Spartaco n. 75

Gennaio 2012

 

140° Anniversario

Insegnamenti Della Comune Di Parigi

Riproduciamo in forma leggermente adatt ata, un corso sulla Comune tenuto dalla compagna S. Williams, del Comitato centrale della Spartacist League degli Stati Uniti.

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140 anni fa, il 18 marzo del 1871, la classe operaia di Parigi si sollevò ed istituì il suo Stato operaio, per quanto di breve durata e limitato ad una città. Dopo la fuga da Parigi di gran parte del governo capitalista e dell’esercito, gli operai spazzarono via ciò che ne restava e iniziarono a governare. La Comune durò solo poche settimane, fino alla fine di maggio del 1871. La Comune fu il primo assaggio di quella che Engels, nella sua introduzione del 1891 a La guerra civile in Francia di Marx, chiamò “la dittatura del proletariato”. Lenin studiò attentamente la Comune: editò e pubblicò la seconda edizione, in lingua russa, de La guerra civile in Francia. Si basò sugli insegnamenti della Comune nella sua opera Stato e rivoluzione, scritta nel periodo immediatamente precedente alla Rivoluzione d’Ottobre del 1917, così come ne La rivoluzione proletaria e il rinnegato Kautsky, scritto dopo la rivoluzione. Anche noi, come Lenin, dobbiamo trarre l’insegnamento decisivo che, a differenza della Rivoluzione russa, che fu vittoriosa, la Comune fu priva di una direzione all’altezza e finì in un massacro.

Il retroterra della Comune

L’idea di “comune” risale al Medioevo. In epoca feudale, man mano che le città crescevano divenendo centri di scambio, i loro abitanti (artigiani, mercanti e una borghesia sempre più numerosa), tentavano talora di ottenere un riconoscimento scritto dell’esenzione dai tributi feudali, che gli consentisse di godere di una sorta di autogoverno cittadino “in comune”. Più tardi, all’epoca della rivoluzione borghese in Francia, a Parigi sorse una “comune” tra il 1792 e il 1793. Essa fu il punto d’appoggio del più radicale tra i giacobini, Maximilien Robespierre e fu chiamata la “comune insurrezionale”. Rivendicava il suffragio universale maschile e si appoggiava a sua volta sui cittadini in armi. Nel 1871 gli operai si rifecero a questi modelli. In La guerra civile in Francia, Marx scrisse: “E' comunemente destino di tutte le creazioni storiche completamente nuove di essere prese a torto per riproduzioni di vecchie e anche defunte forme di vita sociale, con le quali possono avere una certa rassomiglianza. Così questa nuova Comune, che spezza il moderno potere statale, venne presa a torto per una riproduzione dei Comuni medioevali”. La Comune del 1871 era nuova in virtù della sua natura proletaria rivoluzionaria.

Per capire i personaggi che svolsero un ruolo nella Comune di Parigi, dobbiamo partire dalle rivoluzioni precedenti, nel 1848, quando le insurrezioni contro la reazione monarchica e feudale attraversarono il continente europeo. Sin dal 1830 in Francia regnava Luigi Filippo d’Orléans, che governava per conto dei capitalisti finanziari e industriali. Nel febbraio del 1848 scoppiò una vasta insurrezione contro la monarchia orleanista, che venne rovesciata e sostituita da un governo provvisorio borghese, cui parteciparono anche alcuni rappresentanti dei socialisti e degli operai. Gli operai spinsero il Governo provvisorio ad istituire i cosiddetti “Atelier nazionali”, che avrebbero dovuto dare lavoro ai disoccupati di Parigi. L’opposizione di sinistra al Governo provvisorio era capeggiata da Auguste Blanqui, i cui sostenitori avrebbero svolto un ruolo anche nella Comune. Nell’aprile del 1848 il Governo provvisorio organizzò le elezioni per l’Assemblea costituente (con l’opposizione di Blanqui). La maggioranza della popolazione francese, i contadini reazionari, votò per una coalizione di destra di monarchici appoggiati dalla borghesia, che si definiva il Partito dell’ordine. Tra i suoi capi vi era un uomo di nome Adolphe Thiers, il futuro macellaio della Comune. Nel giugno del 1848, l’Assemblea costituente democraticamente eletta, decretò l’abolizione degli Atelier nazionali, provocando l’insurrezione degli operai di Parigi. L’insurrezione operaia del giugno del 1848 venne brutalmente soppressa dall’Assemblea e migliaia di operai e di oppressi furono uccisi, in un preludio a quello che sarebbe avvenuto dopo la sconfitta della Comune.

Nel 1848 la classe operaia emerse come forza di classe indipendente, non solamente in Francia, ma in tutta Europa, mentre la borghesia dimostrò di essere divenuta una classe controrivoluzionaria. Nei secoli precedenti, nel corso delle grandi rivoluzioni borghesi, la borghesia aveva rovesciato le monarchie feudali. Invece nel 1848, essa si era alleata agli elementi feudali reazionari per schiacciare gli operai. Prima della rivoluzione del 1848, Marx ed Engels, che vi parteciparono, ritenevano possibile che il partito proletario si alleasse all’opposizione borghese repubblicana nel corso di una rivoluzione democratico-borghese (perlomeno in Francia e in Germania). Tuttavia, quando trassero le lezioni del 1848, nel loro celebre Indirizzo del 1850, Marx ed Engels sottolinearono che il partito operaio doveva agire indipendentemente dalla borghesia e dalla piccola borghesia e fecero il punto che per un partito operaio “il grido di battaglia dev’essere: la rivoluzione in permanenza”.

Appena prima del 1848 Marx ed Engels avevano svolto un ruolo decisivo nella formazione di un’organizzazione chiamata la Lega dei comunisti, un piccolo gruppo di comunisti rivoluzionari il cui programma era il Manifesto del partito comunista. Ma nel giro di pochi anni, dopo le rivoluzioni del 1848, la Lega dei comunisti si sgretolò. Nel 1871, all’epoca della Comune, Marx ed Engels erano i dirigenti di quella che si chiamava Associazione internazionale dei lavoratori, la Prima internazionale, costituita nel 1864 come conseguenza della ripresa del movimento operaio in Europa dopo la sconfitta delle rivoluzioni del 1848. A differenza della Lega dei comunisti, che era un’organizzazione di quadri, la Prima internazionale includeva molte correnti ideologiche, sia rivoluzionarie che piccolo borghesi. Le idee di Pierre-Joseph Proudhon erano molto forti nella sezione francese dell’Internazionale. Proudhon fu uno dei padri ideologici dell’anarchismo, un’ideologia piccolo-borghese che rispecchiava gli interessi dei piccoli artigiani e non quelli del proletariato industriale. I seguaci di Proudhon erano “mutualisti”, non credevano nelle azioni di sciopero o nella lotta “politica”. Pensavano che la società dovesse essere costituita da piccoli proprietari e si battevano per delle “Società di mutuo soccorso” che fornissero credito gratuito o a buon mercato. Vedevano la loro arma nella “lotta economica”. Anche Blanqui (che non aderì all’Internazionale), godeva di una vasta influenza nel movimento operaio francese. Engels lo definì un “rivoluzionario della vecchia generazione” perché le origini della sua ideologia risalivano ai comunisti giacobini radicali del periodo successivo alla Rivoluzione francese del 1789. Blanqui credeva nella politica della cospirazione segreta, dell’organizzazione di piccole minoranze in cellule clandestine, destinate a venire alla luce e tentare una rivoluzione tramite insurrezioni armate. Blanqui, con un migliaio di compagni, fece un tentativo nel 1839. Il risultato, prevedibile, fu che finirono tutti in galera.

Della Prima internazionale facevano parte anche alcuni sindacalisti inglesi. In Inghilterra, a differenza degli altri paesi d’Europa, i sindacati costituivano un movimento di massa, benché su basi politiche democratico-borghesi. Nell’Internazionale inoltre vi erano dei tedeschi provenienti dalla Lega dei comunisti e un miscuglio eclettico di altri individui, tra cui degli italiani e dei polacchi. L’anarchico Mikhail Bakunin si era alleato alla Prima internazionale nel 1868-69, pur mantenendo in segreto un’organizzazione parallela, l’Alleanza internazionale della democrazia socialista, che fu fonte di costanti tensioni con Marx ed Engels. I seguaci di Bakunin, come quelli di Proudhon, facevano riferimento alla piccola borghesia e non alla classe operaia come motore del cambiamento sociale. Bakunin credeva che lo Stato capitalista potesse essere abolito di punto in bianco e si opponeva all’idea di una dittatura del proletariato come ad ogni altra “autorità”. Come scrisse più tardi Engels, per Bakunin “l’autorità = lo Stato = il male assoluto”. Come Proudhon, anche Bakunin rifiutava la “lotta politica” a favore della “lotta economica”. Per chi vuole saperne di più, Joseph Seymour scrisse su Young Spartacus (1976-1979) una bellissima serie di articoli sui primi comunisti e le rivoluzioni del 1848, intitolata “Il marxismo e la tradizione comunista giacobina”. Anche l’opuscolo “Marxismo contro anarchismo” contiene interessanti dettagli su Proudhon e Bakunin.

Parigi e lo sviluppo industriale

Nel periodo successivo alle insurrezioni operaie del 1848, il proletariato industriale crebbe rapidamente in Europa occidentale sulla scia dello sviluppo dell’industria: nei vent’anni compresi tra la sconfitta del 1848 e la Comune, la produzione industriale e il commercio estero della Francia raddoppiarono. Nel 1840 c’erano pochissime ferrovie al di fuori della Gran Bretagna e degli Usa. Ma già nel 1870 la Francia possedeva una rete ferroviaria lunga 11 mila chilometri, migliaia di chilometri di linee telegrafiche e la cantieristica navale si era sviluppata enormemente. La corsa all’oro in California riforniva d’oro l’Europa. Il capitale finanziario crebbe con la fondazione delle enormi banche francesi come il Crédit Lyonnais o il Crédit Foncier, che a loro volta finanziarono l’enorme espansione dell’industria e dell’edilizia.

Anche se la natura della classe operaia parigina restava in gran parte artigianale o strutturata in piccole officine (una delle ragioni dell’influenza di Proudhon), lo sviluppo di un proletariato industriale significativo in Francia (e in qualche misura anche a Parigi), rappresentò comunque un cambiamento rispetto all’epoca precedente al 1848, quando Marx ed Engels pensavano che il proletariato, soprattutto in Francia ed in Germania, avesse bisogno di tempo per svilupparsi economicamente come classe. Come osservato da Engels nella sua introduzione alla Guerra civile in Francia scritta da Marx: nel 1871 la grande industria “aveva già cessato di essere un caso eccezionale anche a Parigi, sede centrale dell'artigianato artistico” e, “come ben giustamente dice Marx”, la guerra civile “doveva alla fine portare al comunismo, cioè all'opposto diretto della teoria proudhoniana”.

Parallelamente al crescere dell’industria, crebbe rapidamente anche la popolazione urbana. Tra il 1831 ed il 1872 la popolazione di Parigi fu più che raddoppiata. Nei vent’anni prima della Comune, il Barone Haussmann, un funzionario governativo, realizzò a Parigi un vasto piano di sviluppo urbanistico. Prima di Haussmann, Parigi non rassomigliava molto a quella che conosciamo oggi, ma sembrava una città medievale, fatta di vicoli stretti, abitazioni ammassate disordinatamente nel centro, vie buie e sporche piene di criminali e le classi lavoratrici e la plebe afflitte da malattie di ogni tipo. Le classi medie “rispettabili” erano terrorizzate dal centro della città, che era anche storicamente il centro delle rivolte contro le classi dominanti. Haussmann fece radere al suolo questa parte della città, sostituendovi i “Grand boulevard”, strade ampie con incroci ad angolo retto che facilitavano i movimenti di truppe e la rimozione di barricate. Haussmann stesso ebbe a dire: “Abbiamo sventrato la vecchia Parigi, il quartiere delle rivolte e delle barricate, e aperto pezzo a pezzo un’ampia breccia nell’intrico impenetrabile dei vicoli”. Gli operai vennero espulsi dal centro cittadino e spinti nei quartieri collinari, come Belleville e Montmartre, che sarebbero diventati le roccaforti della Comune.

La guerra franco-prussiana

L’evento scatenante della formazione della Comune di Parigi fu la guerra franco-prussiana del 1870. Per gran parte del Diciannovesimo secolo la Germania non fu un paese unico. Nella rivoluzione del 1848, Marx e altri socialisti lottarono per l’unificazione della Germania. Ma quando nel 1848 la borghesia tedesca si alleò con la reazione feudale, il risultato fu la sopravvivenza di molti staterelli di lingua tedesca dominati dalla nobiltà locale o soggetti al controllo straniero. Il più forte tra gli stati tedeschi era la Prussia, governata dalla monarchia degli Hohenzollern. Verso la metà degli anni Sessanta dell’Ottocento, sotto il regno di Guglielmo I, emerse la forte figura di un cancelliere, Otto von Bismarck. Scontrandosi prima con la Danimarca e poi con l’Austria per il controllo delle province tedesche, Bismarck accelerò il processo di unificazione della Germania culminato nella fondazione della Confederazione tedesca settentrionale del 1867. Per portare a termine l’unificazione della Germania, Bismarck dovette scontrarsi con il predominio francese sulle regioni occidentali: lo fece costringendo Napoleone III a dichiarare guerra alla Prussia con la minaccia di installare sul trono di Spagna un re proveniente dalla nobiltà prussiana (la Francia si sarebbe trovata circondata da governi filoprussiani).

Luigi Napoleone (nipote del primo Napoleone) salì al potere in seguito alla sconfitta dell’insurrezione proletaria francese del giugno del 1848. Era stato presidente della Repubblica tra il 1848 ed il 1851, ma nel dicembre del 1851 capeggiò un colpo di Stato, abolendo l’Assemblea nazionale. Un anno dopo, dichiarò il Secondo impero, incoronandosi imperatore Napoleone III. Parlando dei due Napoleone, ne Il Diciotto brumaio di Luigi Bonaparte, Marx scrisse ironicamente che “Hegel nota in un passo delle sue opere che tutti i grandi fatti e i grandi personaggi della storia universale si presentano, per così dire, due volte. Ha dimenticato di aggiungere la prima volta come tragedia, la seconda volta come farsa”.

Il 19 luglio 1870, Napoleone III dichiarò guerra alla Prussia. Iniziava la guerra franco-prussiana. L’Internazionale, con la dichiarazione di Marx sulla guerra nel “Primo indirizzo del Consiglio generale sulla guerra franco-prussiana” (19-23 luglio 1870), si schierò militarmente con la Germania in un’ottica internazionalista rivoluzionaria. Sostenne che si trattava di una guerra difensiva e appoggiò l’unificazione della Germania, opponendosi politicamente a Bismarck e a Napoleone III. Marx avvertì anche che “Se la classe operaia tedesca permette alla guerra presente di perdere il suo carattere puramente difensivo e di degenerare in una guerra contro il popolo francese, in tal caso tanto una vittoria quanto una sconfitta saranno egualmente disastrose”.

Ma nel giro di poche settimane la Prussia occupò agevolmente varie parti della Francia. Il colpo decisivo si ebbe quando le truppe francesi furono sconfitte in una battaglia nella città di Sedan, nella Francia orientale, tra l’1 e il 2 settembre del 1870, battaglia in cui furono presi prigionieri più di 80 mila soldati e ufficiali francesi, tra cui lo stesso Napoleone III. Alla notizia della sconfitta e cattura di Napoleone III, scoppiarono proteste operaie in tutta la Francia contro la monarchia napoleonica, a favore della repubblica e contro la capitolazione ai prussiani. La mattina del 4 settembre gli operai di Parigi invasero il Parlamento e Palazzo Borbone. Le masse cacciarono fisicamente i deputati. Léon Gambetta, un politico repubblicano borghese, fu costretto ad annunciare l’abolizione dell’impero di Napoleone III e a proclamare la Terza repubblica. Gli operai trascinarono alcuni deputati all’Hotel de Ville, che era sede del governo di Parigi, dove venne costituito un Governo di difesa nazionale.

A partire da quel giorno, il 4 di settembre, il “Governo della difesa nazionale” visse nella “paura della classe operaia”. La sua direzione era formata “in parte di noti orleanisti [borghesi monarchici], in parte di repubblicani borghesi, in alcuni dei quali l'insurrezione del giugno 1848 ha lasciato il suo marchio indelebile” (Marx, “Secondo indirizzo del Consiglio generale sulla guerra franco-prussiana”, 6-9 settembre 1870). A dispetto del nome, i gruppi di politicanti borghesi raccolti nel “Governo di difesa nazionale” non avevano nessuna intenzione di combattere i prussiani ed erano preoccupati soprattutto di tenere a bada una rivolta operaia. Come dichiarò in seguito l’allora ministro degli esteri Jules Favre: il governo di difesa nazionale aveva preso il potere per “respingere le forze dell’anarchia e impedire che a Parigi scoppiasse una vergognosa rivolta”.

A qualche giorno di distanza dalla sconfitta dei francesi a Sedan, all’inizio di settembre del 1870, la Prima internazionale rese pubblico il “Secondo indirizzo sulla guerra franco-prussiana” scritto da Marx, che salutava la formazione della repubblica francese e condannava l’invasione prussiana della Francia. L’Internazionale chiese che non venissero annesse alla Germania le province dell’Alsazia e della Lorena, dove si parlava un dialetto tedesco, ma che si consideravano da molto tempo francesi. Marx avvertì anche del pericolo in cui si sarebbe incorsi con una insurrezione degli operai francesi, che considerava prematura (anche se, quando la Comune si realizzò, Marx, Engels e l’Internazionale furono i primi a battersi per la sua causa). Detto questo, non tutte le forze eterogenee dell’Internazionale ebbero lo stesso atteggiamento: Marx ed Engels criticarono la sezione francese dell’Internazionale che aveva pubblicato una dichiarazione “sciovinista” al “popolo tedesco” in nome del “popolo francese”, vale a dire su base nazionalista borghese e non internazionalista proletaria. Questa continuò ad essere una debolezza politica degli elementi che avrebbero poi guidato la Comune. Come spiegò Lenin, “nell’unione di compiti contraddittori, patriottismo e socialismo, consistette il fatale errore dei socialisti francesi”: solo la borghesia francese avrebbe dovuto portare “la responsabilità dell’umiliazione nazionale: compito del proletariato è di lottare per l’emancipazione socialista del lavoro dal giogo della borghesia”.

Parigi assediata e l’armistizio

Dopo il 4 settembre 1870 la Francia continuò la guerra contro i prussiani ma con una direzione borghese indecisa. In breve tempo, i prussiani circondarono Parigi. La città venne posta sotto assedio e nel giro di poche settimane si trovò alla fame. Nel mese di ottobre ormai non solo le masse lavoratrici ma anche i borghesi avevano iniziato a cibarsi di carne di cavallo (la classe operaia la mangiava già dalla crisi industriale del 1866). A metà novembre si mangiavano gli animali domestici e anche topi e piccioni viaggiatori. Lo scrittore Victor Hugo ricevette porzioni di cervi e antilopi del giardino zoologico. Il combustibile per il riscaldamento scarseggiava e gli operai e i poveri di Parigi si ritrovarono al gelo. Infine, dall’inizio di gennaio del 1871 i prussiani cominciarono a bombardare incessantemente la città.

In questo periodo, tra l’autunno e l’inverno del 1870-71, ci furono altre rivolte operaie e alcuni fiacchi tentativi da parte del governo borghese di attaccare i prussiani. Il 31 ottobre del 1870, in città si sparse la notizia che la seconda armata francese era stata sconfitta a Metz e che Thiers si era recato a Parigi per trattare l’armistizio con Bismarck. Ma gli operai francesi si opposero all’armistizio e il 31 ottobre si rivoltarono in diverse città. Nel corso dell’insurrezione di Parigi, i capi rivoluzionari, incluso Blanqui, presero in ostaggio dei membri del Governo di difesa nazionale. I socialisti costrinsero il governo a promettere la convocazione delle elezioni per la Comune, promessa che non fu mantenuta. I ministri finsero di accettare solo per calmare la rabbia e guadagnare tempo, in modo che i soldati fedeli al governo potessero sorprendere e disarmare gli operai che tenevano in ostaggio il Governo di difesa nazionale. Col fallimento dell’insurrezione e con Parigi che restava assediata, il governo allacciò delle trattative segrete coi prussiani.

Alla fine di gennaio del 1871, la maggior parte della popolazione francese era ormai esausta. Il 28 gennaio, Jules Favre si recò a Versailles per trattare un armistizio coi prussiani a nome del Governo di difesa nazionale. Le condizioni della resa erano durissime: il pagamento alla Prussia di un’indennità di 200 milioni di franchi da cominciarsi nel giro di due settimane. La resa immediata di quasi tutte le fortezze che circondavano Parigi. La consegna delle armi e delle munizioni dell’esercito (ma non quelle della Guardia nazionale). L’annessione alla Germania dell’Alsazia e della Lorena. E per finire l’indizione di elezioni per un’Assemblea nazionale.

Le elezioni per l’Assemblea nazionale si tennero l’8 febbraio del 1871. L’Assemblea era dominata dai monarchici eletti dai contadini conservatori delle campagne (gli operai insorti nelle città francesi chiamavano l’Assemblea e i suoi sostenitori i “rurali”). A capo del governo, i reazionari dell’Assemblea nazionale misero Adolphe Thiers, che nel 1848 era tra i capi del Partito dell’ordine che aveva massacrato gli operai. Poiché Versailles era ancora occupata dai prussiani, l’Assemblea nazionale si riunì a Bordeaux, nella Francia sud occidentale. Un mese dopo, il 1 marzo, dopo aver sfilato simbolicamente lungo gli Champs-Élysées, i prussiani si ritirarono da Versailles, mantenendo l’occupazione dei territori ad est di Parigi e nella Francia settentrionale a garanzia del pagamento delle riparazioni di guerra.

La Guardia nazionale

Vorrei aprire una parentesi sulla Guardia nazionale. A Parigi, la Guardia nazionale costituiva una forza distinta dall’esercito francese. L’esistenza della Guardia nazionale risaliva agli albori della Rivoluzione francese del 1789, quando era una milizia borghese formata da cittadini. Durante la breve restaurazione della monarchia borbonica la Guardia nazionale venne abolita, per essere poi ricostituita nel 1830. Successivamente, le dimensioni e la composizione di classe della Guardia nazionale mutarono a seconda delle circostanze politiche. Nella rivoluzione del 1848, per esempio, crebbe da una piccola forza borghese conservatrice fino ad annoverare 250 mila persone con una grande maggioranza di battaglioni formati da poveri e operai. Dopo la sconfitta del 1848 tornò ad essere un ristretto corpo borghese. Il 4 settembre del 1870, alla dichiarazione della Terza repubblica, la polizia di Parigi fuggì e la Guardia nazionale rimase la principale forza armata in città. Perciò nell’inverno del 1870-71, durante l’assedio prussiano, gli operai della Guardia nazionale di Parigi vennero armati perché non c’era altra forza per respingere i prussiani. La Guardia nazionale tornò a crescere a più di 300 mila persone. Durante l’assedio si mobilitarono tutte le risorse della città per produrre munizioni e grazie ad una sottoscrizione lanciata da Victor Hugo, gli operai versarono dei fondi per la costruzione di cannoni.

Alla fine di gennaio del 1871, dopo la firma dell’armistizio coi prussiani, alla borghesia francese rimanevano soltanto 15 mila soldati regolari, mentre i rimanenti erano prigionieri di Bismarck. Nel frattempo a Parigi 300 mila operai si erano armati nella Guardia nazionale e molti di loro erano dei “rossi”. Pressato dai banchieri francesi, per avere i soldi per effettuare i primi pagamenti imposti dall’armistizio con i prussiani, Thiers doveva prima disarmare gli operai di Parigi. Nelle sue stesse parole, “gli uomini di affari non facevano che ripetere continuamente che le operazioni finanziarie non sarebbero mai partite finché non avessimo fatto fuori gli straccioni e tolto loro i cannoni”.

Gli operai della Guardia nazionale organizzarono subito l’opposizione all’armistizio del gennaio 1871. I battaglioni della Guardia nazionale cominciarono a costituire dei comitati elettorali su basi repubblicane di sinistra per le elezioni dell’8 febbraio. Dopo la conquista dell’Assemblea nazionale da parte dei monarchici, la Guardia nazionale convocò dei nuovi raduni e continuò ad organizzare gli operai di Parigi per circa un mese tra i primi di febbraio e i primi di marzo. Thiers nominò “generale” della Guardia nazionale un brutale ufficiale dell’esercito. Il 3 marzo del 1871, opponendosi alla decisione di Thiers, alcuni capi della Guardia nazionale (affiliati alla Prima internazionale), si ribellarono e nominarono una direzione provvisoria, chiedendo che fossero indette le elezioni per un nuovo Comitato centrale. Come ebbe ad osservare Marx, l’insurrezione di Parigi “contro il Governo di difesa non data al 18 marzo, per quanto sia questo il giorno della sua prima vittoria contro i cospiratori, ma al 28 gennaio, il giorno stesso della capitolazione”.

Agli inizi di marzo, tutta Parigi era ricoperta di manifesti rosso vivo che annunciavano le elezioni per il Comitato centrale della Guardia nazionale ed esortavano i cittadini ad organizzarsi in tutti i quartieri e in tutti gli arrondissements (distretti). In risposta alla campagna organizzativa della Guardia nazionale, i reazionari dell’Assemblea nazionale sostennero che Parigi era nelle mani di “incendiari e sciacalli”. Per timore delle masse plebee, il governo decise di trasferirsi da Bordeaux a Versailles (e non a Parigi) dopo che questa fu sgomberata dai prussiani. L’Assemblea inoltre prese delle misure vendicative contro gli operai e la piccola borghesia delle città. Abolì lo stipendio della Guardia nazionale, che per molti parigini rappresentava una delle poche fonti di reddito. L’Assemblea godeva anche dell’appoggio dei proprietari immobiliari, che pretendevano il pagamento di tutti gli affitti arretrati del periodo di assedio, misura che colpì un ampio settore della popolazione. Pretese anche il pagamento di tutti i debiti arretrati con gli interessi, nel giro di quattro mesi, misura che colpiva soprattutto i piccoli negozianti.

L’insieme di queste misure provocò una vasta esplosione di collera, ma la scintilla dell’insurrezione operaia di Parigi scoccò nelle prime ore del mattino del 18 marzo 1871. Per mancanza di truppe, Thiers fece infiltrare di nascosto in città dei battaglioni dell’esercito per rubare i cannoni della Guardia nazionale. I cannoni erano stati lasciati incustoditi, sintomo della mancanza di organizzazione cosciente da parte della Guardia nazionale. Le lattaie che arrivavano in città all’alba videro che l’esercito cercava di trasportare uno dei cannoni pagati coi soldi degli operai, avvisarono la Guardia nazionale e fermarono fisicamente i soldati, insultandoli perché agivano contro la Repubblica. La Guardia nazionale cominciò a radunarsi e a rivolgersi direttamente ai soldati di leva, che passarono dalla sua parte. Quando il generale Lecomte, che li comandava, ordinò di sparare sulla popolazione disarmata, i soldati rifiutarono e insieme alla Guardia nazionale arrestarono il generale ed un altro ufficiale. Ben presto, in tutta Parigi l’esercito disobbediva agli ordini e fraternizzava con le masse. Verso la fine della giornata, venne riconosciuto in strada Clément Thomas, un politico borghese che aveva appoggiato la brutale repressione degli operai nel giugno del 1848. Insieme al generale Lecomte, venne messo al muro e fucilato dagli insorti.

Dopo l’insurrezione e l’ammutinamento del 18 marzo, il governatore di Parigi fuggì a Versailles ed il potere cadde nelle mani del Comitato centrale della Guardia nazionale, che mise immediatamente in atto delle misure favorevoli alle masse lavoratrici. Il 21 marzo fu sospesa la vendita degli oggetti nei monti di pietà (impegnare i propri averi era uno dei pochi modi in cui i parigini poveri avevano potuto sopravvivere all’assedio). Vennero abolite alcune delle decisioni reazionarie dell’Assemblea nazionale, prolungati i termini di pagamento dei debiti e vietati gli sfratti per mancato pagamento dell’affitto. Pur avendo in mano il potere, il Comitato centrale cominciò a spingere per le elezioni alla Comune, nell’illusione che fosse possibile negoziare le elezioni con i sindaci borghesi degli arrondissements di Parigi, che erano tutti sostenitori di Thiers. Dopo pochi giorni, quasi tutti i sindaci borghesi e i loro sostenitori erano fuggiti a Versailles per unirsi all’Assemblea nazionale.

La Comune e la dittatura del proletariato

Fu così che il Comitato centrale della Guardia nazionale si trovò alla testa di Parigi, concentrando nelle proprie mani l’intero apparato materiale del potere. Per usare le parole di Trotsky, era un consiglio di deputati degli operai armati e della piccola borghesia. Ma il Comitato centrale della Guardia nazionale non si vedeva come un’autorità rivoluzionaria centrale. Marx sostenne che, dato che la borghesia era appena fuggita, era disorganizzata e priva di truppe, il Comitato centrale, invece di indire le elezioni per la Comune “avrebbe dovuto marciare immediatamente su Versailles”, mentre invece si era lasciato “sfuggire il momento decisivo a causa dei suoi scrupoli di coscienza”. Vale a dire, invece di distruggere i suoi nemici, il Comitato centrale aveva cercato di esercitare su di loro un’influenza morale e aveva lasciato indisturbata Versailles, consentendogli di raccogliere le forze per preparare in un secondo momento la distruzione della Comune.

Anche in altre città di Francia erano scoppiate delle insurrezioni dopo il settembre del 1870. Dopo il 18 marzo si formarono delle comuni a Lione, St. Etienne e a Le Creusot, un centro dell’industria pesante. Ma il Comitato centrale prima e il Consiglio della Comune poi, rimasero legati alle idee anarcoidi di “federazione” e “autonomia” e come fece notare Trotsky, tentarono di “sostituire alla rivoluzione proletaria che si stava sviluppando, una riforma piccolo borghese: l’autonomia comunale. Il vero compito rivoluzionario consisteva nell’assicurare al proletariato il potere in tutto il Paese. La sua base doveva essere Parigi (…) per realizzare quest’obiettivo bisognava sconfiggere Versailles senza perdere tempo e inviare agitatori, organizzatori e forze armate in tutta la Francia”.

Nonostante le sue debolezze, la Comune di Parigi rappresentava il nucleo di uno Stato operaio. Come scrissero Marx ed Engels, il proletariato non può “semplicemente prendere possesso della macchina statale bell’e pronta e metterla in moto per i propri fini”. Gli operai dovevano spazzar via ciò che restava dello Stato borghese e sostituirlo con la loro dittatura di classe, la “dittatura del proletariato”. E’ proprio ciò che avvenne. Il 28 marzo, due giorni dopo le elezioni per la Comune, per il nuovo Consiglio della Comune, organizzate dalla Guardia nazionale, si riunì il governo proletario di Parigi. Il suo primo decreto sancì la soppressione dell’esercito permanente, mettendo al suo posto il popolo armato. Trasformò anche la burocrazia statale, abbassandone gli stipendi e rendendo revocabili in qualsiasi momento tutti i funzionari. Ecco come venne sinteticamente descritta la Comune da un suo membro, il proudhoniano di sinistra Jean-Baptiste Millière: “la Comune non è un’assemblea costituente. E’ un consiglio militare. Il suo unico obiettivo dev’essere la vittoria. La sua unica arma, la forza. La sua unica legge, la legge della salvezza sociale (citato da Trotsky in Terrorismo e comunismo, 1920). Nel Manifesto del partito comunista, Marx ed Engels avevano già compreso che gli operai dovevano avere un loro Stato, che cioè il proletariato doveva essere “organizzato come classe dominante”. Dopo l’esperienza del 1848, Marx ed Engels avevano compreso che bisognava spezzare la macchina statale borghese, ma ciò che avrebbe preso il suo posto rimaneva astratto. Prendendo a modello la Comune, giunsero ad una comprensione chiara di come sarebbe stata la “dittatura del proletariato”.

Voglio spiegare cosa è la “dittatura del proletariato”. La Comune fu una finestra sul futuro, ma in effetti una rivoluzione operaia su ampia scala fu realizzata solo dai bolscevichi nel 1917, quando gli operai e i soldati, guidati dal Partito bolscevico, si organizzarono in consigli, simili a ciò che era stata la Comune. Essi rovesciarono lo Stato capitalista e fondarono uno Stato operaio sovietico, lo sviluppo sociale più avanzato dell’intera storia umana. I revisionisti di ogni sorta distorcono il significato di “dittatura del proletariato” per dipingere la Comune coi colori di una pacifica democrazia borghese, rigettando la lezione fondamentale sia della Comune sia della Rivoluzione bolscevica. Il primo a farsi portavoce di questo revisionismo fu Karl Kautsky, uno dei capi del Partito socialdemocratico tedesco e della Seconda internazionale, che durante la Prima guerra mondiale abbandonò il più elementare internazionalismo marxista per schierarsi con la sua classe dominante. Più di recente un altro revisionista, l’ormai defunto Daniel Bensaïd, leader dello pseudo trotskista Segretariato unificato, ha riciclato varie tesi di Kautsky (senza menzionare l’autore) in un articolo del 2008, ristampato da poco in Francia in Tout è a Nous! La Revue, la rivista del Nuovo partito anticapitalista.

Kautsky, parafrasiamo, sosteneva che a differenza della Rivoluzione bolscevica (cui egli si opponeva definendola un “golpe”), “la Comune di Parigi è stata una dittatura del proletariato, ma essa è stata eletta a suffragio universale, cioè senza che la borghesia venisse privata dei suoi diritti elettorali, cioè ‘democraticamente’” (Lenin, La rivoluzione proletaria e il rinnegato Kautsky, 1918). Anche Bensaïd sostiene che la “forma” della “dittatura del proletariato” nella Comune restò “quella del suffragio universale”. Entrambi insomma cercano di ridurre la “dittatura del proletariato” nella Comune ad una questione di “democrazia” generale e di “suffragio universale”. Noi marxisti sappiamo che non esiste affatto una “democrazia” priva di connotati di classe. Anche se difendiamo il massimo di democrazia sotto il capitalismo, il “suffragio universale” è una forma di democrazia borghese, cioè una forma del dominio della classe capitalista. Sia Lenin che Trotsky, nelle istruttive repliche a Kautsky (rispettivamente La rivoluzione proletaria e il rinnegato Kautsky e Terrorismo e comunismo) fecero notare che la borghesia era già fuggita da Parigi al momento delle elezioni per la Comune e che, pur trattandosi di elezioni a suffragio universale, queste rappresentavano in sostanza un voto di classe, il voto del proletariato. A definire la Comune come “dittatura del proletariato” fu piuttosto la soppressione dell’esercito permanente e la sua sostituzione con gli operai in armi.

Dipingere la Comune con le tinte della democrazia borghese significa glorificare il capitalismo e far scomparire le fondamentali lezioni che il marxismo trasse dalla Comune. Considerato a scala nazionale, il “suffragio universale” non rappresentava gli interessi della classe operaia. La reazionaria Assemblea nazionale giunta al potere l’8 febbraio era stata eletta a “suffragio universale” e cercò di schiacciare la Comune, che aveva rovesciato il dominio di classe della borghesia. In effetti, all’epoca della Comune, vi furono dei “socialisti” che appoggiarono la democrazia borghese contro gli operai. Tra questi vi era una figura storica, Louis Blanc, che si oppose ai comunardi perché erano “insorti contro un’assemblea eletta con la massima libertà!” Quei “socialisti borghesi” e non i comunardi, sono i veri predecessori di Kautsky e Bensaïd.

Cosa fece la Comune e chi ne fece parte

Uno dei problemi principali dopo l’ascesa al potere della Comune fu l’influenza esercitata dalla sua direzione piccolo borghese e anarcoide, la cui conseguenza fu che vari elementi della Comune rifiutavano il centralismo e “l’autorità”. Come disse Trotsky, nella Comune pullulavano i “socialisti borghesi” e Marx lamentò il fatto che “la Comune sprecasse tanto tempo in sciocchezze e conflitti personali. E’ evidente che vi operano influenze diverse da quelle degli operai”. Tuttavia, per il fatto stesso di aver preso il potere, la Comune fu spinta dalla logica dei fatti ad attuare misure a vantaggio degli operai e della piccola borghesia, spesso in contrasto con il programma formale dei suoi partecipanti.

Ma chi erano i deputati del Consiglio della Comune? Una varietà di persone, da un borghese giacobino radicale di nome Charles Delescluze, a circa 40 membri della Prima internazionale, in maggioranza sotto l’influenza di Proudhon (morto nel 1865) e in minor misura di Mikhail Bakunin (il principale contributo di Bakunin nel 1870-71 fu il tentativo di capeggiare un’insurrezione a Lione alla fine di settembre del 1870: in quell’occasione dichiarò l’abolizione dello Stato borghese, dopodiché lo Stato schiacciò rapidamente la sua insurrezione). Della Comune facevano parte anche alcuni sostenitori di Auguste Blanqui e altri variegati elementi, come il faccendiere piccolo borghese Félix Pyat, il calunniatore di Marx da cui l’Internazionale si era pubblicamente dissociata nel 1870.

Un ruolo importante fu quello svolto da Léo Frankel. Frankel, di professione orafo, faceva parte della Comune e vi sostenne le riforme più avanzate che furono introdotte a vantaggio della classe operaia. Spinse per l’abolizione del lavoro notturno dei panettieri e perché le cooperative operaie e i sindacati si impadronissero delle fabbriche inattive. Chiese che la Comune non accettasse offerte al ribasso che riducevano i salari, sostenendo che la Comune doveva acquistare solo dalle cooperative operaie. In questa battaglia fu perdente, anche se il Consiglio della Comune accettò di istituire un salario minimo.

Della Comune facevano parte anche una decina di sostenitori di Blanqui. Ma il 17 marzo, appena prima di tentare il furto dei cannoni della Guardia nazionale, Thiers fece arrestare preventivamente Blanqui (ormai anziano) per impedire che attorno a lui si raccogliessero gli operai parigini. I blanquisti agivano in modo cospirativo. Il loro punto di vista si riassumeva nelle parole di Raoul Rigault, uno dei capi blanquisti della Comune: “Senza Blanqui non si può fare nulla. Con Blanqui, tutto”. Perciò trascorsero gran parte della rivoluzione cercando di liberare Blanqui.

L’accusa isterica e velenosa che gli storici borghesi continuano a rivolgere alla Comune, per dipingere falsamente gli operai come violenti assetati di sangue, riguarda il fatto perfettamente legittimo che essi presero alcuni ostaggi, tra cui l’arcivescovo di Parigi Georges Darboy, sperando di scambiarli con Blanqui. (In seguito, quando i versagliesi stavano ormai schiacciando la Comune, Darboy e una decina di ostaggi vennero fucilati). La verità è che fu proprio Thiers a cercare di fare dell’arcivescovo un martire della causa controrivoluzionaria. Da parte sua Darboy implorò i versagliesi di fare lo scambio, scrivendo che “tutti sanno che Versailles non vuole né uno scambio né la riconciliazione”.

Tra le riforme attuate dalla Comune vi furono la separazione della Chiesa dallo Stato, l’espropriazione delle proprietà della Chiesa e l’istituzione di un’istruzione pubblica gratuita. Inoltre la Comune mise in pratica a tutti gli effetti un programma per i “pieni diritti di cittadinanza per gli immigrati”, con la partecipazione in prima fila di molti stranieri, tra cui i polacchi Jaroslaw Dombrowski e Walery Wroblewski, due tra i più validi comandanti militari della Comune, e Léo Frankel, che come ho detto era nato in Ungheria e aveva collaborato col movimento operaio tedesco. Anche le donne giocarono un ruolo importante nella Comune. L’Unione delle donne per la difesa di Parigi e per il soccorso ai feriti venne fondata da Elisabeth Dmitrieff, inviata a Parigi da Marx e conoscente sua e delle sue figlie. Con l’aiuto di Frankel, la sua Unione produceva vestiti per la Guardia nazionale, in modo da mobilitare le donne e schierarle dalla parte della rivoluzione. Louise Michel, che fu forse la più famosa tra le donne della Comune, organizzò un corpo di infermiere che soccorrevano i feriti anche sotto il fuoco nemico e salvavano i comunardi feriti dalle orribili suore che gestivano gli ospedali dell’epoca.

Marx sosteneva che la Comune avesse commesso un terribile errore nel non impadronirsi delle banche. Il 20 marzo il Comitato centrale della Guardia nazionale, che aveva bisogno di denaro liquido, si recò dai Rothschild per ottenere l’apertura di una linea di credito presso la loro banca. Questa “prestò” un milione di franchi al nuovo governo operaio di Parigi. Ma nelle cassaforti della Banca di Francia c’erano miliardi di franchi, lingotti d’oro, buoni del tesoro e titoli di ogni sorta. Privati della banca tutti i capitalisti sarebbero stati in ginocchio davanti alla Comune. Lissagaray, fondamentale storico della Comune che in seguito avrebbe collaborato con Marx a Londra, osservò che “Dopo il 19 marzo i governatori della banca vissero come dei condannati a morte, ogni giorno in attesa dell’esecuzione del tesoro. Di trasferirlo a Versailles, nemmeno a parlarne. Ci sarebbero voluti da sessanta a ottanta vagoni e un corpo dell’esercito”. Furono i proudhonisti della Comune che, prostrandosi di fronte alla santità della proprietà privata, non vollero saperne di toccare la Banca di Francia.

Tuttavia, come ho già detto, alcune misure prese dalla Comune erano direttamente contrapposte al programma formale di alcuni dei suoi partecipanti. Organizzando l’industria e la manifattura su larga scala, la Comune fece dei passi verso la socializzazione, l’esatto contrario del programma proudhonista, che invocava la piccola proprietà. I blanquisti credevano nei metodi cospirativi e nella costruzione di società segrete, ma in pratica durante la Comune le loro dichiarazioni rivendicavano una libera federazione di comuni, cioè un’ampia organizzazione nazionale.

Il più simbolico tra gli atti della Comune, che gli attirò l’ira della borghesia, fu l’abbattimento della Colonna Vendôme. In un’atmosfera di festa si vendettero i biglietti per lo spettacolo dell’abbattimento di questo monumento alle conquiste militari del primo Napoleone. Il 16 maggio la Comune la distrusse, a simboleggiare la sua opposizione al militarismo borghese. Il più celebre sostenitore del suo abbattimento fu l’artista Gustave Courbet. Un altro storico simbolo nato con la Comune fu l’inno del movimento operaio, “l’Internazionale”, scritta dopo la sconfitta della Comune dal poeta operaio Eugène Pottier, che aveva fatto parte del Consiglio della Comune. Per usare le parole di Lenin, la Comune fu una “festa degli oppressi”. Infatti molti comunardi erano riuniti per un concerto all’aperto al tiepido sole primaverile quando, il 21 maggio, i versagliesi si infiltrarono in città per cominciare il loro massacro sistematico.

Disorganizzazione e sconfitta sanguinosa

Le sortite militari della Comune furono ostacolate sia dall’assenza di una vera direzione militare, sia dalla continua rivalità con la Guardia nazionale, che cedette solo in parte il potere alla Comune. Non vi fu mai un chiaro comando centralizzato delle forze armate. E dopo che i comunardi rinunciarono a marciare immediatamente su Versailles il 18 marzo, Thiers e le forze della controrivoluzione cominciarono a ricostituirsi. A partire dai primi di aprile del 1871 i versagliesi bombardarono costantemente Parigi e grazie ad un accordo con Bismarck ottennero la liberazione di 60 mila soldati francesi prigionieri che aumentarono il numero di truppe leali che circondavano Parigi. Dopo una serie di sortite molto mal dirette contro i versagliesi tra i primi di aprile e i primi di maggio, la svolta venne il 9 maggio, quando i comunardi persero il forte di Issy, un forte cruciale posto tra Parigi e Versailles. Dopo quello di Issy cadde anche il forte di Vanves. Infine, il 22 maggio, un traditore segnalò alle truppe versagliesi che la porta di St. Cloud, dalla quale si accedeva alla città, era stata lasciata incustodita e queste iniziarono a penetrare a Parigi.

Nelle settimane precedenti, l’esercito della Comune era stato in preda alla più completa disorganizzazione. Non vi erano né un’effettiva direzione né disciplina e, sotto i costanti bombardamenti versagliesi, cresceva la spinta verso un governo forte, centralizzato e dittatoriale. Il primo maggio, alcuni elementi della Comune, ricollegandosi con la vecchia rivoluzione borghese francese sotto i giacobini, formarono una serie di “Comitati di salute pubblica”. La Comune si spaccò tra una maggioranza e una minoranza di cui facevano parte alcuni sostenitori dell’Internazionale. Trotsky osservò che la necessità di costituire un Comitato di salute pubblica era imposta dall’urgenza di un “terrore rosso” e descrisse le varie misure approvate nel tentativo di difendere la Comune. Ma notò anche che “l’effetto di tutte queste misure di intimidazione fu paralizzato dall’opportunismo impotente degli elementi di punta della Comune, dai loro tentativi di riconciliare la borghesia con il fait accompli per mezzo di frasi pietose e con l’oscillazione tra la finzione della democrazia e la realtà della dittatura”. Alla fine di maggio, coi versagliesi che controllavano settori sempre più vasti della città, la Comune si disintegrò e il giacobino Delescluze, anziano e malato, eletto a capo dell’ultimo Comitato di salute pubblica, partì per combattere sulle barricate, dove morì.

Dopo l’entrata dei versagliesi in città i comunardi si batterono disperatamente. Ma la Comune fu schiacciata strada per strada. Uomini, donne e bambini furono massacrati senza distinzione. Gli ultimi combattimenti avvennero nei quartieri operai di Belleville e Ménilmontant. Al “Muro dei comunardi” (Mur des Fédérés), nel cimitero del Père Lachaise, vennero fucilati sul posto duecento comunardi che avevano combattuto fino all’ultimo. Anche noi continuiamo a sfilare in questo luogo per commemorare i nostri compagni caduti. In quell’ultima settimana di maggio i versagliesi massacrarono decine di migliaia di comunardi, almeno trentamila. In una prigione vi furono così esecuzioni che il sangue scorreva nei canali di scolo.

Molti dei sopravvissuti alla carneficina iniziale furono condannati ad un destino peggiore della morte. Alcuni furono portati a Versailles, insultati e presi a sputi, rinchiusi a cielo aperto in galera, a morire di fame e di sete, di colera o di cancrena. Altri furono inviati su delle chiatte-prigione e tenuti legati in celle minuscole. Altri ancora, dopo il processo, vennero deportati in Nuova Caledonia, una desolata colonia nell’Oceano pacifico ad Est dell’Australia. Quelli che sopravvivevano al viaggio, durante il quale venivano tenuti all’interno di gabbie sotto coperta, andavano incontro ad un destino orribile, fatto di malnutrizione, malaria e sfinimento per il lavoro nei campi di prigionia. L’artista Courbet, in un caso di ferocissima vendetta, fu considerato responsabile per la demolizione della Colonna Vendôme e costretto a pagare migliaia di franchi per la sua ricostruzione. Per evitare il fallimento, dovette dipingere costantemente, ma i soldi che riceveva per ogni quadro venivano incassati direttamente dallo Stato. Alla fine fuggì in Svizzera e morì in miseria nel 1877. In una sorta di elegia reazionaria, sulla sommità di Montmartre, una delle colline su cui avevano combattuto i comunardi, venne eretta un’enorme chiesa bianca, che oggi a Parigi si può ancora vedere da chilometri di distanza, vero e proprio simbolo della borghesia controrivoluzionaria francese e del trionfo della religione.

Che si tratti della Comune o della Rivoluzione bolscevica, gli storici borghesi dipingono falsamente la “dittatura del proletariato” come cosa sanguinosa e feroce, ma è la classe dominante borghese quella veramente assetata di sangue, come dimostra il trattamento dei comunardi dopo la sconfitta della Comune. Essa dimostra anche quanto i bolscevichi avessero ragione e l’importanza di una direzione rivoluzionaria per una lotta vittoriosa.

Dopo la sconfitta della Comune, Marx ottenne molta attenzione per il suo libro La guerra civile in Francia e le differenze tra le varie correnti politiche della Prima internazionale (specialmente con Bakunin) si acuirono, poiché ciascuna rivendicava l’autorità e la responsabilità per la Comune. Nel 1872, la Prima internazionale si era ormai a tutti gli effetti sfaldata. Nel 1874, in una lettera a Friedrich Sorge, Engels scrisse di conservare la speranza che la prossima internazionale sarebbe stata “direttamente comunista e proclamerà apertamente i nostri principi”. Non fu però l’Internazionale successiva, la Seconda, ad innalzare la bandiera del comunismo, ma la Terza internazionale di Lenin, proclamata nel 1919 e nata dalla vittoria della Rivoluzione bolscevica del 1917. Dalla Comune attraverso la Rivoluzione russa, precorritrici della bandiera della Quarta internazionale trotskista, passa il filo della nostra continuità.

[Tradotto da Workers Vanguard n. 985-987, 2-30 settembre 2011]