerà la scienza e la tecnologia per fornire le basi materiali per il superamento della 'condizione umana' della guerra, della povertà e delle privazioni, i tratti distintivi della società divisa in classe”.

Leone Trotsky, massimo dirigente insieme a Lenin della Rivoluzione d'Ottobre del 1917, catturò la contraddizione posta dallo sviluppo tecnologico sotto il capitalismo, scrivendo:

“La tecnologia e la scienza hanno una propria logica, la logica della conoscenza della natura e della sua padronanza nell'interesse dell'uomo. La tecnologia e la scienza non si sviluppano però nel vuoto, ma nella società umana, che è divisa in classi. La classe dominante, la classe possidente, controlla la tecnologia e attraverso di essa controlla la natura. La tecnologia in sé non può essere chiamata né militarista né pacifista. In una società in cui la classe dirigente è militarista, la tecnologia è al servizio del militarismo”. (“Radio, scienza, tecnologia e società”, marzo 1926) [nostra traduzione]

Noi difendiamo le conquiste della scienza e della tecnologia fatte sotto il capitalismo e capiamo che una società socialista si baserebbe su tali progressi. Oggi, l'applicazione di tale tecnologia è legata al perseguimento dei profitti della borghesia. Anche le tecnologie meglio conosciute sono applicate pericolosamente e con grandi costi sociali, sia che ciò avvenga in modo cosciente o meno. Il disastro del Golfo del Messico dell’aprile scorso, che ha ucciso undici lavoratori, è stato la prova del fatto che il settore dell'energia è uno dei più pericolosi per i lavoratori, in quanto le pratiche di sicurezza conosciute vengono completamente ignorate. Sebbene gli impianti di energia solare ed eolica non richiedano l’estrazione di alcuna risorsa, queste industrie su piccola scala hanno tuttavia anch’esse avuto le loro vittime. In tutta l'industria, noi lottiamo per il controllo sindacale delle condizioni di lavoro e, quando vi sono rischi specifici, azioni per chiudere le attività. Ciò richiede uno sforzo concertato per organizzare sindacalmente il crescente numero di aziende non sindacalizzate e le aziende appaltatrici.

I marxisti rivoluzionari non hanno alcun interesse nel consigliare alla borghesia il modo migliore per soddisfare le proprie esigenze energetiche. Ci preoccuperemo del modo migliore per fornire energia al pianeta, quando il proletariato internazionale lo guiderà. Solo allora sarà possibile valutare adeguatamente l'opportunità di utilizzare l’una o l'altra tecnologia. Riconosciamo che ci sono problemi associati con tutti i tipi di produzione di energia, come quella basata sul carbone. A seconda del suo grado, il carbone può avere più del 90 per cento di carbonio puro. Il carbone è anche in grado di produrre una quantità di calore inferiore a quella del gas naturale (metano). Di conseguenza, la combustione del carbone produce più anidride carbonica per unità di energia rispetto al gas. Ma sostenere oggi, in una società guidata dal profitto, che una fonte di energia è intrinsecamente più sicura, o più razionale, rispetto ad un’altra è una ricetta per il disastro. Considerate quanto segue:

- Nel 2008, il clamore negli Stati Uniti sul bio-etanolo prodotto dal mais usato come carburante ha provocato una diminuzione del raccolto di grano alimentare, contribuendo a innescare una crisi alimentare che ha schiacciato i poveri del mondo in un momento di forte espansione della produzione agricola mondiale.

- Anche se un numero crescente di impianti a carbone in tutti gli Stati Uniti hanno ridotto l'inquinamento atmosferico, molti di loro stanno scaricando rifiuti tossici nei bacini di rifornimento idrico. Da quando un impianto distante 40 miglia da Pittsburgh ha installato una tecnologia di lavaggio delle sue ciminiere per intrappolare residui inquinanti, ogni giorno ha riversato decine di migliaia di litri di acque reflue in un fiume vicino, che fornisce acqua potabile a 350 mila persone.

- Mentre si marcia in modo incerto verso la costruzione di nuove centrali nucleari negli Stati Uniti, i proprietari dei vecchi impianti hanno richiesto l’autorizzazione per continuare ad operare fino a 40 anni oltre la durata di vita prevista per i loro reattori.

Gli ambientalisti storicamente hanno denunciato l'energia nucleare, anche se alcuni la considerano ormai un possibile sostituto all'uso di combustibili fossili, soprattutto con l'avvento dei reattori integrali veloci (Ifr), che sono progettati per generare meno rifiuti e sono meno inclini alla fusione del nocciolo in caso di incidenti. Noi ci opponiamo alla campagna ambientalista contro il nucleare, ma non avalliamo le politiche e le attività dei proprietari dei reattori o delle agenzie governative che li regolano. Mentre il pianeta contiene una quantità finita di uranio, nuovi reattori autofertilizzanti, come l'Ifr, utilizzerebbero meno dell’un per cento dell'uranio consumato attualmente dai reattori ad acqua leggera. C'è anche la possibilità del futuro sviluppo della tecnologia per la fusione nucleare per produrre energia.

Tutto questo non significa negare la realtà dei rischi sulla sicurezza dei reattori nucleari da lungo tempo irrisolti, in particolare relativi allo smaltimento dei rifiuti. Eppure, enormi quantità di rifiuti nucleari sono anche dei sottoprodotti dell’uso militare del nucleare. Il vasto arsenale nucleare nelle mani degli Stati Uniti e degli altri paesi imperialisti rappresenta un pericolo molto più grande per l'umanità di quanto non lo siano una perdita accidentale da impianti nucleari o i rifiuti. Gli Stati Uniti sono l'unico paese ad avere usato la bomba atomica, incenerendo centinaia di migliaia di esseri umani nelle città giapponesi di Hiroshima e Nagasaki nell'agosto 1945.

Difendere lo Stato operaio cinese!

La superiorità dell’economia pianificata è stata dimostrata dall'esperienza dell'Unione Sovietica. La Rivoluzione russa del 1917 guidata dai bolscevichi spezzò il dominio capitalista e stabilì forme di proprietà proletaria, ponendo le basi per un miglioramento qualitativo della vita delle masse lavoratrici non ottenibile nei paesi rimasti incatenati al dominio imperialista. In Urss, tutti avevano un alloggio, assistenza sanitaria, istruzione e lavoro. Anche se isolata e, nonostante la degenerazione dello Stato operaio controllato dalla burocrazia stalinista a partire dal 1923-24, l'Unione Sovietica è stata trasformata da una società arretrata prevalentemente contadina in una potenza industriale moderna. Nel 1925, l'Unione Sovietica era l’undicesimo produttore al mondo di energia elettrica. Nel 1935 si attestava al terzo posto dietro Germania e Stati Uniti. Durante la Seconda guerra mondiale, i sovietici furono in grado nel giro di un anno di ricostruire le industrie distrutte dall'invasione nazista.

Tuttavia, la burocrazia stalinista ha fatalmente minato lo Stato operaio sovietico con il suo dogma profondamente anti-marxista della “costruzione del socialismo in un solo paese”. Il socialismo, lo stadio inferiore della società comunista senza classi, si basa sull’abbondanza materiale, che richiede rivoluzioni proletarie a livello internazionale, inclusi i paesi industrializzati più avanzati. Gli stalinisti si sono opposti alla prospettiva della rivoluzione proletaria mondiale e invece hanno perseguito l’accomodamento all'imperialismo. Dopo decenni di tradimento stalinista e incessante pressione imperialista, l'Unione Sovietica è caduta nelle mani delle forze della restaurazione capitalista nel 1991-92, una sconfitta storica per la classe operaia e gli oppressi di tutto il mondo.

In seguito, la Cina è diventata il bersaglio principale degli imperialisti per la controrivoluzione capitalista. Per distruggere lo Stato operaio nato dalla Rivoluzione cinese del 1949, gli imperialisti hanno aumentato la pressione militare contro Pechino, perseguendo allo stesso tempo una politica di sovversione interna sia economica che politica, compresa la promozione di forze controrivoluzionarie, come il movimento per il “Tibet libero” guidato dal Dalai Lama.

A differenza del primo Stato sovietico, lo Stato operaio cinese era deformato dal suo inizio sotto il dominio della burocrazia stalinista nazionalista del Partito comunista. Oggi la lotta per difendere la Cina e gli altri Stati operai deformati rimanenti, Corea del Nord, Vietnam e Cuba [e Laos], contro l’imperialismo e la controrivoluzione capitalista si pone urgentemente. La nostra difesa della Cina, così come della Corea del Nord, comprende il sostegno al loro sviluppo di armi nucleari e sistemi missilistici per lanciarli. Allo stesso tempo, come trotskisti lottiamo per la rivoluzione politica proletaria per spazzar via la burocrazia stalinista e consegnare il potere nelle mani dei consigli di operai e contadini (soviet) impegnati nella lotta per la rivoluzione proletaria mondiale.

Questo è il quadro in cui trattiamo il problema del degrado ambientale e altri problemi sociali oggi in Cina. Molti ambientalisti si uniscono con gli imperialisti nell’accusare la Cina, che ha superato gli Stati Uniti come primo emettitore al mondo di gas serra. Fino ad oggi, Pechino ha respinto gli sforzi da parte degli imperialisti per costringere la Cina ad un calendario di tagli alle emissioni, mettendo allo stesso tempo in ridicolo il fatto che l’Occidente incolpi la Cina per un incremento delle emissioni dovute alla produzione di beni finanziati con capitali occidentali per l'esportazione verso l'Occidente.

Attualmente, il 70 percento del fabbisogno energetico della Cina proviene dalla combustione del carbone. Ciò include l'uso diffuso di carbone come combustibile domestico nelle zone rurali, non solo nelle sue centrali. La Cina si basa sul carbone, perché il carbone è quello che ha. Questo spiega perché gli imperialisti Usa sono così insistenti sulla limitazione delle emissioni della Cina (mentre escludono le proprie dai controlli). Limitare la produzione e l'utilizzo del carbone minerebbe gravemente l'economia cinese. Allo stesso tempo, l’enorme bisogno di carbone ha contribuito a stimolare la proliferazione di miniere di proprietà privata che sono delle trappole mortali, i cui padroni corrompono gli ispettori governativi per evitare controlli di sicurezza. Questa è una delle ragioni principali per i frequenti disastri minerari mortali in Cina.

Nonostante gli elementi di capitalismo seguiti alle “riforme di mercato”, il cuore dell’economia cinese resta basato sulla proprietà collettivizzata, e fornisce un esempio di cosa può essere fatto quando il principio guida non è la generazione di profitto. Mentre il mondo capitalista si è impantanato in una recessione, la Cina ha conosciuto un’enorme crescita economica, in gran parte conseguenza di un massiccio programma di stimolo economico basato su banche e industrie statali (vedi “Le operaie e le contraddizioni della Cina contemporanea”, Spartaco n.72).

In questo stesso periodo, Pechino ha annunciato piani per ridurre drasticamente il tasso di crescita della produzione di anidride carbonica entro il 2020. A tal fine, il governo centrale ha intenzione di destinare cinquemila miliardi di yuan (738 miliardi di dollari) nei prossimi dieci anni per sviluppare fonti più pulite di energia, comprese l'energia eolica e solare, così come auto elettriche e ibride. La Cina è già emersa come “costruttore leader al mondo di centrali a carbone più efficienti e meno inquinanti, padroneggiandone la tecnologia e riducendone i costi” (New York Times, 11 maggio 2009). Alcuni anni fa, la Cina ha completato la linea ferroviaria Qinghai-Tibet, la più lunga al mondo ad una quota così alta, la prima a raggiungere il Tibet. Un articolo su Science (27 aprile 2007) notava che il progetto potrebbe essere ricordato come un “miracolo ecologico”, notando tra l'altro la sua rete di tunnel che evitano di interferire con la migrazione stagionale degli animali, la deviazione del tracciato per contornare le zone umide e l'isolamento dei binari per evitare di destabilizzare il permafrost.

Tuttavia, ci sono problemi ambientali molto reali in Cina. Le grandi città soffocano sotto cappe tossiche. Massicci scarichi di rifiuti industriali rendono un terzo dei fiumi del paese e ampie parti dei suoi laghi inadatti all’uso industriale o agricolo, e diverse centinaia di milioni di cinesi non hanno accesso all’acqua potabile. Sebbene sia operativa una legislazione per ridurre l'inquinamento, i burocrati corrotti e venali non fanno rispettare con rigore le leggi. Insieme con le lotte dei contadini e dei lavoratori contro le difficoltà economiche, vi sono state numerose proteste relative all'inquinamento, circa cinquantamila nel solo 2005. Nel mese di agosto 2009, centinaia di residenti nel nord-ovest della provincia dello Shaanxi hanno preso d'assalto una fonderia accusata di aver fatto ammalare più di seicento bambini. Lo scorso luglio, più di mille persone hanno lanciato pietre contro la polizia e bloccato strade nel sud della Cina per protestare contro l'inquinamento provocato dagli impianti di proprietà di uno dei maggiori produttori privati di alluminio del paese.

Nonostante i suoi progressi storici, la Cina resta segnata dalla sua eredità rurale arretrata. Sotto il regime stalinista, la malgestione burocratica dell'economia collettivizzata combinata agli effetti di tre decenni di “riforme di mercato” ha portato a una crescente disparità e ad una miriade di problemi sociali irrisolti. Una rivoluzione politica proletaria creerebbe un regime di democrazia operaia basata su consigli operai e contadini (soviet), che deciderebbe la strategia economica e altre questioni chiave non attraverso il fiat burocratico, ma attraverso un dibattito aperto. Le fabbriche non sarebbero gestite dai funzionari di una burocrazia che agisce per i propri interessi, ma dai consigli di fabbrica, in cui i sindacati, liberi dal controllo burocratico, svolgerebbero un ruolo attivo.

Tuttavia, nessuna quantità di democrazia operaia può sostituire la tecnologia avanzata, e il tempo, necessari a superare il divario urbano-rurale e altri esempi di arretratezza persistente della Cina. Guidati da un partito leninista-trotskista, lo Stato operaio cinese si impegnerebbe nella lotta per la rivoluzione proletaria in tutta l'Asia e soprattutto nei paesi capitalisti avanzati. Una rivoluzione politica proletaria in Cina, avrebbe un impatto enorme sulla coscienza dei lavoratori a livello internazionale, rivitalizzando la lotta di classe e soprattutto la consapevolezza che il suo obiettivo finale deve essere la rivoluzione socialista.

Per un’economia mondiale collettivizzata e pianificata sotto il potere operaio!

Al contrario degli ideologi verdi che divinizzano la natura “incontaminata”, noi sappiamo che fin dai primi giorni in cui i nostri antenati popolavano la terra, hanno lasciato la loro impronta nel mondo naturale, che a sua volta ha influenzato lo sviluppo della civiltà. Nel corso degli anni l'intervento umano, dalla pulizia di grandi appezzamenti di terreno per poterli lavorare in agricoltura alle fabbriche che operano emettendo fumo alla detonazione di bombe atomiche, ha sia accelerato i processi naturali che aggiunto complicazioni. In “Il lavoro nel processo di umanizzazione della scimmia”, Engels cataloga varie conseguenze non intenzionali dei tentativi di manipolare la natura da parte di diversi popoli in diverse epoche e osserva:

“Ad ogni passo ci vien ricordato che noi non dominiamo la natura come un conquistatore domina un popolo straniero soggiogato, che non la dominiamo come chi è estraneo ad essa ma che noi le apparteniamo con carne e sangue e cervello e viviamo nel suo grembo: tutto il nostro dominio sulla natura consiste nella capacità, che ci eleva al di sopra delle altre creature, di conoscere le sue leggi e di impiegarle nel modo più appropriato”.

Affinché ci sia qualche possibilità di poter far crescere in modo razionale le forze produttive, di utilizzare le risorse del pianeta e di affrontare le sfide del cambiamento climatico, il decadente capitalismo moderno se ne deve andare. La pianificazione cosciente e su larga scala che è necessaria è del tutto incompatibile con la logica del profitto e della concorrenza, l'anarchia del mercato e le crisi di sovrapproduzione, la divisione del mondo in Statinazione e le rivalità interimperialiste. Ci vorranno una serie di rivoluzioni proletarie per realizzare un’economia socialista, internazionalmente pianificata, che libererà le capacità produttive del genere umano e eliminerà la scarsità, presupposto per la scomparsa delle classi e dello Stato in una società comunista.

Per affrontare la distanza che separa il “primo mondo” dal “Terzo mondo”, una federazione internazionale di Stati operai gestirebbe le risorse produttive del mondo in modo da aumentare enormemente il livello di vita delle masse impoverite in Africa, Asia e America Latina, che oggi, sotto il giogo imperialista, sono private di beni di prima necessità come un alloggio decente, cure sanitarie, istruzione di qualità, e acqua potabile. Sarebbero possibili una pianificazione urbana razionale, una vasta rete di trasporti gratuiti di massa e la riduzione dei rifiuti. Notevoli risorse potrebbero essere investite nello sviluppo di fonti energetiche a basse emissioni, e potrebbero essere adottate misure per attenuare l'impatto dei cambiamenti climatici, fornendo massicci aiuti alle sue vittime, dal cibo all’acqua potabile, alle medicine, alle risorse per trasferire intere città e le popolazioni delle isole a rischio di essere sommerse.

Nessuno può impedire agli tsunami di formarsi né alle placche tettoniche di spostarsi. Né i marxisti sostengono di essere in grado di risolvere tutti i problemi dell'umanità. Come lo storico marxista Isaac Deutscher ha notato in un discorso del 1966 intitolato “Sull’uomo socialista”, “Stiamo lottando in prima istanza con le situazioni che sono prodotte dall'uomo e che l'uomo può risolvere” e ha continuato:

“Trotsky, per esempio, parla di tre tragedie che affliggono l’uomo: la fame, il sesso e la morte. La fame è il nemico che il marxismo e il movimento operaio moderno affrontano (…) Ma non è forse vero che la fame, o, più in generale, la disuguaglianza sociale e l’oppressione, hanno intensificato ed enormemente complicato per innumerevoli esseri umani anche i tormenti del sesso e della morte? (…) Sì, l’uomo socialista continuerà ad essere perseguitato dal sesso e dalla morte, ma siamo convinti che sarà meglio attrezzato di noi per far fronte anche a questi”.

Quando il proletariato prende il potere e compie la sua missione storica di emancipazione universale, scriveva Engels in L’evoluzione del socialismo dall’utopia alla scienza (1880):

“La cerchia delle condizioni di vita che circondano gli uomini e che sinora li hanno dominati passa ora sotto il dominio e il controllo degli uomini, che adesso per la prima volta, diventano coscienti ed effettivi padroni della natura, perché, ed in quanto, diventano padroni della loro propria organizzazione sociale (…) Solo da questo momento gli uomini stessi faranno con piena coscienza la loro storia, solo da questo momento le cause sociali da loro poste in azione avranno prevalentemente, e in misura sempre crescente, anche gli effetti che essi hanno voluto”.

E’ obiettivo della Lega comunista internazionale (quartinternazionalista) forgiare partiti operai d’avanguardia che sono necessari a guidare il proletariato, alla testa di tutti i diseredati e gli oppressi, in una lotta vittoriosa per un futuro socialista.

Tradotto da Workers Vanguard, n. 965, del 24 settembre 2010 e n. 966 del 8 ottobre 2011.