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Spartaco n. 82 |
Ottobre 2018 |
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La liberazione dei dalit: chiave della rivoluzione operaia in India
Formiche tra elefanti: una recensione
Per un partito leninista che lotti contro loppressione di casta!
Pubblichiamo la traduzione della recensione del libro Ants Among Elephants [Formiche tra elefanti] apparsa in Workers Vanguard n.1132, 20 aprile 2018.
Nell’India moderna, con i suoi scintillanti centri informatici e i suoi poli produttivi, molti si illudono che la “intoccabilità” appartenga al passato. Nulla potrebbe essere più lontano dal vero. L’intoccabilità è al centro del sistema delle caste, che è stato perpetuato e radicato in ogni sfera della società capitalista indiana. Il libro di Sujatha Gidla del 2017, Ants Among Elephants: An Untouchable Family and the Making of Modern India [Formiche tra elefanti: una famiglia di intoccabili e la costruzione dell’India moderna] distrugge molti dei miti che servono a rendere invisibile l’intoccabilità. Il suo libro è un ritratto acuto dell’oppressione di casta e delle incessanti lotte della sua famiglia contro di essa. É una lettura avvincente,ed è stata molto apprezzata dai recensori.
L’intoccabilità non è semplicemente una condizione di povertà che può essere superata dall’istruzione e dalla mobilità sociale. Gidla afferma senza giri di parole: “Sono nata in una famiglia di ceto medio-basso. I miei genitori erano docenti universitari. Sono nata intoccabile”. Gidla usa la parola “intoccabile” piuttosto che dalit per sottolineare cosa significa realmente appartenere a quella popolazione. L’intoccabilità è stata formalmente abolita dalla Costituzione dell’India, che ha ottenuto l’indipendenza dalla Gran Bretagna nel 1947, e da allora molto è cambiato nel Paese. Ma poco è cambiato per la stragrande maggioranza dei 220 milioni di dalit indiani, per i quali la libertà dal giogo dell’oppressione di casta deve ancora venire.
Formiche tra elefanti è sia un memoriale di famiglia sia la storia politica dello zio della scrittrice, K.G. Satyamurthy (1931-2012), che divenne un famoso leader di un gruppo di guerriglieri maoisti. Come tale, il libro accende un forte riflettore sulla storia orribile dei partiti stalinisti indiani sulla questione dell’intoccabilità. Il Partito comunista dell’India (Pci) e la sua filiazione, il Partito comunista del-l’India (marxista) (Pci(m)) rifiutano la lotta per l’indipendenza proletaria, e quindi la lotta per la rivoluzione socialista. Al contrario, subordinano gli interessi delle masse oppresse e sfruttate a un’alleanza con la borghesia nazionale. Fin dalla nascita, il Pci ha agito come un’appendice del Partito del Congresso, che è sempre stato permeato di nazionalismo indù brahmanico (una casta alta). Sia il Pci che il Pci(m) si sono completamente rifiutati di combattere contro l’oppressione di casta, contrapponendo in modo falso tale lotta alla lotta di classe. Questo è l’opposto del leninismo. Noi ci rifacciamo alla tradizione del leader bolscevico V.I. Lenin, che insisteva sul fatto che il partito operaio rivoluzionario deve difendere le cause di tutti gli oppressi nella società, fungendo da “tribuno del popolo”.
L’intoccabilità è una forma di oppressione speciale sovrapposta ma non semplicemente riducibile allo sfruttamento di classe. Un classico esempio di oppressione speciale è la sottomissione delle donne, che è una colonna portante del dominio capitalista: una donna della classe operaia, ad esempio, sopporta il duplice fardello della sua oppressione come donna e come lavoratrice. L’India è permeata da una miriade di forme di oppressione, tra cui quelle basate sulla religione, la lingua, l’etnia e la nazionalità. Nel Kashmir, la regione a maggioranza musulmana divisa tra India e Pakistan, questo mese l’esercito indiano ha ucciso dodici persone in un solo giorno.
Per i marxisti, affrontare l’oppressione dei dalit ha un’importanza strategica. Senza un programma per la liberazione dei dalit, non ci sarà alcuna rivoluzione socialista in India. I dalit sono una componente centrale della classe operaia. A tutt’oggi, non esiste nessuna storia o tradizione di autentico leninismo applicato all’oppressione di casta. Come parte della lotta per forgiare un partito autenticamente leninista in India, noi marxisti della Lega comunista internazionale (quartinternazionalista) ci impegniamo a lottare per porre fine al sistema delle caste e per la liberazione dei dalit.
Le umiliazioni dell’oppressione di casta
L’antico sistema delle caste affonda le sue radici storiche nell’economia rurale dei villaggi indiani. Le caste superiori ricche dominano le caste inferiori e le innumerevoli sotto-caste, ciascuna delle quali si prostra di fronte alle caste superiori e calpesta quelle inferiori. Ma nessuna divisione di casta è così profonda e incancrenita come il fossato che separa le caste da coloro che ne sono esclusi. Agli intoccabili è riservato un posto speciale all’inferno, con la forzata segregazione (sociale e spesso anche fisica) al fondo di tutte le caste. Come scrive Gidla:
“Agli intoccabili, il cui ruolo specifico, il cui dovere ereditario consiste nel lavorare le terre altrui o svolgere altri lavori che la società induista considera immondi, non è assolutamente consentito risiedere nel villaggio. Devono vivere al di fuori dei confini del villaggio vero e proprio. Non possono entrare nei templi. Non possono avvicinarsi a fonti d’acqua potabile utilizzate da altre caste. Non possono sedersi a mangiare vicino a membri di caste indù né utilizzare gli stessi utensili. Esistono migliaia di restrizioni e umiliazioni di ogni genere che variano da luogo a luogo. Sui giornali indiani si legge quotidianamente di intoccabili picchiati o uccisi perché indossavano i sandali o andavano in bicicletta”.
Nel Gujarat, l’anno scorso, un dalit è stato bastonato da teppisti di alto rango perché “aveva i baffi”. Alla fine di marzo, un giovane dalit è stato pestato a morte per il fatto di possedere e cavalcare un cavallo.
I bisnonni di Gidla nacquero sul finire degli anni Ottanta del Diciannovesimo secolo e appartenevano a una tribù che viveva nelle foreste. Non erano induisti, ma adoravano le proprie divinità. La sua famiglia venne espulsa dai propri territori dai governanti coloniali britannici che volevano tagliare le foreste per coltivare l’albero del teak. Allora i suoi antenati dissodarono un terreno incolto, solo per vedersi poi costretti a pagare un tributo all’odiato zamindar, il proprietario terriero che riscuoteva le tasse per conto degli inglesi. La famiglia fu costretta a indebitarsi e a cedere la propria terra allo zamindar, diventando braccianti senza terra. La schiavitù delle popolazioni tribali (gli adivasi) esiste ancora oggi.
La famiglia di Gidla si convertì al cristianesimo e Sujatha, l’autrice, crebbe in una baraccopoli dalit in quello che allora era parte dello Stato dell’Andhra Pradesh, dove cristiano è sinonimo di intoccabile. Lei “non conosceva alcun cristiano che non si facesse servile in presenza di un indù” e “non conosceva alcun indù che non guardasse attraverso un cristiano in piedi davanti a lui come se non esistesse”. Fu solo all’età di 15 anni che Gidla scoprì, con suo grande stupore, che esistono dei cristiani di casta brahmana: i nambudiripad, che vivono soprattutto nello Stato del Kerala.
Il sistema delle caste nel subcontinente indiano è talmente radicato da essere diffuso tra quasi tutti i gruppi religiosi della regione, compresi i musulmani, i cristiani, i sikh e i buddisti. In India i musulmani sono per la maggior parte considerati intoccabili e sono vittime di violenza comunitaria. Questo mese sono scoppiate rabbiose proteste per la tortura, lo stupro e l’uccisione di Asifa, una bambina di otto anni appartenente a una famiglia nomade musulmana: un atto depravato e premeditato di terrorismo da parte degli sciovinisti indù in Kashmir. In Bangladesh, tra gli esclusi dalle caste vi sono i rohingya, molti dei quali sono stati massacrati in Myanmar. In Pakistan sono i cristiani poveri ad essere in gran parte esclusi dalle caste e ad affrontare il terrorismo sciovinista dei musulmani, che li accusano di “blasfemia”. L’oppressione basata sulle caste è diffusa sia in Nepal che nello Sri Lanka, dove viene praticata sia dai tamil che dai cingalesi. Gidla, che vive a New York e lavora come parte del personale viaggiante della metropolitana, sostiene che il pregiudizio di casta è dilagante tra gli indiani che vivono negli Stati Uniti.
Ai nonni di Gidla fu consentito di frequentare una scuola gestita da missionari cristiani. L’istruzione permise loro e ai loro figli di superare l’indicibile povertà che affligge la stragrande maggioranza dei dalit. Ma la famiglia non poté sfuggire al fardello dell’intoccabilità. La storia della madre della scrittrice, Manjula, personaggio centrale del libro, dà un senso dell’oppressione che le donne dalit devono affrontare: pura discriminazione di casta e di sesso. Manjula e le altre donne della famiglia dovevano pulire, cucinare e prendersi cura della famiglia allargata. Fu il fratello maggiore a scegliere il marito di Manjula, un uomo che la picchiava per compiacere la suocera. Nonostante questi enormi ostacoli, Manjula ottenne la laurea.
Vivendo in città, alla famiglia di Gidla furono risparmiate le atroci violenze che accompagnano il sistema delle caste nei villaggi. Le donne sono particolarmente colpite dai crimini sadici degli uomini appartenenti alle caste superiori, che usano lo stupro come mezzo per umiliare la donna e la sua casta. Allo stesso tempo, i rapporti sessuali tra membri di caste diverse costituiscono un pericolo mortale. Nel mese di febbraio, una donna di 20 anni è morta dopo ore d’agonia a causa del veleno che le aveva fatto ingoiare il padre con l’aiuto della madre. Il padre ha detto alla polizia che era “la giusta punizione per aver amato un uomo estraneo alla comunità”, cioè un dalit.
In città l’appartenenza a una casta non è così evidente. Ma per tradizione ognuno ha il diritto di sapere e se si mente, la casta di appartenenza è rivelata da numerosi indizi. Nelle università, gli studenti dalit si ritrovano all’interno di vere roccaforti del brahmanismo. Nel 2016 Rohith Vemula, uno studente dalit dell’Università centrale di Hyderabad, è stato spinto al suicidio dalla caccia alle streghe condotta dal governo induista del Bharatiya Janata Party (Bjp) del Primo ministro Narendra Modi. Il biglietto che ha lasciato Vemula prima di suicidarsi diceva: “Nascere è stato il mio incidente mortale”. Lo scorso febbraio nell’Uttar Pradesh, Dileep Saroj, uno studente universitario dalit, è stato picchiato a morte per aver toccato accidentalmente un membro di una casta indù. Come ha affermato Gidla: “La tua vita è la tua casta, la tua casta è la tua vita”.
In media, ogni 15 minuti viene commesso un crimine contro i dalit, e gli attacchi sono aumentati dal 2014, quando è salito al potere il Bjp. Il 2 aprile i dalit hanno organizzato un’enorme band (dei blocchi di protesta) in tutta l’India contro una sentenza del tribunale che indebolisce la Legge sulla prevenzione delle atrocità, che in teoria dovrebbe facilitare la persecuzione dei crimini commessi contro i dalit. I manifestanti sono stati oggetto di una massiccia repressione da parte della polizia, che ha ucciso almeno dodici persone, ne ha ferite decine e ne ha arrestate migliaia. La legge fa ben poco per proteggere i dalit dall’essere assassinati e mutilati impunemente. Invece la sentenza della Corte ha dato il via libera alle bande scioviniste di casta consentendo loro attacchi ancora più violenti. Infatti, i politici e i portavoce delle caste superiori da tempo invocano l’abrogazione della legge.
Lo stalinismo: una vergognosa tradizione sulle caste
Lo zio di Sujatha Gidla, K.G. Satyamurthy, che è un protagonista fondamentale di Ants Among Elephants, era studente universitario quando si avvicinò alla campagna Quit India, guidata dal Partito del Congresso contro il dominio britannico. Presto deluso dal Partito del Congresso, Satyamurthy decise di aderire al Partito comunista dell’India. Nel farlo, adottò la convinzione che “si doveva pensare solo in termini di classe e non di casta. Una volta vinta la lotta di classe, la discriminazione basata sulla casta sarebbe scomparsa”. Con questa linea putrida, i partiti stalinisti indiani hanno infangato la bandiera del comunismo sulla questione delle caste, come hanno fatto su ogni altra questione rivoluzionaria. Il profondo sciovinismo di casta prevalente nella società costituisce un enorme ostacolo alla creazione dell’unità di cui la classe operaia ha bisogno nelle sue lotte contro il capitale. La lotta per la liberazione socialista in India richiede la costruzione di un partito di avanguardia leninista che guidi il proletariato nella lotta contro l’oppressione delle masse dalit.
Satyamurthy si unì al Pci perché (cosa insolita per gli stalinisti) il partito si era schierato al fianco della rivolta degli oppressi a Telangana (che allora faceva parte dell’Andhra Pradesh). La lotta di Telangana (1946-51) fu un’insurrezione contro il mostruoso dominio del Nizam di Hyderabad. Il potere del Nizam venne consolidato dagli inglesi, vero esempio da manuale di come il dominio coloniale abbia rafforzato il sistema delle caste. Come scrive Gidla: “Esistevano sistemi di servitù in ogni parte dell’India, ma nessuno spietato come il vetti di Telangana, il cuore del regno del Nizam del Deccan”. In base al vetti, “ogni famiglia intoccabile del villaggio doveva consegnare il primo figlio maschio non appena avesse imparato a parlare e a camminare”. Il bambino era destinato ad essere schiavo nella tenuta del dora, l’agente locale del Nizam. Tutte le donne del villaggio erano anche di proprietà del dora. Gidla nota che se il dora “si presentava mentre mangiavano, dovevano lasciare il cibo nel piatto e raggiungerlo a letto”.
Nell’Andhra Pradesh il Pci partecipò alla lotta armata di Telangana e formò un esercito guerrigliero che ottenne rapidamente il controllo di vaste aree delle campagne. Nel 1948, il governo del Partito del Congresso di Jawaharlal Nehru inviò l’esercito a Telangana. Inizialmente il Nizam rifiutò l’adesione del suo regno al nuovo Stato indipendente dell’India, ma ben presto cedette il suo “principato” all’esercito indiano, che poté così dedicarsi alla sua missione principale: stroncare la ribellione guidata dai comunisti. Nei tre anni successivi l’esercito massacrò un numero incalcolabile di musulmani, contadini e membri delle popolazioni tribali. Dopo la strage, il Pci tornò a svolgere il suo storico ruolo di appendice del Partito del Congresso, lo stesso che aveva prima ordinato di impiccare sommariamente i comunisti agli alberi. Gidla nota con amarezza che la leadership del Pci “si arrese a Nehru senza nemmeno chiedere l’amnistia per i diecimila membri del partito che marcivano nei campi di prigionia”.
Satyamurthy fu sconvolto dall’abbandono della lotta armata da parte del Pci e fu doppiamente scioccato quando scoprì che la svolta era stata sanzionata da Stalin. Nel 1964 il Pci si scisse in un’ala filosovietica e in un’ala filocinese. Satyamurthy si schierò con la fazione filocinese che sarebbe diventata il Pci(m), sperando che la “via cinese” consistesse nel seguire l’esempio di Mao, che aveva portato alla vittoria un esercito contadino. Ma il Pci(m) alla sua Prima conferenza votò di seguire la strada parlamentare.
Quando il Pci(m) entrò a far parte di un governo capitalista nel Bengala occidentale nel 1967, uno strato di quadri del partito promosse una scissione e lanciò una rivolta armata a Naxalbari, motivo per cui vennero poi chiamati naxaliti. Il nuovo partito attrasse la maggioranza dei membri del Pci(m) dell’Andhra Pradesh, compreso Satyamurthy e molti veterani della lotta di Telangana. Sia il Pci che il Pci(m) hanno tracciato un solco sanguinoso contro i naxaliti. Nel 1970, il Pci appoggiò la spietata repressione dei naxaliti ordinata dalla leader del Congresso Indira Gandhi. Nell’agosto 1971, i quadri del Pci(m) si unirono ai picchiatori del Partito del Congresso in un massacro di simpatizzanti naxaliti (o sospetti tali) a Calcutta.
E quanto ai crimini contro i dalit, il Pci(m) nei decenni in cui è stato al governo nel Bengala occidentale si è comportato come la classe dirigente indiana. Nel 1979, il governo guidato dal Pci(m) massacrò centinaia di profughi indù dalit provenienti dal Bangladesh che vivevano sull’isola di Marichjhapi. Nel 2007, a Nandigram, nel Bengala occidentale, sicari del Pci(m) si sono uniti ai poliziotti in un massacro di circa 100 persone che protestavano contro il furto delle terre a favore delle imprese capitaliste.
Nel 1980 Satyamurthy fondò il People’s War Group (Pwg) in Andhra Pradesh insieme a Kondapalli Seetharamayya, un membro di una casta indù veterano del Pci e della rivolta di Telangana. Il Pwg, che divenne uno dei gruppi naxaliti più conosciuti, e i naxaliti in generale, godettero di ampio sostegno tra i dalit, cui i guerriglieri armati fornivano una protezione necessaria contro la violenza brutale dei proprietari appartenenti alle caste superiori e dello Stato. Tuttavia, il programma maoista non offre alcuna via d’uscita. I maoisti non hanno altro programma politico se non quello di cercare alleati borghesi “progressisti”, sacrificando immancabilmente gli interessi dei contadini più poveri all’unità con “forze più ampie”. Secondo i naxaliti, i dalit devono unirsi alle caste “intermedie” nella lotta contro i grandi proprietari terrieri “feudali”. In realtà, le caste “intermedie” sono spesso aspramente e violentemente ostili a consentire ai dalit e alle popolazioni tribali il possesso di terre.
Pur traendo gran parte del loro sostegno dai dalit (e oggi dagli adivasi) i naxaliti si sono rifiutati di affrontare politicamente la questione dell’intoccabilità. La questione esplose all’interno del Pwg nel 1984, quando dei giovani membri dalit del partito si lamentarono con Satyamurthy delle pratiche scioviniste di casta nel funzionamento del partito: i compagni appartenenti alla casta dei barbieri erano assegnati a radere altri compagni; quelli della casta dei lavandai a lavare i vestiti; ai membri dalit veniva detto di spazzare i pavimenti e di pulire i gabinetti.
Satyamurthy, che aveva subito personalmente lo sciovinismo di casta da parte dei suoi compagni, organizzò una riunione del Comitato centrale per discutere la questione. La direzione del partito, riferisce Gidla, rispose “espellendolo immediatamente per ‘aver cospirato per dividere il partito’”. Rifiutando persino di discutere dei pregiudizi di casta nelle sue file, il Pwg maoista rimaneva fedele alle sue radici politiche nel Pci.
Le distorsioni del leninismo di M.N. Roy
Ants Among Elephants espone brillantemente il fallimento politico dei presunti marxisti indiani sulla questione dell’oppressione di casta. Il compito che i veri comunisti si trovano ad affrontare è delineare una prospettiva bolscevica per l’India. I marxisti dovranno contrastare l’oppressione quotidiana dei dalit e degli adivasi fino alla vittoria della rivoluzione socialista e anche dopo. La Lci fa riferimento agli insegnamenti dei primi quattro congressi dell’Internazionale comunista (Ic). Cerchiamo di creare in India un partito armato di un programma di rivoluzione permanente, il programma che gettò le basi per la vittoria nella Rivoluzione d’Ottobre del 1917, guidata dai bolscevichi. Sotto la guida di Lenin e Trotsky, i bolscevichi fondarono la dittatura del proletariato con il sostegno dei contadini più poveri e delle minoranze etniche oppresse. Il governo sovietico emanò decreti di vasta portata, concedendo il diritto all’autodeterminazione alle nazioni oppresse, la piena uguaglianza giuridica alle donne e la terra ai contadini senza terra.
Nel 1920, Lenin redasse una serie di tesi sulla questione agraria, che sembrano scritte per l’India odierna. In contrasto con la strategia maoista della guerra contadina, avulsa dalle lotte della classe operaia, le tesi affermano che “per le masse lavoratrici delle campagne la salvezza sta soltanto nell’alleanza con il proletariato comunista”. Le tesi continuano: “gli operai industriali non possono assolvere la loro missione storica mondiale, non possono cioè emancipare l’umanità dall’oppressione del capitale e dalle guerre, se si rinchiudono nella difesa dei loro interessi corporativi e di categoria e si limitano egoisticamente a preoccuparsi soltanto del miglioramento della loro situazione”.
Il fondatore del Partito comunista in India, M.N. Roy, introdusse una distorsione del leninismo nel subcontinente indiano indirizzando il nascente movimento su un percorso di capitolazione al nazionalismo borghese. Già nel 1922, Roy redasse un manifesto per il Partito del Congresso nazionalista borghese, esortando l’organizzazione a mettersi a capo delle masse operaie e contadine. Sotto la guida di Roy, il Pci ebbe come obiettivo sin dalla sua fondazione nel dicembre 1925, la costruzione di un partito operaio e contadino nel Bengala. Invece di lottare per costruire un partito proletario che potesse guidare le masse contadine, Roy cercò di costruire un partito di due classi (cioè un partito borghese) in cui gli interessi della classe operaia sarebbero stati necessariamente subordinati a quelli della piccola borghesia contadina.
Il programma politico di Roy era contrario alla prospettiva delineata al Secondo congresso dell’Internazionale comunista nel 1920, cui Roy aveva partecipato di persona. Lenin insistette: “L’Internazionale comunista deve concludere alleanze provvisorie con la democrazia borghese delle colonie e dei paesi arretrati, ma non deve fondersi con essa e deve assolutamente salvaguardare l’autonomia del movimento proletario persino nella sua forma embrionale” (“Primo abbozzo di Tesi sulle questioni nazionale e coloniale”, 1920).
Quando l’Internazionale comunista cadde sotto la guida della burocrazia nazionalista stalinista, Roy agì come rappresentante di Stalin in Cina nel 1927. Su istruzione di Stalin, il Partito comunista cinese rimase all’interno del Kuomintang nazionalista borghese anche quando il suo leader, Chiang Kaishek, organizzò un colpo di Stato nell’aprile del 1927, disarmando e massacrando decine di migliaia di lavoratori di Shanghai, guidati dai comunisti (vedi “M.N. Roy, nazionalista menscevico”, Spartacist [edizione in lingua inglese] n. 62, primavera 2011). Il massacro in Cina fu il frutto amaro del programma stalinista di subordinazione del proletariato ai nazionalisti borghesi. Vent’anni dopo, gli stalinisti indiani raccolsero i frutti del loro sostegno ai nazionalisti indiani con la sanguinosa repressione della rivolta contadina guidata dai comunisti a Telangana per mano di Nehru e del suo ministro degli interni, Vallabhbhai Patel, noto come l’“uomo di ferro dell’India”.
La capitolazione del Pci allo sciovinismo brahmanico ha precluso la lotta contro l’oppressione dei dalit. La cosa fu chiara alla fine degli anni Venti, quando il dr. B.R. Ambedkar, lo storico leader dei dalit, guidò delle proteste di massa contro l’intoccabilità nello Stato del Maharashtra. In quel periodo, i comunisti avevano conquistato un notevole sostegno tra il proletariato combattivo delle fabbriche tessili di Bombay, dove ai lavoratori dalit era vietato lavorare nel reparto di tessitura, dove le paghe erano più alte, e dove erano costretti a bere da brocche separate. Un partito leninista avrebbe combattuto con le unghie e con i denti per convincere tutti i lavoratori a chiedere la fine dell’intoccabilità sul posto di lavoro e la parità di retribuzione per tutti.
Ma i leader del Pci non condussero tale lotta e non si mobilitarono nemmeno a sostegno delle proteste contro l’intoccabilità. Ambedkar, esasperato, disprezzava i leader del Pci come “per lo più un gruppo di ragazzi brahmani”. E concluse: “I russi hanno commesso un grave errore affidando loro il movimento comunista in India. O i russi non volevano il comunismo in India, ma solo qualcuno che suonasse la grancassa, o non capivano” (citato in Selig S. Harrison, India: The Most Dangerous Decades [1960]).
Col crescere della lotta per l’indipendenza dell’India dal dominio britannico, il Pci respinse grottescamente la lotta contro l’oppressione di casta trattandola come una diversione dalla lotta “antimperialista”. Inoltre, nella deprecabile tradizione di Roy, il Pci cedette la leadership della lotta anticoloniale ai nazionalisti borghesi guidati da Mohandas (“Mahatma”) Gandhi. Abbandonando la lotta contro l’intoccabilità, il Pci spinse molti dalit nel vicolo cieco della riforma del capitalismo propugnata da Ambedkar.
Nel 1931, i britannici, maestri nel divide et impera, offrirono ad Ambedkar una circoscrizione elettorale separata per le “classi sociali depresse”, come quella che avevano concesso ai musulmani. Ciò avrebbe consentito ai dalit, geograficamente dispersi, di formare un unico blocco elettorale. Temendo che i seguaci di Ambedkar si unissero ai musulmani a formare un contrappeso al Congresso, Gandhi dichiarò un “digiuno fino alla morte” contro la proposta britannica. In contrapposizione ad Ambedkar, Gandhi si proclamò leader di coloro che in modo paternalista chiamava harijans (i figli di Dio). Pur battendosi contro certi aspetti dell’intoccabilità (chiedendo ad esempio il diritto di entrare nei templi) Gandhi era un convinto sostenitore del sistema delle caste brahmaniche.
Da parte sua, Ambedkar favorì l’illusione che gli inglesi potessero essere usati come baluardo contro i nazionalisti indiani delle caste superiori. Con lo scoppio della Seconda guerra mondiale, sostenne gli imperialisti e aderì al Consiglio esecutivo del viceré. Non fu il solo. Anche Gandhi sostenne gli inglesi all’inizio della guerra, pur non riuscendo a conquistare la direzione del partito a questa posizione. Fu solo nel 1942 che il Congresso lanciò il movimento Quit India. Per quanto riguarda il Pci, anche gli stalinisti indiani sostennero gli imperialisti “democratici” dopo l’invasione dell’Unione Sovietica da parte di Hitler nel 1941, tradendo gli interessi delle masse coloniali.
Dopo l’indipendenza, il Partito del Congresso al potere decise di riservare dei seggi in Parlamento a tribù e caste “prestabilite” e cooptò Ambedkar per redigere la nuova costituzione. Oltre a vietare l’intoccabilità, il documento scritto prometteva molte libertà, anche alle donne, ma rimase in gran parte lettera morta. Ambedkar stesso più tardi osservò: “La solita vecchia tirannia, la solita vecchia oppressione, la solita vecchia discriminazione di prima, esiste ancora e forse in forma peggiore”.
Per una prospettiva trotskista
La transizione dell’India dalla società preindustriale non ha portato alla dissoluzione delle relazioni di casta. I governanti coloniali britannici, sostenuti dai grandi proprietari terrieri e dalla nascente borghesia locale, hanno conservato, manipolato e rafforzato l’arretratezza rurale e il sistema delle caste. Il periodo successivo all’indipendenza ha dimostrato che i governanti capitalisti indiani non sono in grado di risolvere le questioni democratiche fondamentali. Le riforme agrarie introdotte dal Partito del Congresso hanno riservato in gran parte la redistribuzione delle terre alle caste dei proprietari terrieri.
A tutt’oggi, i dalit che riescono a comprare terreni sono spesso attaccati dalle folle, e il trasferimento legale di proprietà rimane sistematicamente impantanato in dispute che si protraggono per anni. La percentuale di persone senza terra nell’India rurale è aumentata dal 28 percento della popolazione rurale nel 1951 a quasi il 55 percento nel 2011. E continua ad aumentare.
Il capitale indiano è dipendente dal capitale finanziario imperialista. Quasi il 70 percento della popolazione vive in piccoli villaggi. Tuttavia, le zone rurali non sono più la principale fonte di accumulazione di capitale per le caste rurali dominanti, che investono sempre più nell’industria. Questo fatto sottolinea che la lotta per espropriare i latifondisti e per dare la terra alle masse senza terra è inseparabile dalla lotta per espropriare la borghesia in quanto classe.
Pur immersa nell’arretratezza rurale, l’India è oggi il quinto produttore mondiale di manufatti. Il proletariato indiano è piccolo rispetto alla popolazione rurale, ma ha il potere sociale di guidare le masse contadine e tutti gli oppressi nella lotta per rovesciare lo sfruttamento capitalista. L’uso di questo potere richiederà una lotta per superare le insidiose divisioni di casta nella classe operaia.
In quanto leninista, la Lci si batte per costruire un partito di avanguardia che trasmetta al proletariato la consapevolezza che la lotta contro l’oppressione dei dalit è nell’interesse dell’intera classe operaia indiana. Un caso esemplare potrebbe essere quello di mobilitarsi per liberare 13 dirigenti sindacali dello stabilimento Maruti Suzuki di Gurgaon-Manesar, vicino a Delhi, imprigionati dallo Stato indiano. Nel 2012, un supervisore attaccò un lavoratore dalit con insulti di casta. Il sindacato difese il lavoratore. Ma l’azienda, che ha cercato a lungo di schiacciare il sindacato, assunse dei teppisti che provocarono un alterco, col risultato che i dirigenti sindacali vennero falsamente accusati di omicidio. L’anno scorso, i 13 sindacalisti sono stati condannati all’ergastolo (vedi “India: liberare i leader sindacali della Maruti Suzuki”, Wv n. 1112, 19 maggio 2017).
Il movimento operaio dovrebbe anche schierarsi in difesa del Bhim Army, un’organizzazione per i diritti dei dalit che è stata oggetto di una feroce repressione da parte del governo del Bjp nell’Uttar Pradesh. Il leader del Bhim Army, Chandrashekhar Azad, è in carcere in base alla draconiana Legge sulla sicurezza nazionale, pur essendo stato assolto da tutte le (false) accuse a suo carico. I sindacati e le organizzazioni degli oppressi devono esigere: Libertà per Chandrashekhar Azad ora!
Ants Among Elephants di Sujatha Gidla illustra con forza il ruolo centrale svolto dall’oppressione di casta nella società indiana. La liberazione delle masse dalit richiede la creazione di un partito operaio rivoluzionario che si dedichi alla lotta contro ogni forma di oppressione. A loro volta, i marxisti impegnati a costruire un tale partito devono lottare per superare la vergognosa eredità dello stalinismo piantando la bandiera del programma trotskista della rivoluzione permanente. Questo programma è completamente internazionalista e ha come obiettivo la rivoluzione proletaria non solo in India e nel resto dell’Asia meridionale, ma anche nei centri imperialisti del nord America, dell’Europa occidentale e del Giappone. Il vero partito leninista che intendiamo costruire sarà composto in maggioranza da dalit e da minoranze oppresse. Conquistare la fiducia dei dalit e degli adivasi richiederà particolari rivendicazioni e forme di organizzazione. Un partito leninista-trotskista in India, parte di una Quarta internazionale riforgiata, aprirà la possibilità di uscire dagli infiniti cicli di brutale oppressione, ingiustizia e povertà.
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