Una via rivoluzionaria per liberare la Palestina
Mettiamo in chiaro due cose. Primo: i palestinesi si scontrano con una brutale oppressione nazionale e con il massacro indiscriminato commesso dallo Stato di Israele. Hanno tutto il diritto di difendersi, anche con la forza. Secondo: l‘omicidio mirato di civili israeliani da parte di Hamas e dei suoi alleati è un crimine spregevole che è totalmente controproducente per la liberazione palestinese. Gaza ora rischia la fame e una strage per mano delle Forze di difesa israeliane (Idf) e il movimento operaio internazionale deve opporsi con urgenza a questo assalto. Ma per avanzare e trionfare, la lotta per la liberazione della Palestina ha bisogno di una strada totalmente diversa da tutto quello che c’è sul mercato, che si tratti di islamismo o di nazionalismo laico. Non serve la solidarietà gratuita della congrega dei liberali di sinistra e dei falsi socialisti, ma una strada rivoluzionaria per la liberazione della Palestina.
Come sconfiggere lo Stato sionista
Per sconfiggere il proprio nemico, bisogna sfruttarne le debolezze e neutralizzare i suoi punti di forza. La forza dello Stato di Israele deriva dal fatto che i milioni di ebrei che vivono all’interno dei suoi confini lo vedono come l’unico modo per difendersi in una regione ostile. Finché sarà così, gli israeliani combatteranno fino alla morte per difendere lo Stato sionista. Fa tutto parte del piano iniziato quando l’imperialismo britannico decise di sostenere il progetto sionista. Oggi gli Stati Uniti e Israele assicurano i loro interessi in Medio Oriente violando i diritti nazionali del popolo palestinese e favorendo uno stato di ostilità permanente tra ebrei e musulmani. La combinazione di una popolazione militarizzata e del sostegno imperialista conferisce allo Stato israeliano la sua forza e l’apparente invincibilità.
Tuttavia, questa struttura è fragile ed è mantenuta solo da una mentalità di assedio promossa dalla classe dirigente. Il punto debole è proprio il fatto che si tratta di uno Stato teocratico militarizzato, governato da una cricca sempre più estrema di fanatici corrotti. I lavoratori israeliani devono affrontare la coscrizione, l’irreggimentazione religiosa e condizioni di lavoro e di vita brutali. Chi si oppone è accusato di essere un traditore degli ebrei. Questa situazione crea profonde fratture razziali, sociali e politiche in Israele, che devono essere sfruttate per spezzare lo Stato sionista e liberare i palestinesi.
La strategia della jihad di Hamas non fa nulla di tutto questo e fa leva solo sui punti di forza di Israele. Prendendo di mira i civili israeliani, sono riusciti solo a spingere tutti gli israeliani a far quadrato dietro l’odiato governo di Netanyahu, garantendo che l’intera società si unirà a sostegno della sanguinosa risposta militare contro Gaza. Uno scontro militare in queste condizioni porterà alla sconfitta e vittime incalcolabili tra la popolazione palestinese. Non si può vincere se non si spezza il legame tra i lavoratori ebrei e i loro governanti, e non si può farlo se non si riconosce il diritto democratico del popolo ebraico israeliano di vivere come nazione in Israele/Palestina.
Gli islamisti e i nazionalisti palestinesi sono sempre in bilico tra il dirigere la loro lotta contro l’intero popolo ebraico in Israele o l’accettare la convivenza con lo Stato sionista. Entrambi sono vicoli ciechi. La chiave è quella di creare un cuneo tra il popolo israeliano e lo Stato teocratico. Questo può essere fatto solo con una strategia militare e politica marxista, basata sulla comprensione che i conflitti di classe e nazionali interconnessi non possono essere risolti entro i limiti della proprietà privata. Solo partendo da qui è possibile elaborare un programma che corrisponda agli interessi dei palestinesi e della classe operaia israeliana.
Prendiamo la questione della terra. Giustamente i Palestinesi vogliono che sia risarcito il crimine storico compiuto nei loro confronti. Se si rimane nell’ambito della struttura sociale esistente, è una cosa inconciliabile con il diritto degli ebrei di mantenere la terra su cui spesso hanno vissuto per generazioni. Ma Israele, come tutte le società capitaliste, è estremamente diseguale. La maggior parte della terra e della proprietà è in mano ad una minima parte della popolazione, mentre la maggioranza fa fatica a tirare avanti. Espropriando questo strato parassitario è possibile iniziare a rendere giustizia ai palestinesi e migliorare le condizioni dei lavoratori ebrei.
A livello militare, bisogna esercitare la massima pressione sull’Idf per dimostrare alla società israeliana che l’oppressione palestinese ha un costo insostenibile. Il lancio di razzi alla cieca sulle città israeliane non fa che aumentare la volontà delle truppe di combattere. Invece bisogna mobilitare l’intera popolazione palestinese per opporsi all’invasione di ogni centimetro di territorio e per rompere l’assedio di Gaza e della Cisgiordania.
Ma la resistenza armata da sola non può portare alla vittoria: dev’essere combinata con una prospettiva di lotta di classe all’interno di Israele. Per questo bisogna lottare per la liberazione economica dei lavoratori, contro la discriminazione razziale degli arabi e degli ebrei non bianchi e per la separazione tra religione e Stato. Queste lotte devono essere volte a eliminare il principale ostacolo che si frappone a qualsiasi progresso sociale: l’oppressione dei palestinesi da parte di Israele. Il compito principale dei rivoluzionari in Israele è proprio quello di lottare affinché il movimento operaio si faccia carico della causa della liberazione dei Palestinesi, in lotta contro i dirigenti sionisti del movimento operaio.
E’ cruciale portare la lotta di classe dalle città anche all’interno dell’esercito israeliano, con l’obiettivo di dividerlo. L’Idf è composto in gran parte da soldati di leva costretti a prestare servizio. Se il servizio militare non fosse più considerato vitale per la sopravvivenza del popolo ebraico, se il costo dell’oppressione del popolo palestinese diventasse troppo alto e il conflitto all’interno di Israele raggiungesse un punto di ebollizione, l’esercito israeliano può cedere e crollerà.
Oltre 75 anni di storia brutale hanno intrecciato completamente i destini degli ebrei israeliani e dei palestinesi. La liberazione della Palestina richiede la rottura dello Stato sionista, che è impossibile senza la liberazione della classe operaia israeliana. A sua volta, l’avanzamento economico, democratico e sociale dei lavoratori israeliani, e persino la loro permanenza in Medio Oriente, richiede la fine dell’oppressione della Palestina, che è il fondamento stesso dello Stato sionista.
Come sconfiggere l’imperialismo
Israele è appoggiato dagli Usa e da tutte le altre potenze imperialiste, come si è visto ancora una volta con il loro sostegno incondizionato all’attacco a Gaza. Pertanto, la liberazione dei Palestinesi richiede una strategia per affrontare e sconfiggere l’imperialismo in Medio Oriente e, in ultima analisi, in tutto il mondo. Ma i nazionalisti ne sono assolutamente incapaci e ripongono la loro fiducia nell’Onu e nella ‘comunità internazionale’ oppure si affidano agli Stati arabi per respingere gli Stati Uniti.
L’Onu è un covo di ladri dominato dagli Usa e dalle “grandi” potenze responsabili in prima persona della spartizion e della Palestina e della sua continua oppressione. Il consenso tra gli imperialisti è assolutamente favorevole a Israele. Anche se dovessero mediare un cessate il fuoco o un accordo di pace, rifletterebbe necessariamente il loro interesse, che è di mantenere lo Stato sionista come avamposto nella regione. Dall’Olp alla campagna Bds, qualsiasi strategia che si affidi ai rapinatori del mondo intero non può che aumentare l’oppressione della Palestina e portare alla sconfitta.
Per quanto riguarda gli Stati musulmani, dall’Egitto, alla Giordania, al Libano, all’Iran, hanno pugnalato alle spalle i palestinesi centinaia di volte, a vantaggio dei loro interessi opportunistici. Gli sceicchi, i dittatori e i mullah che dominano il mondo musulmano “difenderanno” la Palestina solo nella misura in cui ciò contribuirà ai loro obiettivi economici e militari e ne rafforzerà la posizione. Qualsiasi strategia che leghi la lotta per la liberazione della Palestina a loro finirà necessariamente per essere tradita.
Occorre una strategia basata non sulla “comunità internazionale” degli imperialisti e dei governanti capitalisti regionali, ma sulla mobilitazione della classe operaia internazionale contro tutte le potenze imperialiste e capitaliste. È necessaria un’alleanza di lavoratori e contadini in tutto il Medio Oriente per cacciare gli imperialisti statunitensi e liberare l’intera regione. Questo include i lavoratori ebrei israeliani, che non hanno alcun interesse a continuare a essere usati come pedine dagli Usa. Inoltre, i combattenti per la Palestina devono costruire un fronte internazionale con le organizzazioni operaie americane, britanniche, francesi e tedesche per fermare le spedizioni di armi a Israele. Sono questi lavoratori a maneggiare fisicamente le spedizioni. Le loro lotte sono il modo più sicuro per indebolire l’imperialismo e promuovere la causa della liberazione della Palestina.
Ma è chiaro che i panislamisti e i nazionalisti rifiutano proprio questi alleati più sicuri. Alleandosi con i governanti arabi, si alleano con gli sfruttatori delle masse arabe. E i lavoratori americani ed europei, compresi quelli ebrei, non saranno mai conquistati da una lotta condotta sotto la bandiera islamica per la distruzione di tutti gli israeliani.
I tifosi socialisti di Hamas
Dopo l’offensiva di Hamas contro Israele del 7 ottobre, i media filo-israeliani hanno scatenato una massiccia campagna di propaganda per giustificare la sanguinosa rappresaglia militare di Israele e seppellire l’oppressione palestinese. Per contrastarla, molti cosiddetti comunisti e socialisti, dal Socialist Workers Party britannico al Partito comunista di Grecia, hanno nascosto il criminale attacco ai civili compiuto da Hamas in nome del diritto della Palestina a difendersi.
Così non solo si trascina il nome del comunismo nel fango associandolo ai crimini di Hamas, ma si accetta anche che il popolo palestinese continui ad essere guidato da questi macellai islamisti fanatici. Sanno benissimo che Hamas non porterà alla liberazione dei palestinesi, ma tacciono in nome di una vacua solidarietà liberale.
L’intera strategia di Hamas consiste nel provocare una violenta reazione israeliana, costringendo l’intera popolazione di Gaza ad una missione suicida. Bisogna schierarsi senza ombra di dubbio in difesa di Gaza contro la sanguinosa rappresaglia di Israele, opponendosi però a questa strategia disastrosa.
Alcuni esponenti della sinistra, come Left Voice, sezione statunitense della Frazione trotskista, sussurrano alla fine del loro articolo che “siamo dalla parte della resistenza del popolo palestinese, senza implicare che condividiamo la strategia e i metodi di Hamas, il cui obiettivo è stabilire uno Stato teocratico” (7 ottobre). Detto questo, nulla di ciò che scrivono è volto a rompere la presa del nazionalismo e dell’islamismo sulla lotta di liberazione palestinese. Come la maggior parte della sinistra, assumono il ruolo di tifosi liberali, che non hanno il diritto di criticare i gruppi oppressi, anche quando vengono condotti verso l’abisso.
Il ruolo della sinistra pseudo-socialista è ancora più spregevole se si considera il bisogno disperato e crescente dei palestinesi di trovare una strada che porti alla liberazione. Gli eventi vanno rapidamente verso una carneficina e una reazione mai viste da decenni. Se i socialisti non si battono per una soluzione rivoluzionaria del conflitto, la crescente disperazione del popolo palestinese sarà incanalata ancora una volta nelle braccia della reazione islamista e gli ebrei saranno spinti ancora di più nelle braccia del sionismo. Quest’orgia di reazione non rimarrà nei confini di Israele e della Palestina, ma si estenderà a tutto il Medio Oriente e al mondo. È compito urgente dei socialisti rompere questo ciclo.