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Spartaco n. 70

Ottobre 2008

Il governo regala Alitalia ai banchieri.

La burocrazia sindacale svende migliaia di lavoratori.

Alitalia: cronaca di un tradimento annunciato

No alla collaborazione di classe! Lotta di classe negli aeroporti!

La svendita dell’Alitalia sembra giunta al capitolo finale secondo il più classico dei copioni del capitalismo italiano: nazionalizzare le perdite, privatizzare i profitti. Alitalia verrà divisa in due: i debiti saranno accollati allo Stato (che li ripagherà devastando ancor più sanità, istruzione ecc.) mentre aerei, capitali e infrastrutture verranno pratica-mente regalati a una cordata di volti noti del capitalismo italiano, amici di Berlusconi ma anche, in stile bipartisan, azionisti del Partito democratico come Colaninno, che potranno poi rivenderli a un prezzo molto superiore. A farne le spese saranno migliaia di lavoratori (forse diecimila senza considerare l’indotto). Molti verranno semplicemente buttati in mezzo alla strada (soprattutto giovani precari, donne e immigrati, sempre i primi a essere licenziati e gli ultimi ad essere assunti). Gli altri si troveranno a lavorare per la nuova Compagnia aerea italiana, o per le molte aziende low cost, con contratti pesantemente peggiorati e salari tagliati fino al 40-50 per cento. I sindacati dei lavoratori aeroportuali ne usciranno indeboliti, con una base dimezzata, polverizzata in numerose piccole aziende e demoralizzata. I padroni del trasporto aereo invece si sentiranno incoraggiati a ricorrere agli stessi ricatti, alla minaccia di “fallimenti” ed esternalizzazioni come clava per spezzare la resistenza dei lavoratori e peggiorare le loro condizioni.

La privatizzazione dell’Alitalia e l’approvazione del piano Fenice, sottoscritto da i principali sindacati aeroportuali (da Cgil/Cisl/Uil fino al Sindacato dei lavoratori, cosiddetto “di base”), segna un importante sconfitta per il movimento operaio che avrà ripercussioni anche al di fuori del settore aeroportuale. Gli industriali pensano di poter spazzar via i contratti nazionali e il governo è deciso ad andare a fondo nell’opera di distruzione delle conquiste della classe operaia che un tempo andavano sotto il nome di Stato sociale (pensioni decenti, istruzione e assistenza sanitaria, scala mobile dei salari ecc.), già ampiamente smantellate negli anni Novanta, da governi di centrosinistra che si sono rivelati spesso più efficaci della destra berlusconiana nel far ingoiare i tagli ai lavoratori.

Infatti se Berlusconi ha condotto la vicenda nel suo stile, la privatizzazione di Alitalia è stata decisa nel 2006 dal governo Prodi, un fronte popolare capitalista di cui faceva parte anche Rifondazione nella veneranda persona del ministro Paolo Ferrero, attuale segretario del Prc, per “risanare” l’azienda a suon di licenziamenti di massa, tagli a salari e diritti dei lavoratori, rendendola redditizia per i futuri padroni capitalisti.

I licenziamenti all’Alitalia fanno parte della guerra di classe con cui i capitalisti cercano di aumentare i loro profitti aumentando lo sfruttamento e di rovesciare gli effetti dell’irrazionalità e dell’anarchia del loro sistema di produzione sulle spalle dei lavoratori. L’industria del trasporto aereo, come tutta la produzione capitalista, è soggetta ad una spietata competizione internazionale e ad un continuo processo di concentrazione con cui i capitalisti lottano per mantenere i loro profitti a spese dei lavoratori. Una lotta che nel settore aereo è esacerbata dall’alto costo dei carburanti e dalla recessione internazionale (e che nel caso di Alitalia è resa ancor più rivoltante dalla malgestione e dagli intrallazzi che sono l’ombra inseparabile del capitalismo). Tutta la situazione richiede un’economia socializzata e pianificata a scala internazionale, organizzata sulla base dei bisogni umani e non dei profitti dei padroni. Il trasporto aereo e l’intera economia potranno essere gestite razionalmente nell’interesse dei lavoratori e degli utenti solo con una rivoluzione socialista che espropri la borghesia (incluse le banche, gli istituti finanziari, le compagnie petrolifere e i grossi conglomerati dell’industria aeronautica civile e militare, ecc.), instaurando un governo operaio. Per questo è necessario forgiare un partito operaio che lotti per la rivoluzione proletaria.

Cronaca di un tradimento annunciato.

Tagli e licenziamenti sono passati senza che fosse organizzata una seria risposta di lotta di classe, non per la mancanza di volontà di lottare dei lavoratori, che fino all’ultimo hanno protestato e combattuto per il loro futuro, ma a causa della politica di collaborazione di classe filocapitalista dei burocrati che dirigono i sindacati (sia confederali che “di base”). Invece di organizzare una mobilitazione potente ed unita di tutto il settore, uno sciopero che fermasse il trasporto aereo (non solo l’Alitalia, dove i lavoratori erano messi con le spalle al muro dalla minaccia di chiusura) per opporsi a licenziamenti e tagli salariali, hanno giocato secondo le regole prestabilite dai padroni e dal governo, inculcando ai lavoratori l’idea che licenziamenti e tagli fossero “inevitabili” per “salvare Alitalia” e sabotando qualsiasi seria azione di sciopero per dimostrarsi “responsabili” ai futuri padroni.

Per rovesciare l’assalto a senso unico dei capitalisti bisogna forgiare una direzione della classe operaia i cui fili non siano tirati dai capitalisti e che prenda l’offensiva: che porti avanti la battaglia dal punto di vista della lotta di classe. Al contrario, l’atteggiamento dei dirigenti sindacali ha dimostrato la bancarotta della politica di collaborazione di classe con i capitalisti, che consiste nella difesa della competitività sui mercati dei padroni capitalisti, in modo che questi possano continuare a fare profitti, nella speranza di ottenere in cambio qualche briciola. Per questo i burocrati sindacali predicano l’illusoria ricerca di un “bene comune” a lavoratori e sfruttatori.

I burocrati sindacali, che sono legati sia al Partito democratico (Cgil, Cisl e Uil) che a Rifondazione (Sdl e Cub), e persino al governo Berlusconi (Ugl), hanno fatto appello sin dall’inizio a “salvare la compagnia di bandiera” e alla “italianità di Alitalia”. Un appello che è stato condiviso dai politicanti capitalisti e da partiti riformisti come Rifondazione. Fino all’ultimo i dirigenti dei Cobas hanno lanciato appelli “al Governo ed alle forze politiche ed imprenditoriali per Alitalia” (Sindacato dei lavoratori, comunicato stampa del 1/9/2008), a “tutte le forze sociali/sindacali interessate, le istituzioni e i parlamentari” perché “pianifichino, anche al di là delle divisioni partitiche e politiche, una strategia comune che punti al rilancio dell’Alitalia” (Rdb Cub, 2/9/2004). L’Sdl ha persino proposto a piloti e assistenti di volo di sacrificare le liquidazioni e parte dello stipendio per foraggiare i potenziali futuri padroni.

L’idea che ci sia un interesse comune tra lavoratori e padroni è falsa e reazionaria. Il protezionismo equivale ad unirsi al proprio nemico per aiutarlo a mantenere i suoi profitti, profitti che possono solo venire dallo sfruttamento dei lavoratori (che siano qui, in Francia o altrove). Noi comunisti ci opponiamo senza eccezioni al protezionismo nei paesi imperialisti come l’Italia, senza per questo essere partigiani del libero commercio, in entrambi i casi i capitalisti vogliono solo aumentare i loro profitti.

Lo Stato capitalista: non un alleato ma un nemico dei lavoratori.

Un’altra illusione che è stata sparsa a piene mani dalla sinistra riformista è che l’unica salvezza dei lavoratori sia nel rivendicare l’intervento dello Stato capitalista, sia sotto forma di un rifinanziamento (cioé regalare altri soldi alle banche creditrici), sia della rinazionalizzazione di Alitalia. Sinistra critica (Sc), il Partito comunista dei lavoratori (Pcl), il Partito di alternativa comunista (Pdac). Falcemartello (Fm), tutti si sono specializzati nell’indirizzare i lavoratori verso l’inganno della “nazionalizzazione” o della “proprietà pubblica” di Alitalia (e in genere delle industrie in crisi) come unica speranza dei lavoratori.

Noi comunisti ci opponiamo alle privatizzazioni, perché hanno invariabilmente lo scopo di indebolire i lavoratori e strappargli conquiste duramente ottenute nelle lotte del passato. Ma combattiamo l’illusoria politica di “naziona-lizzazione delle aziende in crisi” propugnata ad esempio dal Partito comunista dei lavoratori. Non è infrequente che lo Stato capitalista intervenga per nazionalizzare settori industriali in crisi, allo scopo di ripagarne i debiti e di mettere al riparo i profitti di tutti gli altri settori della borghesia. Sotto il capitalismo, come scrisse il rivoluzionario russo Lev Trotsky:

“Lo statalismo – sia nell’Italia di Mussolini, nella Germania di Hitler, negli Stati Uniti di Roosevelt che nella Francia di Léon Blum – significa l’intervento dello Stato sulle basi della proprietà privata, per salvare la proprietà privata. Quali che siano i programmi dei governi, lo statalismo consiste inevitabilmente nel trasferire dai più forti ai più deboli i gravami di un sistema in putrefazione” (La rivoluzione tradita, 1936).

A differenza dei nostri oppositori riformisti, non illudiamo i lavoratori che lo Stato capitalista e la “proprietà pubblica” siano a disposizione di tutti i cittadini e che possano essere amministrati nell’interesse delle masse oppresse. Al contrario: lo Stato capitalista è il comitato d’affari dell’intera borghesia, è fondamentalmente una macchina di repressione basata su tribunali, polizia, esercito che serve a difendere la proprietà privata dei capitalisti. Non può essere usata nell’interesse dei poveri, degli oppressi e dei lavoratori. Dev’essere spezzato e sostituito con organismi di potere operaio, come i consigli operai.

La rivendicazione di nazionalizzazioni parziali di settori economici capitalisti può svolgere un importante ruolo ausiliario nel convincere il proletariato della necessità di spezzare la proprietà privata capitalista: non come appello allo Stato borghese a risanare le industrie capitaliste fallite, ma come appello agli operai ad espropriare tutta la ricchezza delle famiglie dominanti, come passo verso la rivoluzione socialista.

Anche il corporativismo e il sindacalismo economicista, che permeano la burocrazia sindacale, sono stati strumenti utili ai capitalisti per procedere indisturbati con i loro piani. Una volta accettato che bisognava “salvare la compagnia di bandiera” anche a costo di sacrificare salari e posti di lavoro sono entrate in gioco le più miserabili manovre perché le briciole promesse finissero alla propria base corporativa. Così si è assistito al disgustoso spettacolo dei burocrati sindacali di Malpensa che hanno corteggiato i politicanti di destra della Lombardia (da Bossi a Formigoni), perché li aiutassero a “salvare Malpensa”, mentre i dirigenti sindacali di Fiumicino hanno fatto piedino a gente come il fascista Storace perché intercedessero a favore di Roma.

Questo si è esteso anche a sedicenti “trotskisti” e “rivoluzionari”, come i capi del Pdac. Il Pdac ha elogiato la direzione della Cub (i cui burocrati si sono distinti per gli appelli alle “istituzioni” della regione Lazio, dominate da Alleanza nazionale, a “salvare l’Alitalia”), come unico sindacato che “lotta davvero”. Ma anche la Cub, che ha la sua base principale tra gli impiegati di Fiumicino, ha partecipato alla lotta fratricida tra i sindacati di Roma e Milano. Il Pdac ha pubblicato un articolo di un suo quadro della Cub che mentre denunciava il “gioco delle parti” di Lega e Formigoni e “l’azione demagogica delle burocrazie sindacali lombarde”, si dedicava da parte sua a giustificare la chiusura di Malpensa a vantaggio di Fiumicino sostenendo che “Malpensa era e rimane una scelta perdente” e che “è folle pensare che in Italia si possano avere due hub”, quindi meglio privilegiare Roma, meta di “turisti e pellegrini” (www.progettocomunista.org, 25 maggio 2008)

Dagli aeroporti alle fabbriche: classe contro classe.

Per quanto sconfitti, ai lavoratori aeroportuali resta un gigantesco punto di forza per le lotte future: sono loro che fanno funzionare il trasporto aereo di passeggeri e di merci, che è vitale per un’economia industriale moderna. Il trasporto aereo muove il 26 per cento di tutto l’import/export di un paese come gli Stati Uniti e anche gli eserciti utilizzano le linee aeree civili per spostare truppe e materiali dai fronti di guerra. La polizia li usa anche per le deportazioni razziste degli immigrati. Azioni operaie contro le deportazioni razziste, come il rifiuto dei sindacati di lavorare agli aerei usati per le deportazioni, o a quelli che riforniscono le missioni imperialiste, darebbero un segnale importante e molto concreto di opposizione alla classe dominante.

E’ questa la forza che i lavoratori aeroportuali devono usare se non vogliono essere ulteriormente sconfitti. Certo, una seria lotta di classe contro i futuri attacchi ai lavoratori si troverà rapidamente ad affrontare la repressione dello Stato dei capitalisti, che negli ultimi anni (grazie in particolare al governo d’Alema del 2000, appoggiato da Pdci, verdi e soci), ha sviluppato una giungla di leggi e misure antisciopero rivolte principalmente contro i lavoratori dei trasporti ed ha a sua disposizione tribunali, polizia ed esercito per farle applicare. Il governo Berlusconi ne ha approfittato vietando lo sciopero dei ferrovieri del 27 settembre con la scusa che interferiva con la crisi dell’Alitalia! Ma senza una sfida a queste leggi antioperaie, i lavoratori e i loro sindacati sono ridotti a moderni schiavi senza diritto di parola sulle loro condizioni di vita e lavoro. Per strappare la museruola che lo Stato cerca di imporre ai lavoratori, serve una lotta dura, una lotta che possa ispirare uno scoppio più vasto della lotta di classe e che trovi alleati nei settori più oppressi del proletariato. Per questo i sindacati devono difendere tutte le vittime della borghesia, esigere i pieni diritti di cittadinanza per tutti gli immigrati e opporsi al terrorismo poliziesco crescente. Questo significa anche lottare per la sindacalizzazione di tutti i lavoratori in nero, di cooperative, interinali (oltre che delle compagnie “low cost” antisindacali).

Nel caso di Alitalia, la divisione dei lavoratori aeroportuali in una costellazione di sindacati confederali, di categoria, corporativi e “di base” è stata abilmente sfruttata dai capitalisti. La classe operaia ha bisogno di una direzione rivoluzionaria. Una direzione di questo tipo lotterebbe per la più ampia unità nella lotta. Nel corso della battaglia, cercherebbe di organizzare tutti i lavoratori di un ramo industriale in un solo sindacato, che travalichi le attuali divisioni per appartenenza politica o per categoria, che sono un regalo fatto ai padroni. Una industria, un sindacato!

Il proletariato non può lasciare che strati crescenti di operai siano trasformati in poveri cronicamente disoccupati. Le linee del programma che deve guidare le lotte degli operai sono state delineate nel Programma di Transizione, documento di fondazione della Quarta internazionale di Lev Trotsky:

“Il diritto al lavoro è il solo diritto serio rimasto all’operaio in una società basata sullo sfruttamento: eppure questo diritto gli viene tolto ad ogni momento. Contro la disoccupazione, sia ‘strutturale’ che ‘congiunturale’, è ora di lanciare, insieme alla parola d’ordine di lavori pubblici, la parola d’ordine della scala mobile delle ore di lavoro. I sindacati e le altre organizzazioni di massa devono legare occupati e disoccupati con reciproci impegni di solidarietà. Su questa base tutto il lavoro disponibile verrebbe diviso fra tutti gli operai a seconda del modo in cui si determina la durata della settimana lavorativa. Il salario medio dell’operaio resterebbe quello della vecchia settimana lavorativa. Il salario, con un minimo rigorosamente garantito, seguirebbe il movimento dei prezzi. Non si può accettare nessun altro programma per l’attuale periodo catastrofico. (…) Se il capitalismo è incapace di soddisfare le rivendicazioni che scaturiscono inevitabilmente dalle calamità che esso genera, che muoia! La ‘realizzabilità’ o ‘irrealizzabilità’ in questo caso è una questione di rapporti di forza che si può decidere soltanto con la lotta. Per mezzo di questa lotta, e indipendentemente dai suoi successi pratici immediati, gli operai comprenderanno meglio la necessità di liquidare la schiavitù capitalista”.

La Ltd’I si sforza di costruire un partito operaio rivoluzionario che lotti per liquidare la schiavitù capitalista, col suo carico di miseria, razzismo e guerre, con la rivoluzione socialista. Unitevi a noi!

 

 

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