Spartaco n. 75 |
Gennaio 2012 |
I falsi trotskisti festeggiano la vittoria degli insorti libici.
I fantocci della Nato al potere in Libia
I “rivoluzionari” della Nato hanno preso il potere in Libia, potere incoronato dal linciaggio dell'ex dittatore Gheddafi, ostentato in tutto il mondo come vittoria finale della “democrazia” dai capi delle maggiori potenze imperialiste che hanno bombardato per mesi la Libia. Tra i primi a partire per Bengasi a settembre è stato l’amministratore delegato dell'Eni Paolo Scaroni, accorso a ricordare che la Libia è storicamente asservita alla borghesia italiana e tale deve restare. Subito dopo, il presidente francese Sarkozy (noto per l'infame affermazione di voler ripulire le banlieues francesi “col karcher” dai giovani di origine immigrata) e il suo degno compare britannico David Cameron, (che ha mandato migliaia di poliziotti a bastonare e arrestare i giovani dei ghetti d'Inghilterra) hanno sfilato a Tripoli tra gli osanna delle forze ribelli. Hanno festeggiato anche sceicchi, re e colonnelli della Lega araba, che avevano dato la loro benedizione all’intervento imperialista. La vittoria della Nato a Tripoli rafforza il potere degli imperialisti e la loro capacità di sfruttare e opprimere sia il mondo coloniale che le metropoli imperialiste.
Prima dell'attacco della Nato, il conflitto in Libia ha preso brevemente la forma di una guerra civile a bassa intensità in gran parte coincidente con le divisioni tribali e regionali del paese, tra il governo di Tripoli, sotto la dittatura del colonnello Muhammar Gheddafi, e le forze dell'opposizione, spalleggiate dagli imperialisti, concentrate nelle regioni orientali del paese. Inizialmente noi marxisti non ci siamo schierati in quello che era un conflitto tra due fronti egualmente reazionari e ci siamo opposti a qualsiasi appoggio politico al regime anti operaio di Gheddafi. Quando la guerra civile in Libia è diventata subordinata all'intervento imperialista e le forze degli “insorti” hanno chiesto e ottenuto un’alleanza con la Nato, abbiamo sostenuto che era nell'interesse del proletariato internazionale che le forze libiche prevalessero sulla Nato e sui suoi agenti locali del Cnt, e che quindi servivano mobilitazioni di lotta di classe nei centri imperialisti contro l'aggressione della Nato. Come abbiamo scritto nella nostra dichiarazione internazionale: “ogni azione che gli operai dei paesi imperialisti metteranno in campo per fermare le rapine e le avventure militari dei loro governanti, sarà un passo verso la loro stessa liberazione dallo sfruttamento, dalla povertà e dall’oppressione sotto il capitalismo. Difendere la Libia dall'attacco imperialista! Fuori la Quinta flotta Usa e tutte le truppe e basi imperialiste dal Nordafrica e dal Medio Oriente!” (Spartaco n. 74)
Noi ci siamo sempre opposti al regime capitalista di Gheddafi, una dittatura che reprimeva con brutalità chiunque fosse sospettato di opporsi al suo potere. Ciononostante abbiamo coerentemente difeso contro gli attacchi degli imperialisti la Libia (il cui “crimine” era quello di aver sfidato i diktat dell’imperialismo americano e di essere uno Stato cliente dell’Unione Sovietica). Durante i bombardamenti di Tripoli del 1986, all'epoca del presidente americano Ronald Reagan, la Tendenza spartachista inviò un gruppo di compagni a Tripoli per esprimere la nostra solidarietà alle vittime neocoloniali dell'imperialismo.
Le televisioni hanno trasmesso all’infinito immagini selettive degli “insorti” che festeggiavano nelle strade di Tripoli e in Libia. Ma la sconfitta dell’esercito di Gheddafi è stata possibile solo grazie ai bombardamenti a tappeto della Nato. Le forze degli “insorti” sono state messe in piedi dalle forze speciali imperialiste, le stesse che hanno massacrato e torturato in Iraq e in Afghanistan. Un articolo del Telegraph (28 agosto) descriveva positivamente il fatto che, mesi prima dell’attacco a Tripoli, gruppi di giovani si erano recati in segreto a Bengasi “per imparare l’arte dell’insurrezione e della guerriglia da una forza internazionale di unità delle SAS e del MI6 inglesi e delle forze speciali di Francia, Qatar e Emirati Arabi Uniti”, mentre “armi, tonnellate di munizioni e di strumenti di comunicazione sono state introdotte a Tripoli e nascoste in depositi segreti”.
L’unico ruolo degli “insorti” è stato quello di fornire un paravento “umanitario” al soggiogamento neocoloniale della Libia. Prima hanno implorato un intervento militare e rifornito la stampa occidentale di invenzioni sulle atrocità delle forze di Gheddafi, come gli stupri di massa, di cui non è stata trovata alcuna prova. Poi hanno lavorato a braccetto con la Nato segnalando da terra i bersagli dei bombardamenti.
La “nuova Libia”: razzismo, oppressione e asservimento coloniale
Per ora il Consiglio nazionale di transizione (Cnt) ha rabberciato un governo fantoccio, per spalancare le risorse della Libia, specialmente le sue vaste riserve di gas e petrolio, agli avvoltoi imperialisti. Ma il paese resta sotto il controllo di milizie a base tribale e dei loro padrini imperialisti.
Ali Tarhouni, ministro delle Finanze e del petrolio tra marzo e novembre 2011, elencando gli amici della Libia ha messo l'Italia all'ultimo posto dietro la Francia, gli Usa e l'Inghilterra. Tuttavia l'attuale ministro del petrolio Abdulrahman Ben Yezza è un ex alto dirigente dell'Eni. La posizione dell'Italia come primo investitore energetico in Libia è minacciata dagli altri imperialisti. Per tentare di conservare le posizioni ereditate dall’epoca coloniale (guadagnate allora con l'utilizzo massiccio di gas mortali e mantenute con i campi di concentramento contro la popolazione) il governo Monti ha nominato ministro della Difesa Giampaolo di Paola, presidente del Comitato militare della Nato, che ha condotto le operazioni militari in Libia. E mentre la Francia e l'Italia si contendono la fetta più grossa della torta libica, si accordano in seno all'Ue per estromettere la Russia e sopratutto lo Stato operaio deformato cinese che nel 2010 comprava il 10 percento del petrolio libico.
I “liberatori democratici” del Cnt, i cui membri e le cui delibere vengono tenuti segreti, preparano elezioni per un'assemblea nazionale da tenersi nel giugno del 2012. La proposta di legge elettorale preclude la candidatura a chi non sia professionalmente qualificato e a chi detiene la doppia cittadinanza, escludendo buona parte dei lavoratori. Esclude inoltre chi ha beneficiato in qualche modo del governo di Gheddafi (in teoria i tre quarti della popolazione). Alle donne vengono riservati solo 20 seggi su 200.
La prima misura del governo, subito dopo l'uccisione di Gheddafi è stata quella di proclamare che la legislazione del paese si baserà sulla sharia, il diritto musulmano vecchio di tredici secoli che disciplina tutti gli aspetti della vita e che codifica (come tutte le religioni) l'inferiorità delle donne. Abdel Jalil presidente del Cnt ha precisato che il divorzio sarà illegale e la poligamia legalizzata. Il regime capitalista di Gheddafi era una dittatura che reprimeva tutte le opposizioni senza pietà ed era un paese islamico dove le donne erano oppresse, ma per le donne rappresentava un passo avanti rispetto la precedente monarchia feudale del re Idris sostenuta dai britannici, reso possibile dai dollari del petrolio. Anche se l’arretratezza religiosa e il peso delle tradizioni erano stati mantenuti, le donne ebbero maggiore accesso all'educazione (nel 2010 erano la maggioranza degli studenti diplomati e universitari). La percentuale delle donne nel mondo del lavoro era aumentata e da circa vent’anni era stato creato un sistema di asili nido.
Il Cnt dice di voler disarmare le milizie integrandole nel cosiddetto esercito nazionale libico (che non è molto più di un'altra milizia che conta solo 200 soldati circa provenienti dell'Est libico), ma in realtà le finanzia. Nelle strade libiche continuano i combattimenti tra milizie rivali su base tribale e mafiosa, a tutti gli effetti una strisciante guerra civile. La rivalità tra fazioni era già evidente durante la guerra. Lo scorso luglio, il capo di stato maggiore, generale Abdah Fattah Younes, e due suoi assistenti sono stati assassinati da una fazione rivale. Molti comandanti ribelli sono ex ufficiali dell'esercito libico. Khalifa Belqasim Haftar, ex comandante di Gheddafi e veterano della guerra contro il Ciad, è anche un agente della Cia. L'attuale comandante militare dei ribelli a Tripoli, Abdel Hakim Belhaj è il fondatore del disciolto Gruppo islamico di combattimento libico.
La sinistra alla coda degli imperialisti e dei “ribelli” loro alleati
Il dovere di schierarsi contro l'aggressione militare della Nato avrebbe dovuto essere un impulso elementare non solo per il proletariato rivoluzionario, ma per chiunque si opponga alle rapine imperialiste. A maggior ragione in Italia, paese che per un secolo esatto ha dominato prima militarmente e poi economicamente la Libia. Ma nei sei mesi di bombardamenti le proteste contro l'aggressione imperialista sono state praticamente inesistenti, perché la cosiddetta sinistra italiana ha fatto gli straordinari per spingere gli operai e i giovani a sostenere gli imperialisti o i loro alleati “insorti”.
Rifondazione comunista (Rc) e Sinistra ecologia e libertà (Sel) hanno rispettivamente invocato sanzioni economiche (Rc) e approvato la risoluzione dell'Onu (Sel) che ha dato il via libera ai bombardamenti. Sedicenti marxisti, come Sinistra critica (Sc), il Partito comunista dei lavoratori (Pcl) o il Partito di alternativa comunista (Pdac), hanno falsamente descritto l'insurrezione libica come una “rivoluzione” e appoggiato gli alleati libici della Nato (pur condannando, pro-forma, i bombardamenti della Nato). Il Pcl, in particolare, ha presentato gli insorti di Bengasi come fautori di una rivoluzione nazionale democratica, spacciandoli come oppositori di un intervento Nato. Durante la guerra contro la Libia, il Pcl ha fatto appello a presunti “settori di soldati e ufficiali democratici dell'esercito, sia in Tunisia che in Egitto” a organizzare brigate di volontari che combattessero a fianco degli insorti (cioè della Nato!) fornendogli “addestramento, rifornimento, inquadramento militare” (“Né pacifisti, né stalinisti. Contro la guerra, da comunisti rivoluzionari”, pclavoratori.it, 25 marzo). In questo la pseudo sinistra italiana ha seguito la linea del Partito democratico, che ha attaccato da destra il governo Berlusconi perché troppo riluttante a partecipare ai bombardamenti.
Dopo che la Nato ha completato la sua vittoria militare, la pseudo sinistra ha esultato assieme ai ladri e agli assassini imperialisti. Il Nuovo partito anticapitalista francese (Npa), sezione principale del “Segreteriato unificato” della Quarta internazionale (cui appartiene Sinistra critica), ha scritto:
“La caduta del dittatore Gheddafi è una buona notizia per i popoli. L'Npa è in completa solidarietà con il processo rivoluzionario in corso nella regione araba. Per realizzare questo processo, i popoli devono sconfiggere due volti della controrivoluzione: quella dei dittatori, a partire da Bachar al Assad in Siria; e il dirottamento del loro destino da parte delle potenze imperialiste. Per il popolo libico inizia una nuova vita. Libertà, diritti democratici, uso della ricchezza e delle risorse naturali per soddisfare i bisogni fondamentali del popolo, sono all'ordine del giorno” (npa2009.org, 21 agosto).
L’Npa sembra copiare le sue dichiarazioni dagli uffici stampa imperialisti. Il presidente francese Sarkozy ha celebrato la morte di Gheddafi affermando che “Si apre una pagina nuova per il popolo libico, quella della riconciliazione nell’unità e nella libertà”. Da decenni il Segretariato unificato fa sua ogni cause célèbre che gli imperialisti sfruttano per giustificare le loro avventure coloniali: come la difesa della “povera piccola Bosnia” e del “povero piccolo Kossovo”, con cui la Nato giustificò i bombardamenti della Serbia. Quando faceva parte del Prc, Sinistra critica ha votato per mesi la fiducia al governo Prodi, quando questo partecipava all'occupazione dell'Afghanistan e inviava truppe in Libano. Adesso l’Npa spinge per delle sanzioni imperialiste alla Siria, chiedendo ai capi di Stato del G20 di “prendere tutte le sanzioni diplomatiche ed economiche capaci di piegare il potere siriano e di impedire che resti impunito” (npa2009.org, 14 ottobre).
Il Partito di alternativa comunista inneggia alla vittoria degli imperialisti
Il culmine del servilismo filo-imperialista è stato raggiunto dal Partito di alternativa comunista e dalla Lega internazionale dei lavoratori (Lit). Il giorno dopo la caduta di Tripoli, in una dichiarazione intitolata “Grande vittoria delle masse libiche e della rivoluzione araba! Le masse popolari in armi stanno distruggendo il regime di Gheddafi!”, la Lit ha dichiarato:
“Queste scene, di uomini e donne del popolo, armi in mano e sventolando bandiere col pugno levato in alto, mentre assaltano valorosamente il Palazzo Bab El Aziziya, residenza di Gheddafi e sede del potere dittatoriale, hanno tanta forza che non possono che rievocare le più grandiose vittorie di cui si è resa protagonista la nostra classe. ( ) La Lit Quarta Internazionale saluta con calore questi avvenimenti che costituiscono, senza dubbio, un'enorme vittoria politica e militare delle masse libiche e di tutto il processo rivoluzionario che scuote il mondo arabo”
Dopo che la Nato e i suoi alleati hanno vinto, il Pdac ha detto di non volere “Né governo del Cnt né l’intervento imperialista negli affari interni della Libia: siamo per il mantenimento dei Comitati proletari armati e per il passaggio diretto e completo nelle loro mani del potere politico. ( ) Per noi, è il proletariato, armato com'è ora, che deve governare in Libia e approfondire la rivoluzione nel suo Paese e in tutto il mondo arabo” (alternativacomunista.it, 27 agosto 2011, nostre enfasi).
I “comitati proletari armati” di cui blatera il Pdac, sono guidati da capi tribali reazionari, uomini d’affari, islamisti radicali e agenti della Cia. I “rivoluzionari” del Pdac sventolano tricolori e Union Jack in un paese dove l'imperialismo italiano ha ammazzato un terzo della popolazione, e pregano gli imperialisti di bombardare la capitale del paese. Quella che il Pdac chiama “vittoria della nostra classe” culmina nelle preghiere di massa nella Piazza Verde, ribattezzata Piazza dei martiri. E soprattutto, la “rivoluzione” del Pdac ha fatto fuggire a causa dei pogrom razzisti il proletariato, composto da milioni di lavoratori immigrati dall'Egitto, dall'Africa subsahariana e dall'Asia, pogrom condotti dal nuovo regime, che ha etichettato i neri (libici e immigrati) come “mercenari” esponendoli a stragi di massa. Persino i giornali borghesi favorevoli all'intervento della Nato, come il Guardian hanno dovuto ammettere l’entità dei pogrom razzisti scatenati dagli insorti:
“Kim Sengupta ha raccontato sull'Independent dei 30 corpi in decomposizione abbandonati a Tripoli. La maggioranza, etichettati come mercenari di Muhammar Gheddafi, era nera. Sono stati uccisi in un pronto soccorso, alcuni sulle barelle, altri nelle ambulanze. ‘Al popolo libico non piace la gente con la pelle nera’, ha spiegato un miliziano riferendosi agli arresti di neri ( ) Sono stati riportati anche gli slogan scritti dai ribelli a Misurata durante i combattimenti, che inneggiavano alla 'brigata che ha cacciato gli schiavi neri'. A causa del razzismo ci sono state retate di neri e orribili omicidi”. (guardian.co.uk, 30 agosto).
Le milizie “rivoluzionarie” di Misurata hanno perpetrato una vera e propria pulizia etnica a Tawergha, a sud di Misurata, radendo al suolo la città. I trentamila abitanti, cittadini libici neri in gran parte discendenti da schiavi, sono stati cacciati dalle loro case in una vendetta collettiva perché accusati di aver sostenuto il regime di Gheddafi durante l'assedio di Misurata. Molti sono scappati verso la Libia centrale desertica. Un migliaio si trova in un campo profughi vicino a Tripoli dove regolarmente i giovani uomini vengono prelevati dai miliziani e scompaiono.
Il nuovo governo del Cnt ha promesso che rispetterà gli accordi stretti da Gheddafi con l'Italia e l'Unione Europea, che impongono la brutale repressione degli immigrati dall'Africa subsahariana e la loro barbara detenzione in centri di prigionia nel deserto. Il 4 aprile, il leader del Cnt Ahmed Jibril prometteva a “Porta a Porta”: “siamo disponibilissimi e anzi incoraggiamo” il pattugliamento congiunto delle coste, aggiungendo che “Gli immigrati clandestini sono arrivati in Libia e hanno trascorso lì mesi, anni, diffondendo malattie e creando anche scontri con i cittadini libici”.
Descrivere l'accozzaglia di monarchici, islamisti, elementi tribali e rottami del regime di Gheddafi che ha “liberato Tripoli”, come “comitati proletari armati” e la vittoria della Nato come una delle “più grandiose vittorie di cui si è resa protagonista la nostra classe” dimostra che la politica del Pdac, non è che demagogia populista, camuffata da terminologia marxista, al servizio della più squallida collaborazione di classe con delle forze borghesi reazionarie e con dei fantocci dell'imperialismo. Per il Pdac e la Lit, non si tratta di un abbaglio improvviso, ma di un programma perseguito da decenni. Nell’aprile del 1979, dopo l’ascesa al potere di Khomeini in Iran, il loro gruppo argentino (Pst) scrisse, praticamente con le stesse parole di oggi, che si trattava di un evento “che ha già conquistato un posto tra le grandi rivoluzioni di questo secolo, di importanza paragonabile alla lunga rivoluzione indocinese” (Opciòn, aprile 1979). Una “vittoria” che gli operai, le donne e le minoranze iraniane pagarono con il sangue e con decenni di brutale oppressione. L’anno dopo, 1980, la Lit si schierò a fianco dei mujaheddin islamici afgani, finanziati e armati dalla più grande operazione della storia della Cia per combattere contro l'Armata rossa sovietica e il governo afgano del Pdpa, “colpevole” di aver introdotto modeste leggi liberali che consentivano l'accesso delle donne all’istruzione e riducevano il prezzo delle mogli. Mentre noi trotskisti ci siamo schierati per la vittoria dell'Armata rossa in Afghanistan, come parte della difesa militare dello Stato operaio degenerato sovietico, la sezione italiana della Lit evocava il sogno “di estendere la rivoluzione iraniana all’interno dei confini dell’Unione Sovietica” (Avanzata proletaria, 12 gennaio 1980).
Per una federazione socialista del Nordafrica! Per la rivoluzione permanente dal Maghreb all’Egitto!
Per decenni, i precursori politici di Pcl e Pdac hanno spacciato il mito della “rivoluzione araba” (una “rivoluzione” priva di contenuto di classe proletario, che si contrappone all'indipendenza politica del proletariato da tutte le forze borghesi e ne ostacola lo sviluppo della coscienza di classe) e in questo modo hanno giustificato il loro appoggio politico alla presunta ala “antimperialista” della borghesia araba (che fossero i dittatori nazionalisti come Nasser, Saddam Hussein o Gheddafi o i reazionari islamici come l'ayatollah Khomeini). Ancora oggi il Pcl dipinge la caduta di Gheddafi come uno “sbocco della rivoluzione araba” e sostiene che “porsi a fianco della sollevazione popolare contro il regime era dunque il primo dovere elementare dei rivoluzionari di tutto il mondo” (pclavoratori.it, 26 agosto 2011), pur lamentandosi che la natura controrivoluzionaria della direzione politica della rivoluzione libica, consegna questo successo all'imperialismo.
Al mito nazionalista della “rivoluzione araba” noi contrapponiamo il programma trotskista della rivoluzione permanente. Nei paesi coloniali il proletariato deve guidare tutte le masse oppresse in una lotta per la rivoluzione socialista contro la “propria” borghesia, nel quadro di una strategia internazionalista che punti alla rivoluzione proletaria nei centri imperialisti.
L'appoggio al nazionalismo arabo ha portato il movimento operaio di tutto il Medio Oriente a sconfitte sanguinose, tra l'altro anche in Egitto, dove Nasser ricompensò i comunisti che lo avevano appoggiato con arresti, torture e massacri. Governi nazionalisti borghesi come quelli di Nasser e Sadat, com'era ineluttabile, non soddisfecero i bisogni più basilari delle masse e spalancarono la strada all'ascesa dell'islamismo politico, una risposta reazionaria al vicolo cieco in cui il nazionalismo ha portato le masse povere della regione.
Il proletariato è l'unica forza che ha il potere sociale e l'interesse di classe a guidare tutti gli oppressi in una rivoluzione socialista che rovesci tutti i sanguinari regimi della regione. Ma per assolvere a questo compito, la classe operaia deve emergere come forza rivoluzionaria sotto le sue bandiere di classe. Compito dei marxisti è quello di combattere e non fomentare le illusioni in una “rivoluzione araba”, assieme a tutte le espressioni del nazionalismo, che in Egitto ad esempio hanno condotto le masse a fidarsi dell'esercito. E' altrettanto importante dissipare le illusioni nell'imperialismo “democratico”, che i capitalisti sfrutteranno per deragliare le lotte contro le dittature locali. Il bombardamento della Nato in Libia, così come l'occupazione di Iraq e Afghanistan, testimoniano quanto la “democrazia” sia solo la maschera che cela la vera natura dell'imperialismo, un sistema che spinge inevitabilmente a soggiogare i paesi neocoloniali.
Il futuro delle masse libiche sarà deciso dalla lotta di classe internazionale, una lotta che si estende ben al di là delle frontiere nazionali e che comprenderà il proletariato in Algeria, in Tunisia e specialmente in Egitto e che deve puntare a delle federazioni socialiste in Nordafrica e nel Medio Oriente. Servono dei partiti operai rivoluzionari che guidino il proletariato nella lotta per la rivoluzione socialista, contro i regimi militari bonapartisti, gli integralisti islamici e tutte le forze politiche borghesi, aprendo la strada per l’emancipazione delle donne e la liberazione di tutti gli oppressi e di tutti gli sfruttati, grazie alla collaborazione rivoluzionaria con il proletariato dei centri imperialisti. Gli imperialisti cercherebbero senz’altro di schiacciare un movimento rivoluzionario del genere: la lotta per il potere proletario in Nordafrica e in Medio Oriente dev’essere legata alla lotta per il potere operaio nei paesi capitalisti avanzati. In Europa e in Italia vivono centinaia di migliaia di lavoratori di origine nordafricana, una componente spesso cruciale di settori strategici del proletariato. Saranno il legame indispensabile per l’estensione di una futura rivoluzione socialista.
Questo richiede la costruzione di partiti operai rivoluzionari parte di una Quarta internazionale autenticamente trotskista, che leghi la lotta per delle federazioni socialiste in Nordafrica ed in Medio Oriente, alla lotta per la rivoluzione proletaria nei centri imperialisti.