Spartaco n. 78 |
Marzo 2015 |
Fortezza Europa = assassini razzisti
Strage di profughi nel Mediterraneo
Riproduciamo di seguito un volantino diffuso dalla Lega trotskista d’Italia all’indomani della strage dell’ottobre 2013. A quasi un anno e mezzo da quella strage, nella quale morirono 366 profughi, nulla è cambiato: all’inizio di febbraio del 2015, circa 360 immigrati sono morti assiderati o annegati, ingoiati dal mar Mediterraneo, quel grande cimitero aperto che funge da frontiera dell’Europa razzista.
Le stragi di immigrati sono aumentate a dismisura in concomitanza con le politiche militari ed economiche delle potenze imperialiste nei confronti dei paesi ex-coloniali dell’Africa e del Medio Oriente. L’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) stima che 3.072 immigrati sono morti nel Mediterraneo nel 2014, che considera “l’anno più mortale”, oltre il doppio di quelli registrati nel 2011, anno delle “primavere arabe”. Secondo un loro studio, dal 2000 oltre 22mila migranti hanno perso la vita nel Mediterraneo nel tentativo di raggiungere la “fortezza Europa”. Probabilmente il numero reale dei morti è molto più alto, dato che molte barche affondano in zone isolate. Ai morti in mare si aggiunge il numero crescente di atti di terrore razzista contro chi riesce ad arrivare in Italia, commessi dallo Stato o orchestrati da organizzazioni fasciste che fanno leva sul razzismo crescente tra la popolazione, come nel novembre scorso quando il centro profughi Le Betulle a Tor Sapienza nella periferia di Roma, è stato soggetto ad attacchi violenti e continui.
Poco dopo la strage di Lampedusa, il Parlamento europeo ha approvato Eurosur, un sistema di sorveglianza delle frontiere marittime e terrestri dell’Ue che impiega droni, radar e altri sistemi di rilevamento lungo le coste. Lo Stato italiano, che si lamentava di dover sostenere da solo i costi del pattugliamento di una ampio settore del Mediterraneo, ha accolto con soddisfazione questo rafforzamento del sistema militare Frontex pagato dall’Ue. Frontex è un’agenzia Ue per il coordinamento, il respingimento e la deportazione di immigrati e profughi. Dal primo di novembre l’operazione Frontex Plus, conosciuta anche come Triton, è stata introdotta per sostituire Mare Nostrum, l’operazione italiana di pattugliamento che si estendeva quasi fino alle coste libiche e che viene falsamente dipinta, sia dal governo italiano che dai gruppi liberali-borghesi tipo Amnesty International, come un’operazione “umanitaria”. L’operazione Triton vedrà un aumento dei pattugliamenti Ue delle coste europee e un inasprimento dei respingimenti che vanno di pari passo con l’estensione delle operazioni militari degli imperialisti nelle regioni africane e mediorientali alle quali il governo italiano è ben contento di partecipare attivamente. Come ha dichiarato il premier Renzi: “Ben venga Frontex Plus, l’azione dell’Onu e la possibilità di fare luoghi di accoglienza in Libia, Egitto e Tunisia” aggiungendo “ma finché noi non interveniamo in Libia cercando di riportare pace, libertà e democrazia in quel paese, non andiamo da nessuna parte”. No a qualsiasi intervento imperialista in Libia!
Il 3 ottobre, una nave con a bordo più di 500 profughi, in gran parte provenienti dall’Eritrea, dalla Somalia e dall’Etiopia, ha preso fuoco ed è naufragata al largo di Lampedusa. Sinora sono stati recuperati 366 cadaveri e i dispersi sono ancora molti. I sopravvissuti sono solo 155. Le persone che erano nella stiva, soprattutto donne e bambini, non sono neppure riusciti a fuggire. Il cadavere di una giovane donna è stato ritrovato col cordone ombelicale ancora attaccato al suo bambino appena nato. É stata la più grande tragedia che il Mediterraneo abbia conosciuto dalla fine della Seconda guerra mondiale, con un bilancio che ha superato quello della strage di dicembre del 1996, quando nelle acque di Portopalo, in Sicilia, annegarono almeno 283 uomini, donne e bambini, in maggioranza pachistani.
La strage di Lampedusa è stata accolta dai politici capitalisti italiani con una combinazione di lacrime di coccodrillo e di cinismo razzista. Il primo ministro Enrico Letta del Pd e il ministro degli interni Alfano del Pdl di Berlusconi, cui si è unito per l’occasione il presidente dell’Unione Europea José Emanuel Barroso, sono andati a Lampedusa e si sono inginocchiati di fronte alle bare delle vittime. In una messinscena premeditata, tutti quanti, dal governo alla Chiesa, passando per l’opposizione parlamentare di Sinistra ecologia e libertà, si sono stretti per piangere sul disastro e giurare, nelle parole di Letta, “mai più un’altra Lampedusa”.
Ma sono bastati solo otto giorni perché, l’11 ottobre, una seconda nave con a bordo 480 profughi siriani (e sembra anche 100 immigrati sub sahariani rinchiusi nella stiva), affondasse a sessanta miglia a sud di Lampedusa, uccidendo 268 persone. La nave era stata danneggiata dal fuoco di una vedetta libica. A bordo, vari passeggeri hanno continuato a telefonare disperatamente alle autorità italiane per chiedere aiuto. Le loro richieste di aiuto sono state tutte respinte una dopo l’altra. Invece sono stati invitati a contattare la marina maltese, e così lasciati morire. Solo sei ore dopo il primo allarme, quando la nave si era già rovesciata, è arrivato un elicottero da Malta.
Le vittime di Lampedusa sono state uccise dallo sbarramento di dure leggi anti-immigrati introdotte dai governi italiani di centrodestra e centrosinistra e dall’Ue. I sopravvissuti intanto restano rinchiusi nel Centro di identificazione ed espulsione (Cie) di Lampedusa dove rischiano il processo per immigrazione “clandestina”. Negli ultimi vent’anni, i confini meridionali dell’Europa hanno visto il proliferare di leggi razziste, barriere di filo spinato, campi di detenzione e dispiegamento delle forze armate a guardia delle frontiere della “fortezza Europa”. Il numero dei campi di detenzione per immigrati lungo i confini meridionali e orientali dell’Ue è passato da 324 nel 1999 a 473 nel 2011 e solo in Italia ce ne sono 13. Il numero non comprende gli innumerevoli luoghi di detenzione non ufficiali, dalle caserme di polizia alle cabine delle navi.
All’inizio, la stampa borghese e i politici hanno cercato di scaricare la responsabilità sui pescatori locali, accusati di non aver soccorso le vittime del naufragio, dopo che alcuni sopravvissuti hanno dichiarato che tre pescherecci si erano allontanati dalla nave in fiamme. Più tardi, alcuni dei soccorritori hanno rovesciato l’accusa sulla Capitaneria di porto. Vito Fiorino, che dormiva a bordo della sua barca la notte dell’incidente e che è stato il primo a sentire le grida disperate delle vittime, ha raccontato al Corriere della Sera (5 ottobre):
“Noi cercavamo con tutte le nostre forze di tirare su quanta gente possibile. Invece sulla motovedetta della Capitaneria di porto c’era chi pensava a fare fotografie e video. (...) Noi portavamo su i profughi quattro alla volta, poi quando la mia barca era troppo piena e rischiava di affondare abbiamo chiesto alla Capitaneria di farli trasbordare e continuare con il salvataggio. Invece ci hanno risposto che non potevano perché dovevano aspettare il protocollo. Incredibile”.
Le leggi marittime internazionali obbligano le navi, comprese quelle militari, a rispondere alle richieste di soccorso di navi vicine e se possibile di salvarne i passeggeri. In Italia però devono prima ottenere l’autorizzazione delle autorità navali, se non vogliono rischiare di essere perseguite in base alla legge del 2002 fatta da Umberto Bossi e Gianfranco Fini, ministri di estrema destra del governo Berlusconi. Questa legge ha introdotto il reato di immigrazione “clandestina”.
Il Mediterraneo: un cimitero a cielo aperto
In passato vari mercantili sono stati costretti a trasportare i profughi che avevano salvato verso la Libia o Malta, paesi che sono tristemente famosi per i maltrattamenti degli immigrati nei campi di detenzione. Ciò ha scoraggiato i mercantili dal rispondere alle richieste di soccorso. Diversi pescherecci che avevano soccorso degli immigrati sono stati messi sotto sequestro dalle autorità che indagavano gli equipaggi, perdendo settimane di lavoro nella stagione della pesca. Alcuni equipaggi sono stati persino arrestati e processati. Nel 2004 tre volontari dell’organizzazione umanitaria Cap Anamur sono stati processati per aver salvato e trasportato in un porto italiano 37 immigrati. Nell’agosto del 2007, 7 pescatori tunisini che avevano salvato i 44 passeggeri di una nave che stava affondando al largo di Lampedusa, sono stati incarcerati per 32 giorni. Nel settembre del 2011, il governo italiano ha detto che Lampedusa era un porto “non sicuro” per i profughi, costringendo a spostare eventuali operazioni di salvataggio più di 150 chilometri a Nord, lungo le coste siciliane.
Adesso il governo e l’Ue intendono approfittare dei morti di Lampedusa per intensificare ulteriormente la sorveglianza razzista del Mediterraneo. Il 14 ottobre, il governo ha annunciato il lancio dell’operazione mare nostrum (il nome latino introdotto nel secolo scorso dai revanscisti nazionalisti e fascisti per descrivere il loro sogno di un impero italiano sulle coste del Mediterraneo). Il piano mira a triplicare le forze militari italiane dispiegate nel Mediterraneo centrale, con l’uso di motovedette, mezzi anfibi, droni ed elicotteri dotati di apparecchiature ottiche e a raggi infrarossi.
I politicanti borghesi hanno organizzato fiaccolate a Roma e a Bruxelles per chiedere che l’Italia non fosse lasciata sola ad affrontare il problema degli immigrati africani. L’Ue ha risposto immediatamente alle loro preghiere, stanziando fondi per il rafforzamento dell’operazione Frontex, un sistema di sorveglianza paneuropeo che ha l’obiettivo di ridurre il numero di immigrati che entrano in Europa e di prevenire la “criminalità transfrontaliera”. Frontex, che è stato istituito nel 2004, comprende anche delle forze africane che pattugliano le acque territoriali di Egitto, Libia, Tunisia, Marocco, Mauritania e Senegal. Il rafforzamento di Frontex non farà che aumentare i morti in mare, costringendo gli immigrati a cercare rotte ancora più lunghe e pericolose.
Da quando i paesi dell’Europa meridionale hanno iniziato ad attrarre manodopera immigrata, il Mediterraneo è diventato un cimitero a cielo aperto. Anche se è impossibile stabilire con esattezza quanti immigrati siano stati ingoiati dalle sue acque, si stima che negli ultimi 25 anni almeno ventimila siano morti nel tentativo di entrare in Europa, fuggendo da persecuzioni politiche, religiose o etniche o più semplicemente dalla fame. Un caso tristemente famoso fu quello della Kater i Rades, una nave partita dall’Albania nel 1997, nel mezzo delle agitazioni politiche che attraversarono quel paese. La Kater i Rades fu speronata e affondata dalla nave militare italiana Sibilla, che uccise 81 persone. All’epoca, l’Italia era governata dal fronte popolare dell’Ulivo di Prodi, appoggiato dal partito riformista Rifondazione comunista.
Nel solo 2011 più di 1.500 persone sono morte in mare, sulla scia della cosiddetta “primavera araba” e dei bombardamenti omicidi della Nato sulla Libia di Gheddafi. Nel marzo del 2011, una nave con a bordo 72 profughi provenienti dalla Libia, venne abbandonata e lasciata andare alla deriva per oltre due settimane, pur avendo comunicato la sua posizione alle autorità europee e sotto gli occhi delle navi e degli aerei della Nato che pattugliavano ogni centimetro del Golfo della Sirte e del Canale di Sicilia. Sessantatre persone morirono di fame e di sete e solo nove sopravvissero per raccontare la loro odissea.
Anche i tentativi di emigrazione dall’Africa del Nord e subsahariana continuano ad avere tragiche conseguenze. Alla fine di ottobre, 87 immigrati sono stati trovati morti di sete nel deserto nel Nord del Niger, dopo che i mezzi su cui viaggiavano si sono rotti. Quattro mesi prima, una decina di immigrati sudanesi sono stati uccisi dalle guardie di frontiera libiche.
Colonialismo e razzismo: il pedigree dell’imperialismo “umanitario”
I profughi morti a Lampedusa venivano in maggioranza dal Corno d’Africa ed erano partiti dalle coste libiche, un itinerario che ripercorre molti dei paesi che furono storicamente vittime dell’imperialismo italiano. Già a partire dalla fine del diciannovesimo secolo, l’Italia era riuscita a stabilire delle colonie in Africa orientale e nel 1911 colonizzò la Libia, dopo il crollo dell’Impero ottomano. Sotto il regime fascista di Mussolini, la borghesia italiana riuscì a “riconquistare” il suo impero, lasciando una scia sanguinosa di almeno 500 mila morti in Libia ed Etiopia. La storia del colonialismo italiano in quei paesi è una serie di atrocità: dal bombardamento dei villaggi, all’uso massiccio di armi chimiche come iprite, fosgene e arsina, alla costruzione di campi di concentramento, allo sterminio per fame di quasi metà della popolazione della Cirenaica, nella Libia orientale.
Oggi ai politici capitalisti piace adornare i loro veri obiettivi con la retorica dei “diritti umani”. Ma l’unico diritto che ammettono davvero, è il loro diritto a sfruttare e saccheggiare i mercati e le vaste risorse di idrocarburi e di materie prime dei paesi africani. Prima dell’attacco imperialista contro la Libia del 2011, l’Italia importava il venticinque percento del petrolio e il tredici percento del gas dalla Libia, dove le principali aziende italiane hanno forti interessi. Laura Boldrini, la presidente della Camera di Sinistra ecologia e libertà ed ex portavoce della Commissione per i diritti umani delle Nazioni unite, è stata elevata ad “angelo dei profughi”. Pur avendo chiesto che l’immigrazione clandestina non sia considerata un crimine, Boldrini ha anche esaltato la marina, la guardia costiera e le altre agenzie statali per i loro presunti “innumerevoli sforzi per salvare vite umane”. Inoltre, ha chiesto agli Stati dell’Ue di rafforzare da un lato il “monitoraggio e salvataggio in mare” e dall’altro di sforzarsi di promuovere la “democratizzazione” dei paesi di origine degli immigrati. Queste proposte, per quanto avvolte nella solita retorica sui “diritti umani”, servono solo a rafforzare le stesse istituzioni imperialiste che per decenni non hanno fatto che interventi militari, repressione razzista e tentativi di trasformare gli Stati del Nord Africa in sentinelle di frontiera dell’Ue.
Nel 2006, Human Rights Watch ha accusato il governo di Gheddafi di arresti arbitrari e torture nei campi di detenzione per stranieri, tre dei quali finanziati dall’Italia. La sinistra riformista italiana ha criticato fortemente gli accordi bilaterali del governo Berlusconi con quello di Gheddafi sui controlli sull’immigrazione. Quello che dimenticano di aggiungere è che Berlusconi ha attuato degli accordi sottoscritti nel dicembre del 2007 dal governo Prodi, di cui era ministro l’attuale segretario di Rifondazione Paolo Ferrero.
Non da meno è stato il governo capitalista spagnolo del Partito socialista di Luis Zapatero. Alla fine di aprile del 2008, al largo di Al Hoceima, in Marocco, una nave militare spagnola ha affondato un natante con a bordo degli immigrati subsahariani, uccidendone almeno ventinove. Ceuta e Melilla, le due enclave spagnole in Marocco, sono circondate da una doppia barriera di filo spinato alta 6 metri, pagate in parte dall’Ue. Nell’estate del 2005, i tentativi di centinaia di persone di attraversare le barriere sono stati respinti a fucilate dalla Guardia Civil e dai suoi ausiliari marocchini, uccidendo sembra 13 persone e ferendone 100.
Adesso il Primo ministro Letta attacca le nuove autorità libiche perché non controllano adeguatamente le loro coste. Di certo non lo fanno per solidarietà con le sofferenze degli immigrati africani neri. Il governo fantoccio proimperialista emerso inizialmente dalla campagna di bombardamenti della Nato, ha subito promesso di mantenere gli accordi in vigore con l’Italia e l’Ue sulla repressione degli immigrati dall’Africa sub sahariana, e sulla loro detenzione in campi di prigionia nel deserto. Subito dopo aver preso il potere, il primo ministro libico Mahmoud Jibril dichiarò che “accoglieva e incoraggiava” il pattugliamento congiunto con l’Italia delle coste libiche e accusò gli “immigrati clandestini” di “spargere malattie e provocare scontri con la cittadinanza libica”. Nell’agosto del 2011, le milizie “rivoluzionarie” di Misurata misero in atto la pulizia etnica della città di Tawergha, i cui trentamila abitanti, in maggioranza discendenti di schiavi neri, vennero cacciati dalle loro case con l’accusa di aver appoggiato il governo di Gheddafi. Molti fuggirono nel deserto della Libia centrale. Altre migliaia finirono nei campi profughi intorno a Tripoli, dove sono stati costantemente molestati dalle milizie. Si tratta delle stesse milizie reazionarie che i falsi trotskisti del Partito di alternativa comunista, il gruppo italiano della Lega internazionale dei lavoratori (Lit) morenista, ha abbellito come “comitati proletari armati” chiedendogli di prendere direttamente il potere.
Il movimento operaio deve opporsi alle leggi razziste sull’immigrazione
Il governo Letta ha fatto la macabra promessa di concedere la cittadinanza italiana alle vittime del naufragio di Lampedusa e di organizzare dei funerali di Stato. Una cerimonia funebre si è tenuta ad Agrigento, di fronte alle autorità italiane ed eritree, ma senza nemmeno le bare delle vittime e in assenza dei sopravvissuti, cui è stato impedito di partecipare. I familiari hanno protestato per questa esclusione e per la minacciosa presenza di funzionari del governo eritreo, da cui fuggivano molti dei profughi, e Alfano è dovuto fuggire dalle proteste di militanti antirazzisti che lo hanno accolto al grido di “Bossi-Fini, legge di assassini”.
Da due anni, l’Italia è governata da coalizioni di “unità nazionale”, appoggiate dai due principali partiti capitalisti, il Pd e il Pdl e con il tacito consenso dei dirigenti delle confederazioni sindacali, che hanno rifiutato di organizzare qualsiasi lotta di classe. Le istituzioni finanziarie e i padroni dell’Ue hanno incaricato questi governi di smantellare lo stato sociale e di tagliare salari e pensioni per ripagare i debiti verso le banche italiane e straniere. L’austerità ha colpito duramente la classe operaia, in particolare i milioni di lavoratori immigrati. In Italia, l’oppressione razzista degli immigrati è simboleggiata dalla legge Bossi-Fini. Tra le misure di questa legge, vi è il vincolo dei permessi di soggiorno al contratto di lavoro, che rende gli immigrati più vulnerabili ad ogni specie di ricatto dei padroni.
Dopo la tragedia di Lampedusa, alcuni settori del Pd e dei suoi alleati di Sinistra ecologia e libertà, hanno chiesto l’abolizione delle parti più dure della legge Bossi-Fini e persino la sua abrogazione. Cecile Kyenge, ministro per l’integrazione del Pd, il primo ministro non bianco della storia del Paese, ha ventilato la possibilità di una legge che faciliti l’accesso alla cittadinanza per i figli degli immigrati nati in Italia. In tutta risposta, oltre che per il semplice fatto di essere una donna nera, Kyenge è stata vittima di una vile ondata di attacchi razzisti da parte dell’estrema destra della Lega nord e dei fascisti di Forza nuova, con azioni come il lancio di banane o cappi nelle città in cui doveva parlare.
A tutt’oggi, la cittadinanza italiana è regolata dallo ius sanguinis (il diritto di sangue), che conferisce automaticamente la cittadinanza italiana a chiunque sia nato all’estero, in paesi tipo l’Argentina o gli Stati Uniti, purché abbia un antenato di sesso maschile morto come cittadino italiano dopo il 1861, data di costituzione del Regno d’Italia. Tra i beneficiari ci sono anche tutti i discendenti degli italiani che vissero nei territori dell’ex Jugoslavia occupati dall’Italia fascista.
I cambiamenti proposti alle leggi sull’immigrazione sono solo cosmetici. Manterrebbero il sistema dei centri di detenzione, riducendo la permanenza massima consentita rispetto agli attuali diciotto mesi, e trasformando la immigrazione clandestina da reato a violazione amministrativa, cosa che eviterebbe che le prigioni siano stracolme e consentirebbe alla polizia di avere più tempo per pattugliare le strade.
Due deputati dell’organizzazione politica populista Movimento 5 Stelle hanno presentato un emendamento per l’abolizione del reato d’immigrazione clandestina, che è stato approvato da una delle commissioni del Senato. Ma i guru dei 5 Stelle, Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio, hanno pubblicato una schifosa dichiarazione sul blog di Grillo in cui ragliavano che “Nel merito questo emendamento è un invito agli emigranti dell'Africa e del Medio Oriente a imbarcarsi per l'Italia. ( ) Lampedusa è al collasso e l'Italia non sta tanto bene. Quanti clandestini siamo in grado di accogliere se un italiano su otto non ha i soldi per mangiare?”
La Lega trotskista d’Italia, sezione della Lega comunista internazionale (quartinternazionalista), chiede l’abolizione della legge Bossi-Fini e pieni diritti di cittadinanza per tutti coloro che vivono sul territorio italiano, senza nessuna restrizione. Noi diciamo: chiudere i centri di detenzione! No alle deportazioni! Limitarsi a chiedere l’abolizione della Bossi-Fini non significa per niente lottare per pieni diritti di cittadinanza. Se anche fosse cancellata, ciò porterebbe alla situazione vigente sotto la legislazione precedente, la legge Turco-Napolitano. Introdotta nel 1998 dal governo Prodi e votata da Rifondazione comunista, questa legge gettò le basi per tutte le successive leggi anti-immigrati: deportazioni, campi di detenzione, detenzione amministrativa e privazione dei diritti di cittadinanza. La principale differenza è sempre stata nel fatto che i governi di fronte popolare di “centrosinistra” indoravano le loro leggi razziste con una vernice “umanitaria”, mentre la destra si crogiolava nel razzismo più evidente e schifoso.
Entrambe queste forze borghesi hanno governato l’immigrazione nell’interesse del capitalismo italiano, che ha bisogno di manodopera a buon mercato, facilmente ricattabile e di cui potersi disfare nel caso di crisi economiche. Il secondo governo Prodi, di cui faceva parte anche Rc, non ha mai neppure messo in discussione la modifica della legge Bossi-Fini e i governi borghesi “di sinistra” sicuramente non si sono fatti scrupoli quando si è trattato di usare gli immigrati come capro espiatorio per il crescere della povertà. Nel 2007, il governo Prodi lanciò una vergognosa campagna contro i rom e gli immigrati romeni, per mandare il messaggio che, anche se adesso erano formalmente cittadini dell’Ue, i loro diritti legali e di fatto non erano gli stessi.
Il movimento operaio deve schierarsi a difesa degli immigrati e lottare per sindacalizzare i lavoratori immigrati, che sono duramente sfruttati dai caporali nei campi del Sud e dalle cooperative nel Nord. Ciò richiede una direzione dei sindacati che si basi sulla lotta di classe e rimpiazzi gli attuali burocrati filo capitalisti, in gran parte legati al Pd e alle sue code riformiste, il cui obiettivo è di essere al timone del governo capitalista. Dopo dieci anni di governo di Sinistra ecologia e libertà, una regione come la Puglia resta un luogo di brutale sfruttamento dei lavoratori immigrati, dall’agricoltura ai progetti di “energia alternativa”. Per porre fine alla discriminazione e alle persecuzioni degli immigrati, bisogna che il proletariato rovesci il sistema capitalista basato sullo sfruttamento, di cui l’oppressione razzista è parte integrante.