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Spartaco n. 70

Ottobre 2008

Pd e Rifondazione hanno spianato la strada a Berlusconi.

La collaborazione di classe incatena gli operai.

Razzismo, recessione, guerra: bancarotta del capitalismo

Rovesciare il capitalismo con la rivoluzione operaia!

Il governo Berlusconi ha rilanciato con raddoppiata violenza la politica di attacchi razzisti, licenziamenti di massa e distruzione delle conquiste salariali e sociali della classe operaia che negli ultimi quindici anni ha determinato un pesante arretramento delle condizioni del proletariato.

Ha cominciato prendendo di mira i rom, con schedature di massa e una violenta campagna di sgomberi, pestaggi, persino torture di donne e bambini (vedi articolo a pag. 3). E’ andato all’attacco degli immigrati, indurendo le misure razziste del precedente governo, schierando tremila soldati a presidiare i luoghi frequentati da immigrati. Incoraggiata dal terrorismo poliziesco, la feccia razzista si è scatenata nella caccia all’immigrato. Ogni giorno i giornali riportano pestaggi o omicidi razzisti, da quello di Abdul (Abba) Guibre a Milano, linciato dai proprietari di un bar per il colore della sua pelle, alla strage di Castelvolturno, dove sei immigrati africani sono stati falciati a colpi di mitra dalla camorra. Il terrore razzista è parte integrante del capitalismo, che richiama costantemente nuovi strati proletari a buon mercato e privi di diritti, più facili da licenziare nei periodi di recessione, più facili da intimidire e isolare per avvelenare la coscienza e la solidarietà della classe lavoratrice dividendola lungo linee etniche e nazionali. L’avanguardia proletaria ha il compito di lottare per l’unità e l’integrità della classe operaia contro sciovinismo nazionalista e razzismo. Pieni diritti di cittadinanza per tutti gli immigrati!

Con la stessa foga reazionaria, il governo ha preso d’assalto le condizioni di vita dell’intera classe operaia: diecimila licenzia-menti all’Alitalia (vedi articolo a pag. 16); una pesante offensiva contro i dipendenti pubblici etichettati in massa come “fannulloni” per restringere permessi, malattie e consentire licenziamenti politici e antisindacali, il taglio di 150 mila posti di lavoro nelle scuole elementari. Confindustria vorrebbe anche cancellare i contratti collettivi (già svuotati dal taglio della scala mobile del 1992 e dalle leggi di precarizzazione introdotte negli anni Novanta dai governi dell’Unione e peggiorate dalla destra).

Tutto questo, nel mezzo di una crisi economica galoppante, iniziata con la crisi dei mutui americani, che ha fatto a pezzi nel giro di poche settimane alcune delle più potenti istituzioni finanziarie del mondo. Non basta che milioni di persone in tutto il mondo siano a rischio di perdere casa e lavoro, adesso devono pure guardare lo spettacolo dei principali governi capitalisti che fanno a gara a svuotare le casse dello Stato per riempire le casseforti dei banchieri che sono responsabili della loro rovina! Negli Stati Uniti, Bush ha proposto il più grande ripianamento di debiti della storia americana: 700 miliardi di dollari per coprire i buchi delle banche coinvolte nella crisi! Uno dopo l’altro, i governi d’Europa si preparano a misure simili.

Con l’economia avviata alla recessione, il crack finanziario minaccia di portare ad una crisi economica ancor più profonda. La diminuzione della liquidità spingerà le aziende a tagliare investimenti e salari e i consumi si contrarranno pesantemente. Anche pensioni e liquidazioni, gettate sul mercato dei fondi pensione con la complicità delle burocrazie sindacali, verranno pesantemente intaccate. Questo mentre le condizioni di vita dei lavoratori vengono abbattute dal secco aumento dell’inflazione, specialmente per i generi alimentari, la benzina e i servizi. Come ha titolato il Wall Street Journal (18 settembre): “E’ la crisi peggiore dagli anni Trenta e ancora non se ne vede la fine”.

Recessione, repressione razzista e attacchi ai lavoratori sono legati a doppio filo. Contro l’inflazione crescente e la disoccupazione dilagante bisogna rivendicare una piena scala mobile dei salari e la divisione di tutto il lavoro esistente tra tutti i lavoratori disponibili senza riduzione di salario. Ma come scrisse Marx, in tutte le sue lotte difensive la classe operaia: “non deve dimenticare che essa lotta contro gli effetti, ma non contro le cause di questi effetti; che essa può soltanto frenare il movimento discendente, ma non mutarne la direzione, che essa applica soltanto dei palliativi ma non cura la malattia. (…) Invece della parola d’ordine conservatrice ‘Un equo salario per un’equa giornata di lavoro’ gli operai devono scrivere sulla loro bandiera il motto rivoluzionario: ‘Soppressione del sistema del lavoro salariato’” (Salario, prezzo e profitto, 1865).

Un partito che lotti per abbattere il capitalismo

Il capitalismo è un sistema di società umana in cui uno strato ristretto di individui possiede in privato fabbriche, banche e mezzi di trasporto, mentre la stragrande maggioranza della popolazione non possiede nient’altro che la sua capacità di lavorare in cambio di un salario. La fonte dei profitti capitalisti, come spiegò Karl Marx, in essenza è la differenza tra i salari (e le varie forme di assistenza sociale), che tendono al minimo necessario affinché un operaio possa esistere e riprodursi, e il valore enormemente superiore che gli operai producono con il loro lavoro. Agli occhi dei capitalisti, quella parte del salario operaio che eccede il minimo di sussistenza sono profitti persi che meritano di essere recuperati. Ogni aumento di salari strappato dalle lotte operaie è direttamente una riduzione dei profitti. Perciò esiste una lotta inconciliabile tra queste due classi, e qualunque politica che predica la possibilità di conciliare gli interessi della borghesia e quelli del proletariato serve in realtà la classe borghese che è la classe dominante, impedendo alla classe operaia di rendersi conto del proprio compito storico di rovesciare il capitalismo.

La crisi attuale non è il prodotto accidentale di un eccesso di “liberismo”, né il prodotto della politica della destra, ma la conseguenza del funzionamento stesso del sistema capitalista. Solo negli ultimi vent’anni, in tutto il mondo si sono ripetute continuamente gravi crisi finanziarie. Nel 1990-91 crollò la bolla speculativa immobiliare in Giappone, portando ad un decennio di stagnazione economica la seconda economia capitalista del mondo. Alla fine degli anni Novanta, un’improvvisa fuga di capitali speculativi rovinò le economie capitaliste dell’Asia, dalla Corea del Sud, all’Indonesia e la Thailandia. Pochi anni fa, il crollo azionario del mercato informatico portò gli Stati Uniti in una breve recessione.

Il sistema capitalista è irrazionale ed anarchico, guidato dalla legge del profitto e porta regolarmente a crisi economiche come l’attuale, in cui intere fabbriche vengono chiuse proprio nel momento in cui ci sarebbe un bisogno impellente di ciò che producono. Oltre a gettare nella miseria milioni di lavoratori, rendono ancor più acuti i conflitti tra gli imperialisti. La crisi del 1929 ad esempio, fu “risolta” solo con la Seconda guerra mondiale, al prezzo di 50 milioni di morti.

Come tutte le inevitabili crisi economiche che si ripetono periodicamente sotto il capitalismo, l’attuale riflette la contraddizione fondamentale del capitalismo, riconosciuta originariamente da Karl Marx e Friedrich Engels: sotto il capitalismo la produzione è socializzata, cioè concentrata e organizzata in vaste aziende, mentre i mezzi di produzione (e la ricchezza sociale che con questi viene prodotta) sono proprietà privata di pochi. La produzione socializzata dev’essere estesa a divenire proprietà sociale, e il modo di farlo è che i produttori conquistino il controllo della società. La via d’uscita dal ciclo interminabile di crisi economiche e guerre imperialiste è stato mostrato dalla Rivoluzione bolscevica, quando gli operai russi presero il potere nelle proprie mani, espropriando la borghesia e istituendo uno Stato operaio. Noi ci battiamo per la rivoluzione socialista internazionale, per la collettivizzazione dei mezzi di produzione e per la pianificazione economica a scala internazionale. Lottiamo per costruire un partito operaio rivoluzionario, che unisca operai avanzati e intellettuali declassati che si schierano dalla parte del proletariato. Vogliamo costruire un partito dello stesso tipo di quello di Lenin, che rese possibile la vittoria della Rivoluzione russa. La classe operaia è una classe sfruttata, oppressa, che i capitalisti si sforzano di mantenere nell’ignoranza e nell’arretratezza, mentre burocrati sindacali e riformisti cercano di ingannarla ed incatenarla all’ordinamento capitalista con false promesse di una sua riforma. Per superare questi ostacoli ha bisogno di un partito leninista che la guidi al potere.

Collaborazione di classe: cappio al collo dei lavoratori

Se oggi il governo Berlusconi può procedere come un rullo compressore e sinora con scarsa opposizione, è perché il precedente governo di Unione e Rifondazione gli ha preparato il terreno. E’ stato il governo Prodi a introdurre le leggi anti-rom e anti-immigrati, a sancire la privatizzazione del Tfr nei fondi pensione e a confermare, con gli accordi del 13 luglio, i feroci tagli alle pensioni e le leggi di precarizzazione. Aumentando razzismo, sfruttamento e miseria dei lavoratori e di ampi settori della piccola borghesia, il tutto in nome della “sinistra”, il governo di Unione e Rifondazione ha gettato vasti settori proletari e popolari tra le braccia di Berlusconi e dei suoi alleati in camicia verde o nostalgici di quella nera. Il governo Prodi era una coalizione tra partiti riformisti della classe operaia e partiti della borghesia, il cui obiettivo sin dalla nascita è stato quello di usare la presenza di Ds e Rifondazione e l’appoggio dei burocrati sindacali per legare le mani alla classe operaia, per attuare una politica imperialista, razzista e antioperaia.

Dall’antagonismo inconciliabile tra operai e capitalisti deriva il fatto che un’alleanza tra partiti che rappresentano la classe operaia e partiti che rappresentano i capitalisti può avvenire solo sulla base degli interessi della classe dominante. Se si vuole lottare per rovesciare il capitalismo, il punto di partenza dev’essere quello di non stringere un’alleanza con i nemici della propria classe.

Noi definiamo queste coalizioni dei fronti popolari, il nome che ricevettero negli anni Trenta quando socialdemocratici e stalinisti tradirono la possibilità di rivoluzioni socialiste in Spagna e in Francia, in nome dell’alleanza con i partiti borghesi “repubblicani” o “radicali”. In Italia, la politica dei fronti popolari condotta dal Pci di Togliatti, fu cruciale per il mantenimento del potere capitalista alla fine della Seconda guerra mondiale. In nome dell’alleanza con i partiti della borghesia “antifascista” (dai monarchici badogliani alla Democrazia cristiana), il Pci disarmò (politicamente e materialmente) il proletariato che puntava al rovesciamento armato della borghesia e rimise in piedi l’apparato statale capitalista, spianando la strada a quarant’anni di potere della Democrazia cristiana. L’obiettivo di queste coalizioni è sempre stato quello di incatenare la classe operaia ai suoi sfruttatori, subordinando gli interessi vitali delle masse lavoratrici alle esigenze degli “alleati” borghesi del momento.

I marxisti non danno per principio nessun appoggio, politico o elettorale, a queste coalizioni capitaliste né ai partiti riformisti che ne fanno parte, e lottano per la completa indipendenza di classe dei lavoratori da tutte le ali della classe dominante. La Ltd’I si è sempre opposta a votare Rifondazione e i suoi alleati in seno alle coalizioni dei “progressisti”, dell’Ulivo o dell’Unione.

Al contrario, tutti i gruppi riformisti, sia quelli recentemente usciti da Rifondazione, che si presentano falsamente come fautori della “indipendenza di classe”: Sinistra critica (Sc), Partito comunista dei lavoratori (Pcl), Partito di alternativa comunista (Pdac), sia quelli che ci restano ancora, come Falcemartello (Fm) hanno dato sistematicamente appoggio elettorale (e non solo) a Rifondazione e all’Ulivo/Unione. Sinistra critica ha appoggiato il governo Prodi fino all’autunno del 2007, votando più volte la fiducia in parlamento e votando il rifinanziamento delle missioni imperialiste italiane. Ancora alle elezioni del 2006 Progetto comunista (da cui è nato il Pcl) ha appoggiato Rifondazione/Unione. Il suo capo, Marco Ferrando, se non fosse stato messo alla porta dai Ds, si sarebbe candidato nelle file dell’Unione (ciò vale anche per il suo ex scudiero Ricci, attuale capo del Pdac, che voleva prenderne il posto). Alle elezioni provinciali milanesi del 2006, il Pcl ha candidato un suo dirigente, Luca Prini, nelle liste di Rifondazione che appoggiava l’ex prefetto Penati, celebre per le sue persecuzioni dei rom.

Soprattutto, sono stati tutti parte integrante della costruzione di Rifondazione comunista, un partito che sin dalla nascita era esplicitamente votato al mantenimento del capitalismo e alla formazione di alleanze fronte populiste.

Il Partito democratico scarica Rifondazione

Le ultime elezioni hanno segnato un significativo cambiamento nel panorama politico italiano. I Ds si sono fusi con la Margherita a formare il Partito democratico, un partito apertamente capitalista. Rifondazione e i suoi alleati de la Sinistra l’Arcobaleno (tra cui il partito capitalista dei verdi) sono stati spazzati via dal Parlamento, discreditati dalla partecipazione al governo antioperaio e razzista di Prodi. Per la prima volta nel dopoguerra, nessun partito operaio riformista è rappresentato in Parlamento, in un paese che vantava il più grosso Partito comunista (riformista) dell’Europa occidentale.

Questi sviluppi rappresentano un prolungamento della sconfitta storica subita dal proletariato internazionale (compreso quello italiano): la controrivoluzione capitalista che ha distrutto lo Stato operaio degenerato sovietico e gli Stati operai deformati dell’Europa dell’Est nel 1991-92. La distruzione dell’Urss ha imbaldanzito le potenze imperialiste (soprattutto la superpotenza nucleare americana) che ora pensano di poter soggiogare il mondo impunemente. Ha significato un arretramento catastrofico per il proletariato e le minoranze di quei paesi, ridotti a miserabili semicolonie e fonti di materie prime e ha rigettato indietro di decenni le condizioni di vita della classe operaia in tutto il mondo.

Di fronte all’Unione Sovietica, la borghesia americana accettò di sostenere enormi spese militari per mantenere un gigantesco arsenale militare con migliaia di bombe atomiche, e i paesi imperialisti dell’Europa occidentale accettarono un tasso di profitti più basso per acconsentire a qualche miglioramento per la classe lavoratrice per allontanare il rischio di una rivoluzione operaia. L’insieme di conquiste operaie conosciute come Stato sociale, furono il prodotto delle dure lotte di classe dell’immediato dopoguerra e dell’“autunno caldo” del 1969, quando la borghesia si vide costretta a fare ampie concessioni per tenere a freno la minaccia di una rivoluzione proletaria.

Con la distruzione dell’Urss i capitalisti si sono convinti di potere far ingoiare ogni specie di tagli e peggioramenti al proletariato e in Italia, hanno cercato di disfarsi dell’insieme di conquiste dello Stato sociale. Negli anni Novanta, questo si è tradotto in un assalto a senso unico alle condizioni di vita del proletariato, fatto di tagli a pensioni e assistenza sociale, drastica riduzione dei salari, privatizzazioni selvagge, con una gigantesca trasfusione di ricchezze dalle tasche degli operai a quelle degli sfruttatori. Solo in Italia, la fetta di ricchezza che i capitalisti hanno sottratto ai lavoratori negli ultimi vent’anni è passata dal 23 al 31 per cento del prodotto interno lordo (qualcosa come 120 miliardi di euro all’anno), con una riduzione media netta dei salari reali di settemila euro all’anno. Olivier Blanchard, un economista borghese del Massachusetts Institute of Technology, ha significativamente fatto notare che i lavoratori hanno, di fatto, perduto quanto avevano guadagnato nel dopoguerra (la Repubblica, 3 maggio).

La distruzione dell’Urss ha anche consentito agli eredi del Pci (Rifondazione e Ds) di accedere al governo dello Stato (mentre nella “prima repubblica”, una creatura della Guerra fredda antisovietica, il Pci era escluso a priori dal governo nazionale, anche se gli fu consentito di integrarsi nell’apparato statale borghese attraverso le amministrazioni locali). Negli anni Novanta, la borghesia ha usato i fronti popolari di Unione e Rifondazione per far ingoiare alla classe operaia i tagli e le privatizzazioni che la destra non riusciva a far passare.

Ora i partiti riformisti hanno consumato molta della loro credibilità e le loro coalizioni di fronte popolare sono divenute così instabili e conflittuali che un settore rilevante della borghesia le considera un intralcio ai propri obiettivi. Per questo il principale troncone socialdemocratico del vecchio Pci, i Democratici di sinistra, si è fuso con un’ala della vecchia Democrazia cristiana a formare il Partito democratico, prendendo a modello l’omonimo partito statunitense. Anche se gode del sostegno di una fetta consistente della burocrazia sindacale, il Partito democratico è un partito borghese quanto a programma politico e composizione: rigetta ogni legame con la classe operaia e pretesa di rappresentarla, presentandosi come un partito di “cittadini” e ha ostentato come capofila alle elezioni capitalisti odiati dalle loro maestranze come Colaninno e Callearo.

Anche se al momento non vi è una coalizione di fronte popolare organica a scala nazionale, questa politica rimane la stella polare di tutta la “sinistra” riformista e con Berlusconi al governo e Rifondazione fuori dal Parlamento, le illusioni nella “unità della sinistra” giocheranno un ruolo importante nell’incatenare gli operai ai capitalisti.

La truffa della “svolta a sinistra” di Rifondazione

Il Prc orfano del Parlamento si è spaccato a metà, da una parte l’ala di Vendola-Bertinotti disposta a liquidare rapidamente il partito e la tradizione “comunista” (una foglia di fico dietro cui si è sempre mascherata una disgustosa politica filo capitalista) per fondersi con i rottami dell’Unione; dall’altra quella di Ferrero & Co. che punta a ricostruire Rifondazione in modo che abbia un peso elettorale e sociale sufficiente da essere un alleato necessario al Pd. Nonostante l’asprezza dello scontro interno, le differenze tra le due ali del Prc non riguardano le prospettive politiche fondamentali. Entrambe puntano in definitiva a mantenere e costruire alleanze di fronte popolare col Partito democratico e i suoi satelliti (Verdi, Sinistra democratica, Pdci).

Per cercare di riconquistarsi un minimo di credibilità dopo i tradimenti commessi al governo con Prodi, Ferrero e soci si sono inventati una “svolta a sinistra” annunciando (fuori tempo massimo) che era “chiusa e superata la fase caratterizzata dalla collaborazione organica con il Pd nella fallimentare esperienza di governo dell’Unione”. In pratica hanno semplicemente riconosciuto di essere stati messi alla porta dal Partito democratico e di dover cercare nuove strade per rientrare in Parlamento. Quanto sia falsa la “svolta a sinistra” del Prc lo dimostrano i fatti. Ferrero si limita ad escludere “alleanze organiche per il governo del paese” col Pd, ma solo “al momento” e “finché il Pd tiene questa linea politica (…) ma non con il Pd in sé” (il riformista, 31 luglio). Intanto la realtà è che mentre farfuglia di una “svolta a sinistra” continua tranquillamente a far parte di moltissime amministrazioni locali col Pd (anche quelle più impresentabili come quella della provincia milanese del razzista Penati o quella calabrese di Loiero!)

La divisione in seno al Prc ha portato alla ribalta il gruppo di Falcemartello, che è stato la provvidenziale ruota di scorta che ha consentito a Ferrero di prendere le redini del Prc, votandolo come segretario. I dirigenti di Fm hanno giustificato il loro appoggio a Ferrero ricorrendo alla favola della “svolta a sinistra”. Ma il fatto stesso che abbiano aiutato proprio Ferrero, l’ex ministro del governo Prodi che ha personalmente votato finanziarie da fame, missioni imperialiste e decreti razzisti contro rom e rumeni, è il simbolo eloquente della continuità della politica di Rifondazione e del tradimento di questi falsi “marxisti”.

In cambio i dirigenti di Fm sono entrati in segreteria, incaricati del lavoro “operaio” e del “radicamento” del partito. Ora Fm è direttamente corresponsabile della politica del Prc, senza più nemmeno la maschera della “opposizione interna”. Il compito assegnatogli dai dirigenti del Prc è quello di adoperare la retorica “marxista” in cui sono versati, per dare alla politica del partito una facciata combattiva e “operaia” in modo da convincere i militanti e la periferia recalcitrante del Prc della necessità di ricostruire un partito che è stato ed è responsabile in prima persona della politica antioperaia della borghesia. Indubbiamente, per i dirigenti di Falcemartello questa promozione è il coronamento della loro politica, che è sempre stata quella di venditori del riformismo filocapitalista di Rifondazione. Una politica che per gli operai e gli oppressi è fallimentare, come dimostrano i cinquant’anni spesi dai capi della sezione madre di Falcemartello nel tentativo illusorio di spingere il partito laburista inglese a divenire un veicolo per il “socialismo”.

Sia quando è al governo, che quando è all’opposizione, Rifondazione resta un partito operaio-borghese, con una base operaia ma basato su di una politica socialdemocratica che accetta ed appoggia il capitalismo. La sua unica prospettiva è di cercare una coalizione con qualche formazione borghese, che possa aprirgli di nuovo la strada per partecipare al governo della società capitalista. I comunisti devono battersi per scindere questi partiti lungo linee di classe, conquistandone la base ad una politica rivoluzionaria.

Sinistra critica, Pcl, Pdac: i rottami del fronte popolare cercano nuova verginità

Per evitare di essere coinvolti nel discredito del Prc, Sinistra critica, Pcl e Pdac hanno dovuto abbandonare la nave di Rifondazione e si presentano come oppositori della “collaborazione di classe” e della partecipazione a governi capitalisti. Sinistra critica ha lanciato l’appello a una “nuova sinistra di classe anticapitalista” e il Pcl di Ferrando ama dipingersi come “la sinistra che non tradisce”. Le frasi altisonanti servono a nascondere il fatto che per quindici anni hanno contribuito a rafforzare Rifondazione, fornendo un alibi pseudo marxista alla sua putrida politica e facendo da argine di sinistra al periodico malcontento del partito e dando appoggio elettorale a Rifondazione e ai suoi fronti popolari con i partiti dell’Ulivo e dell’Unione.

Alle ultime elezioni, data la determinazione del Pd a scaricare Rifondazione &Co. per presentarsi autono-mamente, non esisteva una coalizione di centrosinistra che potesse competere con Berlusconi. Perciò Sinistra critica, Pcl e Pdac si sono presentati con proprie liste, cosa che non hanno mai fatto quando i loro voti erano decisivi per la vittoria di una coalizione di fronte popolare. In tutte le altre occasioni, Ferrando ha chiesto di appoggiare Prc e Unione “incondizionatamente (anche col ricorso, se necessario, a forme di accordo tecnico-elettorale)”. Anche alle ultime elezioni, Sinistra critica ha fatto appello a votare Francesco Rutelli, candidato tra i più antioperai del Pd capitalista, antigay e leccapiedi del Vaticano, alle comunali di Roma per “fermare Alemanno”. Il fatto che Pcl e Sc continuassero a rivendicare e attuare questa politica contava molto di più per i marxisti che non la loro candidatura autonoma. Per questo noi della Ltd’I abbiamo fatto appello a non votare né la Sinistra l’Arcobaleno, né Pcl o Sinistra critica alle scorse elezioni.

Ora, con la destra al governo, la politica di questi gruppi consiste nel tentativo di resuscitare la “unità delle sinistre”, vale a dire un blocco di collaborazione di classe con i rottami dell’Unione e con il Prc. Il Pcl cerca di rimettere in piedi “l’unità di classe delle sinistre in alternativa al Pd” e chiede “un Parlamento dei lavoratori e delle sinistre come sede di fronte unico contro Berlusconi” per la “cacciata del governo Berlusconi per un governo dei lavoratori” (Il Pcl alla manifestazione dell’11 ottobre, www.pclavoratori.it). Anche il Pdac continua a fare appelli alla sinistra ad un “fronte unico contro Berlusconi”. Il “governo dei lavoratori” di cui parlano Pcl e Pdac, è la versione governativa di quello che hanno sempre chiamato il “polo di classe anticapitalista”, una coalizione di Prc, Pdci, Verdi e Sinistra democratica. In parole povere, la defunta Sinistra l’Arcobaleno. Il “polo di classe anticapitalista” propugnato da Pcl e Pdac non è né di classe (perché include partiti borghesi come i Verdi), né anticapitalista (perché include ex ministri borghesi come Mussi e Ferrero e partiti che si propongono il mantenimento del capitalismo, come Rifondazione, Pdci, Sd).

E’ fondamentale che la classe operaia metta immediatamente in campo la più vasta mobilitazione di lotta di classe per respingere tutte le odiose misure di questo governo contro gli operai, gli immigrati e i poveri. Ma questa lotta deve basarsi sulla indipendenza dei lavoratori dai capitalisti e dai loro partiti. Noi mettiamo in guardia dagli appelli alla “unità della sinistra” per “cacciare Berlusconi”, che rappresentano non un programma di lotta di classe contro gli attacchi dei capitalisti, ma di collaborazione con un’ala della borghesia. Il loro obiettivo è di sfruttare le lotte che inevitabilmente scoppieranno non per conquistare gli operai alla necessità del rovesciamento del capitalismo, ma per “cacciare Berlusconi” e sostituirgli un “governo delle sinistre”, che tradotto nei termini della realtà parlamentare, sarebbe centrato sul Partito democratico (e sui resti dei partiti riformisti dell’Arcobaleno) e che difenderebbe gli interessi dei capitalisti contro gli operai e gli oppressi.

Fin dove si spinga la ricerca di alleati borghesi del Pcl lo dimostra la sua partecipazione in pompa magna alla manifestazione di Di Pietro dell’8 luglio a Roma, una manifestazione dal contenuto politico bonapartista borghese. La politica di Di Pietro, ex pubblico ministero simbolo di “mani pulite” e tra i principali oppositori dell’indulto, consiste nel sollecitare la magistratura e l’apparato repressivo dello Stato capitalista a ripulire le stalle del capitalismo italiano. Mentre Ferrando sfilava con Di Pietro, i magistrati di Genova stavano scrivendo la motivazione della sentenza che ha scagionato i poliziotti massacratori di Bolzaneto. La magistratura è uno degli elementi centrali dello Stato capitalista, assieme a polizia ed esercito. Sono loro ad imporre le leggi che difendono il potere dei padroni, ad applicare le leggi antisciopero, a perseguitare i militanti di sinistra e gli immigrati. Qualsiasi rafforzamento dell’apparato statale borghese, comunque sia motivato, si rivolge in definitiva contro gli oppressi. Il Pcl di Ferrando partecipando alla manifestazione di Di Pietro, indica chiaramente che il suo nemico non è la borghesia o lo Stato capitalista, ma unicamente Berlusconi e il suo governo, e contro Berlusconi è pronto all’alleanza anche con settori dello Stato borghese.

Riforgiare la Quarta internazionale

Se per i Ds e Rifondazione il crollo dell’Urss ha spalancato la strada del governo, per Pcl, Sinistra critica e Pdac, ha rappresentato una chance di entrare nei salotti della “grande politica” parlamentare. Come ha riconosciuto lo stesso Ferrando nella sua autobiografia (L’altra Rifondazione, 2003):

“La vittoria della controrivoluzione borghese nell’URSS e nell’est europeo è indubbiamente una sconfitta storica del proletariato internazionale (...). Tuttavia se cogliamo questi avvenimenti dal punto di vista di una prospettiva storica rivoluzionaria il crollo dello stalinismo è una sorta di liberazione che inaugura una nuova epoca: libera il campo da una mostruosità e da un equivoco gigantesco (…). I termini di costruzione oggi di una direzione alternativa per il movimento operaio in occidente sono storicamente più avanzati di quanto non fossero prima del crollo dello stalinismo”.

La vittoria della controrivoluzione nell’Urss è stata una sconfitta storica che ha rigettato indietro la classe operaia materialmente e ideologicamente e ha reso più difficile la costruzione di una direzione rivoluzionaria del proletariato. La distruzione dell’Urss e il clima di “morte del comunismo” instaurato dalla borghesia (con l’aiuto di forze come il Prc), sembra precludere, agli occhi delle masse sfruttate, la strada della rivoluzione sociale. Al contrario, per il Pcl, Pdac e Sinistra critica, il sostegno alla controrivoluzione capitalista nell’Europa dell’Est è stato il biglietto d’ammissione nel campo della borghesia. Come per i Ds e Rifondazione il crollo dell’Urss ha spalancato la strada del governo, per Ferrando e gli pseudo trotskisti, ha aperto le porte della “grande politica” parlamentare. E’ su questa base che Sinistra critica e Pcl sperano di trarre vantaggio dallo scioglimento dei Ds e dalla crisi di Rifondazione. Lo stesso processo sta avvenendo in sostanza anche in Francia, dove la Ligue communiste révolutionnaire ha lanciato un “Nuovo partito anticapitalista” che si basa sul ripudio esplicito del comunismo, del trotskismo e della rivoluzione, nel tentativo di attrarre gli scontenti dei partiti socialista e comunista e politicanti piccolo-borghesi imbevuti di anticomunismo. Sinistra critica rigetta apertamente il marxismo anche sul piano formale dicendo che:

“il partito che noi vogliamo non si considera depositario dell’ortodossia marxista, né considera il marxismo l’unica teoria di liberazione a cui far riferimento: è perciò un partito ecologista e femminista, aperto ai contributi di esperienze e di culture diverse. (…) Fare ancora riferi-mento al socialismo e al comunismo può significare oggi una cosa soltanto: prendere atto che le emergenze della specie e del pianeta non possono essere affrontate che con misure e progetto [sic] analoghi a quelli che hanno caratterizzato la parte migliore della storia del movimento operaio” (“Manifesto programmatico dell’associazione Sinistra critica”, 2008, www.sinistracritica.org).

E’ una negazione esplicita del marxismo in cui la classe operaia viene dissolta nei diversi strati della popolazione (e completamente liquidata nella “specie umana”). Un partito fatto su misura per l’epoca della “morte del comunismo”.

Lungi dal battersi per la rivoluzione socialista, Sinistra critica e Pcl hanno come unica prospettiva la riforma dello Stato capitalista da parte di un “governo dei lavoratori” che diriga lo Stato capitalista nell’interesse degli operai. Il programma elettorale del Pcl sosteneva ad esempio che:

“il nostro programma di governo non sarà mai realizzato nell’attuale quadro istituzionale. Richiede una trasformazione costituzionale per un altro governo e un altro Stato. (...) Rivendichiamo una democrazia dei lavoratori, delle lavoratrici, della maggioranza della società: l’unica peraltro che può realizzare sino in fondo le stesse aspirazioni democratiche. Rivendichiamo in fondo la democrazia reale: quella in cui la maggioranza della società non ha solo il diritto di votare ogni 5 anni chi la governerà in Parlamento, ma ha il potere di decidere le condizioni della propria vita e del proprio futuro”. (www.pclavoratori.it)

Rigiratela come volete, questa frase non parla della necessità di una rivoluzione proletaria, ma della democratizzazione dello Stato capitalista. E’ la solita menzogna riformista per cui, democratizzando lo Stato borghese, gli operai potranno prenderne il controllo e usarlo per i loro interessi. Al contrario, i marxisti hanno sempre riconosciuto che lo Stato capitalista è essenzialmente una macchina di dominio di classe della borghesia. Gli operai devono spezzarla e sostituirla con organismi di potere proletario, come i soviet.

Sc, Pcl e Pdac non sono per il rovesciamento del capitalismo con la rivoluzione operaia, ma puntano al massimo a mantenere o reintrodurre certi elementi dello “stato sociale” che esistevano negli anni Settanta e Ottanta e che sono stati progressivamente smantellati dopo la distruzione controrivoluzionaria dell’Unione Sovietica.

Sinistra critica, Pcl e Pdac sono incapaci di dire la verità sul significato della controrivoluzione capitalista in Unione Sovietica per una ragione molto semplice: l’hanno appoggiata.

Sinistra critica (all’epoca Lega comunista rivoluzionaria) difese le barricate di Boris Eltsin, il controrivoluzionario russo che prese il potere nell’agosto del 1991, distrusse lo Stato operaio degenerato restaurando il capitalismo in Russia (sulle barricate di Eltsin c’erano anche i militanti russi della corrente di Falcemartello). L’appoggio alle forze restaurazioniste di Eltsin era stato preceduto da un appoggio crescente a tutte le forze filoimperialiste che si ponevano l’obiettivo di rovesciare le economie collettivizzate dell’Europa dell’Est. Così Ferrando e Turigliatto nel 1980 si schierarono in “solidarietà con Solidarnosc”, il “sindacato” giallo della Cia e del Vaticano per restaurare il capitalismo in Polonia.

Al contrario noi della Lci abbiamo lottato con tutte le nostre forze contro la restaurazione del capitalismo e per una rivoluzione politica proletaria che cacciasse la burocrazia stalinista. All’epoca del controgolpe di Eltsin, i nostri compagni a Mosca distribuirono centomila copie di un volantino che faceva appello alla classe operaia sovietica a spazzar via la feccia controrivoluzionaria di Eltsin. E nel 1989, mentre nella Ddr si delineava la possibilità di una rivoluzione politica proletaria contro la burocrazia stalinista in fase di decomposizione, intervenimmo con tutte le nostre forze lottando per dei consigli operai che prendessero il potere politico nelle loro mani, cacciassero la burocrazia e si volgessero verso Est ai loro fratelli sovietici, per estendere la rivoluzione politica in Unione Sovietica, e ad Ovest, al proletariato tedesco occidentale, perché espropriasse la borghesia tedesca. Le forze erano sproporzionate e alla fine ha vinto la controrivoluzione. Ma abbiamo lottato con un programma corretto, nel momento in cui tutti i riformisti si schieravano dalla parte della borghesia.

La distruzione controrivoluzionaria dell’Unione Sovietica nel 1991-92, una catastrofe per il proletariato mondiale, ha rigettato indietro la coscienza di classe del proletariato e incoraggiato il trionfalismo borghese a cantare la menzogna della “morte del comunismo”. La classe operaia, anche nei suoi settori d’avanguardia, non vede un legame tra le proprie lotte quotidiane e la prospettiva della rivoluzione socialista.

La costruzione di un partito rivoluzionario, un compito urgente per il proletariato di questo paese, potrà avvenire traendo le lezioni della storia del movimento operaio, in particolare della controrivoluzione capitalista che ha distrutto il primo Stato operaio della storia, soffocato dall’accerchiamento imperialista e dalla vittoria all’interno di una casta burocratica reazionaria che perseguiva la “coesistenza pacifica” con l’imperialismo, tradendo la rivoluzione internazionale. Un partito che si opponga alla collaborazione di classe con la borghesia di Rifondazione, di Sinistra critica, Pcl e Pdac, una politica che ha portato gli operai di sconfitta in sconfitta. Un partito rivoluzionario modellato sul partito bolscevico che guidò la Rivoluzione russa dell’ottobre 1917: che non accetti la dittatura “democratica” dei capitalisti e i valori della loro proprietà, che dica agli sfruttati e agli oppressi: vogliamo di più, vogliamo tutto, dev’essere nostro! E quando avremo nelle nostre mani la ricchezza di questo paese, inizieremo a costruire un’economia socialista pianificata a scala inter-nazionale. E’ questa la sola via d’uscita da recessione, razzismo e guerra. I giovani e gli operai che vogliono comprendere le radici dell’attuale crisi del movimento operaio devono tornare al programma internazionalista rivoluzionario di Lenin e Trotsky. Riforgiare la Quarta internazionale!

Spartaco n. 70

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Ottobre 2008

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