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Spartaco n. 69

Gennaio 2008

Preservare il programma rivoluzionario nel periodo post-sovietico

Quinta conferenza della Lega comunista internazionale

La Lega comunista internazionale (quartinternazionalista) ha tenuto la sua Quinta conferenza internazionale in Europa all’inizio di quest’anno. La conferenza, l’organismo più elevato della nostra tendenza internazionale centralista democratica, aveva il compito di valutare il nostro lavoro nel periodo seguito alla precedente conferenza, tenutasi alla fine del 2003, e di tracciare il cammino per il prossimo periodo, risolvendo le differenze politiche esistenti ed eleggendo un nuovo Comitato esecutivo internazionale (Cei) per dirigere l’organizzazione fino alla prossima conferenza. La conferenza è stata preceduta da un intenso dibattito che ha prodotto dieci bollettini interni contenenti i contributi di compagni di tutta l’organizzazione. In tutte le sezioni della Lci si sono tenute elezioni dei delegati alla conferenza, basate su posizioni politiche. I delegati hanno discusso, emendato e adottato il principale documento della conferenza “Preservare il programma rivoluzionario nel periodo post-sovietico”.

Pur riconoscendo sobriamente le difficoltà e le pressioni che agiscono sulla nostra piccola avanguardia marxista, in questo periodo generalmente reazionario, la conferenza ha registrato un significativo numero di passi in avanti. Spicca tra questi la decisione di ricostituire il Gruppo spartachista di Polonia, sciolto nel 2001, come sezione simpatizzante della Lci. La conferenza ha notato il significativo miglioramento della quantità e qualità della nostra propaganda riguardo lo Stato operaio deformato cinese e i nostri maggiori sforzi internazionali per riportare alla libertà il prigioniero politico statunitense nel braccio della morte, Mumia Abu-Jamal. Come parte di un’analisi tuttora in corso decisa dalla conferenza precedente, un intero punto all’ordine del giorno è stato dedicato ad una valutazione più completa del nostro intervento come fattore rivoluzionario nell’incipiente rivoluzione politica in Germania Est (Ddr) nel 1989-1990.

Cosa ancor più importante, la conferenza ha rivisto la precedente pratica del movimento marxista di presentare candidati alle elezioni per cariche esecutive, come quella di sindaco o di presidente, cosa ben diversa dalla candidatura a cariche legislative o parlamentari. La conferenza ha deciso che ci opponiamo categoricamente a candidarci per cariche esecutive dello Stato capitalista. L’ampia discussione che si è avuta su questo argomento prima e durante la conferenza, ha reso chiaro che non si tratta semplicemente di tattiche elettorali, ma delle radici stesse della concezione marxista dello Stato borghese come strumento d’oppressione di classe. Come scriviamo nella sezione del documento della conferenza dedicata all’argomento, “Nell’adottare la posizione contro il candidarsi a cariche esecutive, stiamo riconoscendo e codificando quello che si dovrebbe considerare un corollario degli scritti di Lenin, Stato e rivoluzione e La rivoluzione proletaria e il rinnegato Kautsky che sono i veri documenti di fondazione della Terza internazionale. Perciò stiamo continuando a completare il lavoro teorico e programmatico dei primi quattro congressi dell’Ic” (“Abbasso le cariche esecutive”, pagina 26).

La comprensione che il proletariato non può impossessarsi dello Stato capitalista e utilizzarlo per i propri interessi di classe rappresenta la linea di demarcazione tra il riformismo e il marxismo; ciò è ancora più vero oggi, quando la maggior parte della sinistra riformista riconosce a malapena formalmente l’obiettivo del socialismo e del comunismo e le pressioni ad adattarsi all’ideologia borghese-liberale sono molto forti e pervasive. La questione della natura di classe dello Stato, è stata infatti un tema che ha sovrastato molte delle discussioni della conferenza, non ultima la necessità di indirizzare la nostra prospettiva di mobilitazioni di massa centrate sui lavoratori per liberare Mumia Abu-Jamal contro i liberali e la sinistra che vi contrappongono la fiducia nella presunta giustizia dei tribunali capitalisti. Questa questione è anche stata centrale nel rivedere la nostra lotta contro la controrivoluzione capitalista e per la difesa degli Stati operai della Ddr e sovietico, e nel combattere differenze sul nostro programma per la difesa militare incondizionata e per la rivoluzione politica proletaria in Cina. La riaffermazione della visione marxista dello Stato è centrale per mantenere le nostre fondamenta programmatiche in questo periodo di reazione post-sovietica.

Rapine imperialiste, lotte difensive

Il documento della conferenza ha tracciato il contesto politico internazionale in cui interveniamo e ci battiamo come gruppo di propaganda rivoluzionario. Questo continua ad essere definito dall’impatto della controrivoluzione capitalista del 1991-92 che distrusse lo Stato sovietico, la patria della Rivoluzione d’Ottobre del 1917. La distruzione dell’Urss, seguita a decenni di malgoverno burocratico stalinista, è stata una sconfitta senza precedenti per i lavoratori di tutto il mondo, ed ha modificato in modo decisivo il panorama politico del pianeta. Gli Stati Uniti, la potenza imperialista più forte e pericolosa, ne hanno tratto beneficio estendendo la propria influenza dominante sul mondo. In collaborazione con il Giappone, gli imperialisti americani hanno stabilito una forte presenza militare nella regione del Pacifico, in primo luogo minacciando gli Stati operai burocraticamente deformati cinese e Nord coreano. Ciò rende ancora più urgente il nostro appello per la difesa militare incondizionata di questi Stati, e degli Stati operai deformati vietnamita e cubano, così come la necessità di mobilitare il proletariato internazionale in opposizione all’occupazione statunitense dell’Iraq e dell’Afganistan, e di altre rapine imperialiste.

Al contrario del 2003, quando l’amministrazione Bush esultava per la sua facile vittoria contro il regime di Saddam Hussein, l’imperialismo statunitense si trova oggi nel mezzo di un’occupazione dell’Iraq sanguinaria e impopolare. Inoltre, come abbiamo notato, “l’egemonia militare americana, globale e senza rivali, contraddice il rapido declino della sua base economica. La tendenza dell’amministrazione Bush e della ampia fascia della classe dirigente americana che la sostiene, di vedere il mondo attraverso le lenti religiose apocalittiche dell’Armageddon ha le sue radici in questa contraddizione obiettiva” (“Difendere la Cina e la Corea del Nord! Usa giù le mani dal mondo!”, Workers Vanguard n. 843, marzo 2005). Più in generale il documento notava che il futuro dell’economia mondiale è imprevedibile e torbido, con numerosi segnali che indicano che siamo sull’orlo di una depressione o di una recessione importante.

La guerra in Iraq ha portato in superficie le crepe esistenti tra gli Usa e i suoi rivali europei molto più deboli, in particolare la Francia e la Germania. Nel tentativo di aumentare la propria competitività, gli imperialisti europei hanno attaccato lo “Stato sociale”, che vedono come economicamente costoso e politicamente superfluo nel mondo post-sovietico. Gli operai dell’Europa occidentale hanno resistito a questi attacchi con lotte difensive importanti, e in Francia vi sono state anche combattive mobilitazioni studentesche e di giovani appartenenti alle minoranze oppresse d’origine nordafricana. Il documento della conferenza rileva la necessità di combattere il protezionismo economico e lo sciovinismo contro gli immigrati nei paesi imperialisti.

In America latina, il risentimento contro la povertà crescente, le privatizzazioni, il cappio del debito e altre devastazioni imperialiste, combinate con le difficoltà di Washington in Iraq, hanno alimentato una crescita sostanziale del nazionalismo populista, esemplificato dal regime di Chávez in Venezuela e dal Partito della rivoluzione democratica (Prd), borghese nazionalista, di Lòpez Obrador in Messico. Il Messico è stato percorso da scioperi duri e prolungati e varie proteste di massa, incluse rivolte popolari dei poveri contro l’aumento del prezzo dei beni alimentari di base. Queste rivolte si sono acuite proprio mentre la nostra conferenza si riuniva. I delegati hanno deciso di aiutare i nostri compagni in Messico ad intervenire nelle esplosive lotte sociali di quel paese, con l’obiettivo di strappare gli operai e gli studenti radicali alle illusioni nel Prd e in altri nazionalisti populisti.

Contro corrente nella reazione post-sovietica

Per parafrasare Karl Marx, la questione non è solo di interpretare il mondo, ma di cambiarlo; e per realizzare un cambiamento rivoluzionario è necessario forgiare una direzione rivoluzionaria. Così, inevitabilmente, l’attenzione principale dei delegati alla conferenza si rivolgeva allo stato della nostra organizzazione, il nucleo di un partito leninista d’avanguardia necessario per guidare il proletariato nella lotta per il potere statale e nella realizzazione di una società globale comunista egualitaria. La nostra conferenza precedente ebbe luogo nel mezzo di una crisi della Lci (vedi “La lotta per la continuità rivoluzionaria nel mondo post Unione Sovietica”, Spartaco n. 64). Quella crisi derivava dalla mancata piena assimilazione dell’impatto materiale e ideologico della controrivoluzione capitalista. Come spiegava il nostro articolo sulla Quarta conferenza internazionale:

“Nel momento cruciale, al contrario di gran parte della sinistra, la Lci è rimasta al suo posto e si è schierata in difesa delle conquiste della Rivoluzione d’Ottobre del 1917. Ciononostante, il peso di questa sconfitta storica mondiale ha gravato anche su di noi, erodendo la comprensione dei nostri fini rivoluzionari nella lotta per nuove rivoluzioni d’Ottobre”.

Gli ideologi della borghesia hanno approfittato del collasso dell’Unione Sovietica per proclamare la “morte del comunismo” e decretare il marxismo “un esperimento fallito”. Queste falsità sono state scimmiottate dai burocrati ex stalinisti, i cui tradimenti e malgoverno hanno spianato la strada per la restaurazione capitalista, ed anche da molti appartenenti alla sinistra riformista in Occidente che aiutarono e favorirono la campagna controrivoluzionaria diretta dagli imperialisti. Quella sconfitta storica di portata mondiale ha causato una profonda regressione nella coscienza del proletariato, sebbene con impatto diverso in diverse parti del mondo: oggi anche gli operai politicamente più coscienti dei paesi capitalisti non identificano più, in linea di massima, le loro lotte con il fine ultimo di realizzare una società socialista. Persino un dirigente portavoce del Socialist Workers Party (Swp) britannico, tra coloro che si felicitarono di più per il “collasso del comunismo” nel 1991, ha dovuto ammettere recentemente in un bollettino interno del Swp che il Swp sbagliò la valutazione sugli “effetti del collasso dello stalinismo” e che in effetti “è stato percepito da milioni, centinaia di milioni, come la sconfitta del socialismo” (John Molyneux, “Why I intend to stand”, Weekly Worker, 5 gennaio 2006) .

Accettando la “morte del comunismo” proclamata dalla borghesia, la gran parte della cosiddetta “sinistra” non vede più il socialismo come possibile e promuove come obiettivi delle lotte sociali la democrazia liberale e lo “Stato sociale”. Vi è una grande distanza tra questi oppositori del marxismo rivoluzionario, i giovani radicali-liberali che possono essere attratti da loro, e il nostro programma per la rivoluzione proletaria. Il documento principale della Quarta conferenza della Lci notava come “il mancato riconoscimento del periodo in cui siamo, il rapporto necessario tra la nostra piccola avanguardia rivoluzionaria e il proletariato, e l’assenza dell’Unione Sovietica come fattore politico attivo e demarcante, hanno portato a un disorientamento. Frustrazione e impazienza dovuti alla disparità tra la nostra piccola taglia, le tenui radici nella classe operaia, e i nostri obiettivi proletari internazionalisti, hanno prodotto sia capitolazioni opportuniste che moralismo settario”.

La crisi del 2003 necessitò una battaglia dura per mantenere e difendere la nostra integrità programmatica, cioè la nostra continuità rivoluzionaria con il bolscevismo di Lenin e Trotsky. Riconquistare e mantenere la bussola marxista in questo periodo reazionario non è stato né automatico né uniforme. La conferenza del 2003 stabilì il compito di riesaminare e rivalutare continuamente questioni irrisolte e l’attività passata e presente del partito, al fine di raggiungere una migliore comprensione di ciò che è alla base del nostro disorientamento politico. Attraverso questo riesame e attraverso dibattiti interni sulle questioni in disputa man mano che sono sorte, abbiamo restaurato e rafforzato il meccanismo correttivo interno che è l’essenza della nostra pratica centralista democratica. Come afferma il documento della Quinta conferenza, i compagni sono arrivati a comprendere che “la pressione principale che opera sul nostro partito, specialmente in questo periodo di reazione post-sovietica, è il menscevismo, cioè l’opportunismo socialdemocratico, non il settarismo ultra sinistro. E l’essenza del menscevismo in questo periodo è la capitolazione al liberalismo borghese”.

Scrivendo nel 1937, Trotsky rilevò come in un periodo reazionario, “ ... il compito dell’avanguardia è, soprattutto, quello di non lasciarsi trasportare da questa corrente: essa deve nuotare controcorrente. Se uno sfavorevole rapporto di forze le impedisce di mantenere le posizioni politiche che aveva vinto, essa deve almeno conservare la propria posizione ideologica, perché in essa trova espressione l’esperienza passata pagata a caro prezzo” (Stalinismo e bolscevismo, agosto 1937). Affermando la centralità di mantenere la nostra continuità rivoluzionaria in questo periodo, ci definiamo “un’operazione di mantenimento del programma”. Come afferma il documento della nostra Quinta conferenza, “il programma è decisivo. Senza integrità programmatica il nostro intervento nel mondo può solo essere revisionista”.

Ma mantenere il nostro programma significa anche definire le sue estensioni alle nuove situazioni, provarle nel confronto polemico attivo e nell’intervento esemplare. Non può esistere un “programma finito” per un partito vivo e combattente. La riconsiderazione del nostro atteggiamento passato nei confronti della candidatura ad elezioni per cariche esecutive è stato un esempio di ciò. Il nostro obiettivo centrale in questa discussione era quello di armare il partito ad intervenire in modo più efficace nelle lotte di classe e sociali che nascono. Come afferma una recente risoluzione votata dalla nostra sezione messicana e riaffermata dalla conferenza:

“Il più profondo atteggiamento da comunisti è lottare, oggi, come ieri e come domani. Sebbene viviamo in un periodo reazionario sin dalla caduta dell’Unione Sovietica, un periodo caratterizzato da un arretramento generale della coscienza, noi siamo un gruppo di propaganda combattivo. Per mantenere la nostra bussola programmatica è fondamentale il nostro intervento con il nostro programma nelle lotte esistenti”.

Le continue lotte per riorientare il partito

La discussione sul principale documento della conferenza si è aperta con le relazioni di due membri del Segretariato internazionale uscente (Si), il sottocomitato residente del Cei nel nostro centro internazionale. Il compagno J. Blumenfeld ha tracciato un bilancio della lotta volta a riorientare la Lci negli anni seguiti alla conferenza precedente, presentando le questioni dove abbiamo operato correzioni sostanziali e puntando ad aree dove è in corso, o rimane necessario, un riesame del lavoro passato. Per un’avanguardia leninista combattere le pressioni dell’ideologia borghese così come si manifestano è una necessità continua; le nostre sezioni sono rese più permeabili a tali pressioni dal fatto che vi siano questioni passate non chiare, che non sono state riviste e risolte. Il secondo relatore, J. Bride, ha affrontato i nostri compiti nell’intersecare le lotte sociali che hanno luogo in Messico, e si è concentrato su di un importante dibattito sulla nostra posizione nei confronti dello Stato operaio deformato cinese oggi, legando ciò alle lezioni della nostra battaglia per la rivoluzione politica proletaria e contro la controrivoluzione capitalista nella Ddr nel 1989-1990. Nelle loro presentazioni entrambi i compagni si sono riferiti all’importanza del cambiamento di linea proposto sulla candidatura a cariche esecutive, che è stato affrontato più in dettaglio in un punto successivo della conferenza.

Il compagno Blumenfeld ha notato come “un’importante pressione sulla direzione del partito è rappresentata dalla vasta distanza che intercorre tra noi, il nostro programma, e quello dei nostri oppositori”. Una delle battaglie più cruciali per riorientare la Lci recentemente ha riguardato il nostro atteggiamento nei confronti del Forum sociale mondiale e delle sue creature regionali in Europa e altrove, che sono stati esaltati da un certo numero di formazioni della sinistra riformista incluso il Swp britannico e il “Segretariato unificato della Quarta internazionale” (Su) pseudo-trotskista. Questa battaglia è stata cruciale nell’approfondire la nostra comprensione che, in particolare in questo periodo l’adattamento al menscevismo è il pericolo principale che si trova di fronte al nostro partito. Prima del 2005 non avevamo caratterizzato i Social forum come frontepopulisti, cioè collaborazionisti di classe, alleanze guidate da liberali borghesi e socialdemocratici pro-capitalisti e direttamente finanziate da governi ed istituzioni capitaliste.

Un memorandum di quell’anno, adottato dal Cei, che correggeva questa posizione affermava “Noi non diamo sostegno critico né entriamo nel fronte popolare. Noi non vendiamo la nostra merce all’ombra del fronte popolare. Quindi non siamo parte e non organizziamo attività sotto gli auspici di questi Social forum”. Abbiamo fatto chiaro che i nostri interventi politici in tali eventi devono essere improntati ad un’opposizione chiara e inconciliabile. A seguito di questa discussione chiarificatrice la Spartacist League/Britain ha prodotto un articolo in tagliente polemica pubblicato in Workers Hammer (n. 191, estate 2005, riprodotto in Spartaco n. 66, “La truffa dei Social forum”) che è stato tradotto e riprodotto da altre pubblicazioni della Lci.

Il relatore ha iniziato un dibattito su alcune formulazioni utilizzate nella nostra stampa che implicavano che la regressione della coscienza politica che vediamo oggi sia cresciuta attraverso un processo più o meno continuo iniziato alla fine degli anni Settanta. Ad esempio nella nostra polemica pubblicata su Spartacist contro gli ideologi anti globalizzazione Michael Hardt e Antonio Negri si affermava “Hardt e Negri sono rappresentativi di ciò che abbiamo descritto come una profonda regressione della coscienza politica, particolarmente pronunciata tra gli intellettuali di sinistra, che ha preparato e fu a sua volta approfondita dal rovesciamento finale della Rivoluzione d’Ottobre e dal trionfalismo imperialista sulla presunta ‘morte del comunismo’” (“La demenza senile del post-marxismo”, Spartacist n. 59, primavera 2006). Quest’affermazione, contrapponendosi allo stesso spirito dell’articolo, sottovalutava di molto l’impatto della controrivoluzione. L’articolo peggiorò il problema citando favorevolmente un argomento sollevato dallo storico britannico Eric Hobsbawm contro l’idealismo post modernista:

“Molti intellettuali diventati marxisti a partire dagli anni attorno al 1880, tra cui vari storici, divennero tali perché volevano cambiare il mondo in associazione con i movimenti dei lavoratori e socialisti. La motivazione rimase forte fino agli anni Settanta, quando cominciò una massiccia reazione ideologica e politica contro il marxismo. Il suo effetto principale è stato quello di distruggere la convinzione che il successo di un modo specifico di organizzare le società umane potesse essere previsto e assistito dall’analisi storica” (London Guardian, 15 gennaio 2005).

Vi fu in effetti uno spostamento verso destra, che cominciò negli anni Settanta, una delle sue manifestazioni fu l’avvento dell’Eurocomunismo, un rifiuto da parte di alcuni partiti comunisti dell’Europa occidentale, di una fedeltà anche solo nominale all’Unione Sovietica. L’articolo di Spartacist evitava di sottolineare che lo stesso Hobsbawm sostenne gli eurocomunisti con il giornale Marxism Today in Inghilterra, che forniva un alibi all’allora dirigente del Partito laburista, Neil Kinnock, che faceva crumiraggio contro lo sciopero dei minatori del 1984-85. Tale spostamento ideologico alla fine degli anni Settanta era tuttavia quantitativo e avrebbe potuto essere rovesciato se, ad esempio, i minatori britannici fossero stati vittoriosi nel loro duro sciopero che durò un anno, oppure, in modo più profondo, se noi fossimo riusciti a guidare la rivoluzione politica nella Ddr. La fine dell’Unione Sovietica ebbe conseguenze di gran lunga più importanti. Come un compagno ha sostenuto: “Il rovesciamento dell’Ottobre trasformò la quantità in qualità, non solo sul terreno ideologico, ma anche in quello materiale, militare e politico”. Il compagno Blumenfeld ha notato, a titolo d’esempio “L’Unione Sovietica era realmente la potenza dominante, dal punto di vista economico, nell’Europa dell’Est, ma rese possibile anche la nascita e l’esistenza dello Stato operaio cubano. Ora questo non è più il mondo in cui viviamo”.

Il documento della conferenza notava che prima della controrivoluzione sovietica del 1991-1992, l’altro nodo storico dopo la Rivoluzione d’Ottobre fu il fallimento della rivoluzione in Germania nel 1923. Questo fallimento “segnò la fine dell’ondata rivoluzionaria che seguì alla Prima guerra mondiale e rappresentò una temporanea stabilizzazione dell’ordine capitalista. Ebbe come conseguenza l’isolamento dello Stato operaio sovietico, economicamente impoverito e assediato, per il periodo successivo e condusse gli operai sovietici a perdere fiducia nelle prospettive della rivoluzione proletaria internazionale, inaugurando l’ascesa della casta burocratica stalinista, la cui politica minò profondamente la coscienza del proletariato nel corso dei decenni successivi. Alla metà degli anni Trenta (quando il Comintern abbracciò apertamente il fronte popolare), i partiti stalinisti erano diventati internazionalmente sostenitori riformisti dell’ordine borghese. Ciò fu qualitativamente più significativo che il fenomeno dell’Eurocomunismo degli anni Settanta”. E’ comunque opportuno ripetere che l’attuale periodo reazionario non è privo di contraddizioni e non durerà in eterno; il funzionamento del capitalismo origina continuamente lotte di classe e sociali e condurrà a nuovi tumulti rivoluzionari.

Negli anni Sessanta e all’inizio degli anni Settanta, vi furono una serie di rivolte proletarie rivoluzionarie, in particolare lo sciopero generale in Francia del maggio 1968, e una radicalizzazione internazionale, in particolare tra i giovani studenti piccolo-borghesi, che portarono ad una crescita enorme della sinistra. Questo fenomeno si diradò rapidamente con la fine della guerra del Vietnam, che fu seguita dalla campagna di Washington per i “diritti umani”, sotto il democratico Jimmy Carter, che rappresentava un riarmo contro l’Unione Sovietica. Nel periodo seguente, molti tra coloro che una volta erano stati i radicali “ragazzi del 68”, divennero socialdemocratici anti-comunisti che promuovevano attivamente la controrivoluzione capitalista in Urss e nell’Europa dell’Est. Negli anni Sessanta e all’inizio degli anni Settanta, il Su pseudo-trotskista, allora guidato da Ernest Mandel, argomentava in modo impressionista che la marcia del socialismo era irreversibile, e dipingeva le “università rosse” come bastioni rivoluzionari, scoprendo allo stesso tempo “nuove avanguardie di massa” al fine di sostituire la necessità di un partito leninista-trotskista. Oggi il Su e altri sono riformisti abietti che agiscono come se il capitalismo fosse irreversibile.

Il documento della conferenza cita un documento del 2000 della Spartacist League/US, prodotto per accompagnare la sua dichiarazione programmatica, che descrive succintamente i nostri avversari di sinistra come “oppositori del movimento operaio rivoluzionario internazionalista” e nota:

“Tutta l’attività del nostro partito è diretta ad organizzare, formare, e irrobustire il partito proletario d’avanguardia necessario alla presa del potere statale. Al contrario, la politica dei riformisti e dei centristi consiste nell’attività d’opposizione completamente definita dal quadro della società borghese. Quest’ultima fu definita acutamente da Trotsky come ‘educare le masse ad essere impregnate dell’inviolabilità dello Stato borghese.’ Tale accomodamento al dominio di classe capitalista da parte di organizzazioni che nominalmente si richiamano al marxismo è, se non altro, più pronunciato oggi in un mondo che è definito dal rovesciamento finale della Rivoluzione russa e dall’affermazione trionfale da parte dei governanti imperialisti che ‘il comunismo è morto’” (For Socialist Revolution in the Bastion of World Imperialism!, opuscolo di Spartacist, novembre 2000).

La coscienza predominante tra gli attivisti politici di oggi, che permea la cosiddetta sinistra e l’ambiente anti-globalizzazione, è l’ideologia borghese liberale. Ma le chiare implicazioni di questa comprensione per il nostro lavoro nei confronti degli oppositori non sono state seguite in modo consistente e a volte non sono state tenute in considerazione. In particolare la conferenza dei delegati ha riesaminato il nostro lavoro nei confronti dell’ambiente anarcoide, che crebbe in modo sostanziale dalla fine degli anni Novanta. Avevamo previsto correttamente che le tendenze anarchiche avrebbero visto una recrudescenza nel periodo post-sovietico, data la pervasività dell’ideologia della “morte del comunismo”. Ma abbiamo finito con il dare a questi radicali-liberali un carattere di sinistra che non hanno, avviandoci quindi in un percorso di conciliazionismo opportunista. Ciò si evidenziò più acutamente sulla nostra propaganda attorno alle proteste contro il summit imperialista del G8 di Genova nel 2001. Al contrario della maggior parte dei nostri oppositori pseudo-trotskisti, noi abbiamo difeso i militanti anarchici del Black bloc contro l’odiosa persecuzione da parte dello Stato. Ma nel corso di questa difesa elementare di militanti attaccati dallo Stato, ne abbiamo abbellito la politica, parlando di una:

“chiara divisione tra destra e sinistra, scritta nel sangue, all’interno del movimento ‘anti-globalizzazione’. Questa divisione non è in primo luogo sulle tattiche della protesta, o sulla ‘violenza’ contro ‘nonviolenza’. Piuttosto, in fondo, quello che è in discussione è la questione della legittimità ‘democratica’ del governo capitalista parlamentare esistente. Su questa questione, siamo con gli anarchici contro i socialdemocratici di sinistra, inclusi coloro che occasionalmente si mascherano da marxisti o trotskisti” (Workers Vanguard n. 762, 3 agosto 2001).

L’affermazione che gli anarchici odierni respingono la legittimità dell’ordine borghese è una realtà inventata. Negli Stati Uniti ad esempio, la maggior parte di coloro che si considerano anarchici hanno seguito la corrente di quelli che hanno appoggiato “tutti tranne Bush” e hanno votato per i democratici o i verdi borghesi nelle elezioni.

Il marchio politico degli anarchici odierni è il puro anticomunismo: tutti hanno salutato il trionfo della controrivoluzione in Unione Sovietica e in Europa dell’Est. La conferenza ha registrato che il nostro opuscolo del 2001 su Marxismo contro anarchismo (Spartaco n. 59), eccellente negli altri argomenti, ha mancato di trattare in modo sostanziale con la Rivoluzione d’Ottobre, o con il clamore anarchico contro la necessaria soppressione da parte dei bolscevichi dell’ammutinamento di Kronstadt del 1921, e del movimento controrivoluzionario di Makhno (per un approfondimento di questa questione vedi “Kronstadt 1921: Bolscevismo contro controrivoluzione”, Spartacist n. 59, primavera 2006). L’esperienza viva della Rivoluzione russa conquistò ai bolscevichi i migliori anarchici e sindacalisti rivoluzionari in Russia e altrove. In stridente contrasto con questa scelta, una moltitudine di confusi anarchici liberali decisero di fare un blocco con i monarchici, gli imperialisti ed altre disgustose forze che si opponevano alla rivoluzione. La nostra propaganda doveva fare una distinzione esplicita tra gli anarchici di oggi, appassionatamente anticomunisti e gli anarco-sindacalisti che solidarizzarono con la Rivoluzione russa.

Dobbiamo guardarci da ogni tendenza ad abbellire la democrazia borghese, cosa che i nostri oppositori fanno regolarmente. Accettando la menzogna che il comunismo è l’incarnazione della brutalità totalitaria, si appellano ai governanti imperialisti rapaci e sanguinari per conformarsi ad un ideale fittizio di democrazia borghese. Un esempio a questo riguardo è il diffuso utilizzo da parte dei liberali e della sinistra del termine “gulag” per descrivere ciò che vedono come “eccessi” della repressione e della tortura perpetrati dallo Stato capitalista. Questo termine, che si riferisce ai campi di lavoro sovietici durante il periodo staliniano, è stato per lunghi anni un grido di battaglia anticomunista della guerra fredda. Il fatto che si sia fatto strada in un articolo di difesa delle vittime della “guerra al terrorismo” americana in Workers Vanguard (n. 842, 18 febbraio 2005) è stato un segnale allarmante che avremmo dovuto mantenere la più alta vigilanza per non diventare anestetizzati nei confronti della pervasiva ideologia della “morte del comunismo”. Riconoscendo il nostro errore, abbiamo scritto in una polemica contro i liberali e la sinistra per la quale l’anticomunismo è moneta corrente:

“L’Unione Sovietica può essere finita, ma la necessità di difendere la Rivoluzione russa è più viva che mai. Gli imperialisti e i loro tedofori liberali vogliono riscrivere la storia per assicurarsi che il dominio del capitale non sia più messo in discussione. Vorrebbero spazzar via dalla coscienza del proletariato e degli oppressi ogni attaccamento al programma e agli ideali del comunismo” (“U.S. Torture Machine”, Workers Vanguard n. 863, 3 febbraio 2006).

Abbasso le cariche esecutive dello Stato capitalista!

Il compagno Bride ha iniziato la sua presentazione notando l’importanza della nostra discussione sulla candidatura dei comunisti a cariche esecutive:

“La questione fondamentale è la linea di demarcazione tra riforme e rivoluzione, tra la strategia riformista di impossessarsi e amministrare l’apparato statale borghese e la strategia rivoluzionaria di distruggere gli attuali organismi statali sostituendoli con organismi di potere operaio. I comunisti non partecipano, sostengono o prendono responsabilità per l’amministrazione dello Stato borghese. E quando ci si candida o si copre una carica esecutiva, è esattamente ciò che si fa: si legittima il potere esecutivo”.

La posizione che i comunisti non debbano in nessuna circostanza candidarsi a cariche esecutive dello Stato borghese è un’estensione della nostra critica di lunga data all’ingresso del Partito comunista tedesco (Kpd), appoggiato dal Comintern, nei governi regionali di Sassonia e Turingia nell’ottobre 1923. Il sostegno del Kpd a questi governi borghesi guidati da socialdemocratici di “sinistra”, prima dall’esterno e poi dall’interno, contribuì a deragliare una situazione rivoluzionaria (vedi “A Trotskyst Critique of Germany 1923 and the Comintern”, Spartacist n.56, primavera 2001). La nostra nuova linea fa piazza pulita della confusione che nel movimento comunista è stata presente dal Secondo congresso dell’Internazionale comunista nel 1920. Il relatore notava “Noi cerchiamo di fare ciò che la Terza internazionale ha fatto in gran parte, cioè ripulire l’atteggiamento della Seconda internazionale sullo Stato; semplicemente non completarono il lavoro. Perché quando ebbero questa discussione al Secondo congresso, stavano facendo una battaglia contro i bordighisti e l’ultra-sinistra, che per principio non voleva candidarsi per nessuna carica. Ma non fu fatta nessuna distinzione tra il candidarsi al parlamento e il candidarsi a cariche esecutive”.

La nostra linea precedente, affermata alla Quarta conferenza della Lci nel 2003, era che i marxisti possono candidarsi a cariche esecutive purché chiariscano in anticipo che non assumerebbero la carica nel caso fossero eletti. Il compagno Bride ha notato come questa questione è stata sollevata internamente nel 1999, in un momento in cui il partito era profondamente disorientato, poi di nuovo dopo la conferenza del 2003, il che ha portato a riaprire la discussione. Ha commentato, “Credo che la nostra lentezza ad affrontare la questione ha molto a che vedere con lo stato del partito, ed in effetti, con la concezione prevalente che il problema principale fosse il settarismo e non il menscevismo”. Le lotte e le discussioni successive per riorientare la Lci hanno rafforzato molto la nostra capacità di trattare con queste questioni, traendo gli insegnamenti cruciali dalla storia del movimento operaio che devono essere applicati al nostro lavoro.

La questione delle cariche esecutive è stato un argomento di dibattito importante nel processo di costruzione della nostra Quinta conferenza, con molti contributi da parte di compagni durante le riunioni di preconferenza e nei bollettini interni. Sono stati prodotti numerosi documenti di ricerca che hanno esaminato varie situazioni storiche, tra queste il ministerialismo (occupare cariche nei governi borghesi) della Seconda Internazionale; il lavoro elettorale del partito bolscevico e il suo atteggiamento nei confronti delle amministrazioni comunali borghesi durante il periodo di doppio potere nel 1917; il lavoro dei Socialisti ristretti bulgari negli anni che hanno preceduto e seguito la Rivoluzione russa; e dei partiti comunisti dei primi anni in Francia, Messico e altrove. Resta da fare un’ulteriore ricerca storica, mantenendo l’attenzione sulla necessità di scrivere ulteriore propaganda su questa questione in futuro.

Il nostro cambiamento di linea è rimasto controverso sino a poco prima della conferenza. Alcuni compagni hanno inizialmente argomentato a favore della possibilità di candidarsi a presidente in circostanze “eccezionali”, come modo per conquistare un pubblico più vasto alle idee marxiste. Un altro compagno, facendo riferimento alla pratica dei partiti comunisti della prima ora di gestire amministrazioni locali, ha persino argomentato che qualora conquistassimo la maggioranza in un consiglio comunale, dovremmo prendere la carica o altrimenti rischiare di esser visti come “astensionisti”. Un compagno ha risposto acutamente: “La nostra posizione non è l’astensione, come suggerito da alcuni, è l’opposizione. Bisogna essere molto chiari, non siamo neutrali, siamo opposti a chi svolge un ruolo esecutivo nello Stato capitalista”. I compagni che inizialmente hanno argomentato contro il cambiamento di linea, hanno finito con il vedere che le loro argomentazioni andavano pericolosamente vicino al riformismo e alla fine la conferenza ha votato unanimemente a favore della nuova posizione.

Una recente polemica del Gruppo internazionalista (Ig) fornisce una grezza ripresentazione degli argomenti peggiori a favore del candidarsi a cariche esecutive. L’articolo degli Ig “Francia, dura svolta verso destra” (Internationalist, supplemento maggio 2007), tratta delle recenti elezioni presidenziali francesi, dove il gruppo più importante del Su ha presentato un candidato e, dopo che questi è stato eliminato al primo turno, ha anche fatto appello ad eleggere il candidato del Partito socialista pro-capitalista. Nel 2002, per “combattere la destra”, i mandeliani hanno persino fatto appello a rieleggere il presidente francese borghese di destra, Jaques Chirac, contro il suo avversario, il fascista Jean-Marie Le Pen. Citando la nostra posizione così come riassunta in un articolo sulle elezioni francesi (Le Bolchévik n. 179, marzo 2007), gli Ig ci hanno accusato in modo ridicolo del fatto che la nostra politica di rifiutarci di candidarci a presidente o ad altre cariche esecutive “rivela un cretinismo parlamentare simile a quello dei mandeliani pseudo-trotskisti”, poiché riconosciamo una differenza tra cariche parlamentari e cariche esecutive!

Gli Ig dimostrano una toccante fiducia nello Stato capitalista e nelle sue maschere democratiche. I marxisti hanno sempre distinto tra cariche esecutive come quella di presidente o di sindaco, che per definizione comportano l’amministrazione dello Stato borghese, e cariche legislative come quella di deputato nel parlamento, che i comunisti possono usare come tribuna per aiutare le masse a raccogliersi contro l’ordine borghese. Gli Ig al contrario dimenticano questa distinzione a favore di una tra istituzioni borghesi “democratiche” e “antidemocratiche”. Scrivono: “Ci opponiamo anche all’esistenza di una seconda, cosiddetta alta, camera legislativa, intrinsecamente antidemocratica. Dovremmo quindi anche rifiutarci di presentare candidati al Senato?” Fondare la partecipazione alle elezioni su quanto democratiche siano le facciate istituzionali dello Stato capitalista è vero cretinismo parlamentare. Credono gli Ig che le camere basse delle repubbliche parlamentari borghesi siano istituzioni veramente democratiche? Se credono che il senato francese è antidemocratico, dovrebbero guardare alla duma zarista, che i bolscevichi utilizzarono efficacemente per propagandare il loro programma rivoluzionario. Secondo gli Ig, i comunisti possono competere “per qualunque posto”. Giudice? Sceriffo? Sicuro, se va bene candidarsi ad essere il comandante in capo dell’esercito imperialista (come lo è il presidente degli Stati Uniti) perché non candidarsi alla carica di sceriffo locale?

Come afferma il documento della conferenza: “Il problema con il candidarsi a cariche esecutive è che fornisce legittimità alla concezione riformista prevalente dello Stato”. Quando ci si candida a tali cariche gli operai possono solo capire che si aspira ad amministrare lo Stato capitalista. Per gli Ig, candidarsi a presidente o a sindaco “non implica in nessun modo che si voglia occupare queste posizioni all’interno del quadro dello Stato capitalista”. Dopo tutto, “Nel caso inusuale in cui un candidato rivoluzionario avesse abbastanza influenza per essere eletto, il partito avrebbe già cominciato a costruire consigli operai e altri organismi di carattere sovietico. E il partito insisterebbe che, se eletti, i suoi candidati dovrebbero basarsi su tali organi di potere operaio e non sulle istituzioni dello Stato borghese”. Con questa linea gli Ig lasciano aperta, e certamente non sconfessano la possibilità non solo di candidarsi a cariche esecutive, ma anche di assumere queste cariche in una situazione rivoluzionaria, come nei governi borghesi della Sassonia e Turingia nel 1923. E cosa succederebbe se un “candidato rivoluzionario” fosse eletto ad una carica comunale come quella di sindaco in una roccaforte locale del partito in assenza di una crisi sociale su scala nazionale che ponesse la questione del potere proletario? Questo non era un caso così inusuale per i primi partiti comunisti bulgaro e francese, tra gli altri, che controllavano centinaia di tali amministrazioni locali. Gli Ig sono muti su ciò che il candidato vittorioso dovrebbe fare in tali circostanze.

Gli Ig non sostengono la tradizione di Lenin ma quella di Karl Kautsky. Nel mezzo della rivolta che percorreva la Germania alla fine delle Prima guerra mondiale i kautskiani sostenevano sia i consigli operai che il governo provvisorio, il Consiglio dei rappresentanti del popolo, a cui aderirono nel novembre 1918. Così giocarono un ruolo cruciale nel cooptare e sconfiggere l’insurrezione rivoluzionaria. E’ proprio nei momenti rivoluzionari che le illusioni nello Stato capitalista sono le più pericolose. Dopo che Lenin tracciò la prospettiva rivoluzionaria del rovesciamento dello Stato borghese in Stato e rivoluzione (1917) fu attaccato furiosamente dai socialdemocratici che lo accusarono di essere passato dalla parte dell’anarchismo.

Gli Ig, i cui quadri fondatori hanno disertato dalla nostra organizzazione trotskista nel 1996 inseguendo il loro orientamento opportunista verso vari stalinisti, nazionalisti dell’America latina e altri ambienti piccolo-borghesi, vedono la nostra nuova posizione come una prova ulteriore della nostra rottura con “la continuità del trotskismo genuino”. Ciò che vogliono dire, senza tuttavia dirlo, è che nel 1985 abbiamo candidato Marjorie Stamberg, ora una sostenitrice degli Ig, come candidato spartachista a sindaco di New York (Vedi ad esempio: “Vota spartachista!” in Workers Vanguard n. 390, 1 novembre 1985). La linea degli Ig che si potrebbe accettare una carica esecutiva in alcuni casi “inusuali”, come abbiamo notato altrove, “non è in continuità” con la nostra posizione precedente di “candidarsi ma non accettare la carica”. E’ piuttosto un risolvere a destra la contraddizione inerente a quella linea“ (“Gli Ig e le cariche esecutive: centrismo fognario”, Workers Vanguard n. 895, 6 luglio 2007).

In un documento scritto durante la discussione pre-conferenza, un compagno ha tracciato un’utile analogia tra la passata pratica dei marxisti candidati a cariche esecutive e lo slogan di Lenin antecedente al 1917 della “dittatura democratica del proletariato e dei contadini” per la Russia zarista. Notando che “alcune politiche possono essere utili ai rivoluzionari per molto tempo prima che si rivelino in ultima analisi come inadeguate nel corso dello sviluppo della lotta di classe”, il documento continuava:

“Lenin non era un traditore di classe nel momento in cui sollevava quello slogan difettoso contro i menscevichi e i liberali. Neanche Trotsky, Cannon o noi stessi, abbiamo attraversato la linea di classe cercando di opporci al menscevismo con una politica latentemente difettosa.

Ma dopo la vittoriosa Rivoluzione del 1917 e lo strangolamento della Rivoluzione cinese del 1927, il difetto “latente” della formula di Lenin della dittatura democratica del proletariato e dei contadini acquistò un carattere aperto, cosciente e indirizzato verso qualcos’altro. Continuare a difenderla contro il programma di Trotsky della rivoluzione permanente rappresentava un tradimento. Lo stesso può essere detto rispetto al propendere verso la pratica ereditata dai nostri predecessori il cui difetto intrinseco non era stato ancora rivelato. Avevamo la responsabilità, e ora ne abbiamo il vantaggio, di imparare dalle disastrose conseguenze dei fallimenti tedesco (e bulgaro) del 1923. Negare la connessione tra l’incompleta rottura del Comintern con il ministerialismo socialdemocratico evidente in Bulgaria e in Germania nel 1923, e la simultanea promozione da parte del Comitato esecutivo dell’Internazionale comunista di campagne per cariche esecutive significa essere coscientemente ciechi”.

O nel caso degli Ig, coscientemente confusionisti e centristi.

Dal punto di vista storico, l’idea che i comunisti possano far campagne per posizioni amministrative nello Stato della classe dominante che vogliono rovesciare, è grottesca. Il fatto che ciò sia difeso nel movimento operaio di oggi è una misura del successo della falsità democratica, che riflette direttamente il potere politico dell’ordine capitalista. La storia è piena di esempi di autoproclamati marxisti che sono passati ad amministrare lo Stato capitalista contro gli operai e gli oppressi. Un esempio sono i laburisti britannici della Tendenza Militant (ora Partito socialista), che negli anni Ottanta, quando controllavano il consiglio comunale della città di Liverpool, avevano alle loro dipendenze oltre trentamila lavoratori municipali. Ad un certo punto questi padroni “socialisti” minacciarono di licenziare l’intera forza lavoro comunale, sostenendo che si trattava di una “tattica” per contrastare la stretta ai finanziamenti imposta dal governo centrale controllato dai conservatori. Più di recente un dirigente del gruppo brasiliano del Su ha accettato la carica di ministro dell’agricoltura nel governo borghese di Lula, assumendosi così la responsabilità diretta per l’espulsione dalle terre degli attivisti militanti del Movimento contadino dei senza terra.

Durante la discussione sulle cariche esecutive, un compagno ha notato la distinzione cruciale tra il capitalismo e le precedenti società classiste, come il feudalesimo. Quelle società erano marcate da chiare relazioni di classe e casta che definivano il ruolo di ciascuno nell’ordine sociale. Il capitalismo maschera la natura del suo sfruttamento di classe dietro concetti come “il mercato”, “domanda e offerta”, e specialmente nei paesi industriali più avanzati del mondo, le trappole della “democrazia” che presuntamente offrono pari diritti e opportunità a sfruttatori e sfruttati. Il nostro compito come comunisti è quello di strappare questa maschera e mostrare la realtà di un sistema sociale brutale che non è altro che la dittatura della borghesia.

Le lezioni della Ddr, 1989-90...

Il punto della conferenza dedicato a rivedere il nostro intervento nella incipiente rivoluzione politica nella Germania Est nel 1989-90 era parte dei nostri sforzi verso una più completa valutazione del più vasto e ininterrotto intervento nella storia della nostra tendenza. I due relatori erano i compagni F. Zahl, un dirigente storico della sezione tedesca della Lci, il Partito operaio spartachista di Germania (Spad), e R. Henry membro del Si uscente. Riferendosi alla rivoluzione in Spagna negli anni Trenta la compagna Henry ha citato un passaggio di Trotsky che contrastava l’idea disfattista, che in mancanza di un preesistente partito di massa la vittoria è impossibile: “Il vantaggio di una situazione rivoluzionaria consiste precisamente nel fatto che persino un piccolo gruppo può diventare una grande forza in un breve spazio di tempo, a condizione che dia una prognosi corretta e sollevi gli slogan corretti in tempo” (“Il carattere della rivoluzione”, La rivoluzione spagnola, giugno 1933). Inoltre ha aggiunto “Ciò che voglio dire con questo, è che noi eravamo tale organizzazione. Avevamo il programma corretto per intervenire nella Ddr”.

Ci siamo opposti incondizionatamente alla riunificazione capitalista con la Germania occidentale imperialista e abbiamo fatto appello alla rivoluzione politica proletaria nell’Est e la rivoluzione socialista nell’Ovest, come la strada verso una Germania rossa sovietica parte degli Stati Uniti socialisti d’Europa. La forza del nostro programma si mostrò in modo particolarmente evidente nella manifestazione del 3 gennaio 1990 contro la dissacrazione fascista di un monumento al parco Treptow a Berlino Est in onore dei soldati sovietici che nel 1945 morirono liberando la Germania dal terrore fascista. Quella manifestazione raccolse 250 mila partecipanti. Noi abbiamo lanciato l’appello per quella mobilitazione, che fu poi fatta propria dal partito stalinista Sed/Pds (Partito socialista unitario/Partito del socialismo democratico) allora al potere, che temeva l’eco del nostro programma tra gli operai di Berlino Est e si sentì obbligato di mobilitare la propria base. Come afferma il documento principale della nostra Seconda conferenza internazionale nel 1992:

“Ma come Treptow ha mostrato in seguito, fin dall’inizio siamo stati impegnati in una lotta politica con il regime stalinista che abdicava, sul futuro della Rdt. Mentre noi facevamo appello ad un governo dei consigli operai, gli stalinisti agivano coscientemente per impedire una insurrezione operaia, smobilitando tutte le unità armate che, come risultato della nostra iniziale propaganda, avevano formato consigli di soldati. C’era in effetti un conflitto, per quanto caratterizzato dalla sproporzione delle forze, tra il programma della Lci di rivoluzione politica e il programma stalinista di capitolazione e controrivoluzione” (“Per il comunismo di Lenin e Trotsky!”, bollettino di Spartaco, giugno 1993).

Questo era il punto principale, nonostante numerosi problemi e difficoltà nell’applicazione del nostro programma all’epoca, molti dei quali furono direttamente trattati nel documento del 1992 citato sopra. Questi includono il ritardo nel costruire i Gruppi spartachisti locali (Spartakist Gruppen) come organizzazione di transizione per i molti attivisti politici in tutta la Ddr che si riconoscevano nel nostro programma e volevano distribuire Arbeiterpressekorrespondenz (Arprekorr, Corrispondenze operaie), il nostro giornale trotskista pubblicato quasi quotidianamente durante il dicembre 1989 e che proseguì con una o due uscite la settimana fino all’inizio dell’aprile 1990.

Ribadiamo la valutazione fatta nel 1992 e cerchiamo di approfondire la nostra comprensione di quegli eventi alla luce delle storie e delle memorie che sono state pubblicate da allora. A questo fine abbiamo prodotto sei nuovi bollettini interni sull’intervento nella Ddr prima della conferenza. Uno di questi era una raccolta, in inglese, di tutti i trenta numeri di Arprekorr. Altri bollettini contenevano otto documenti di ricerca prodotti da compagni, basati sul nostro materiale documentario del periodo e su materiali di nuova pubblicazione, su soggetti come: gli sviluppi nella Sed/Pds stalinista che stava abdicando; il nostro lavoro politico in varie fabbriche; gli sforzi verso i soldati sovietici e del Nva (l’esercito della Germania Est); e la cruciale campagna elettorale del marzo 1990 nella quale noi abbiamo presentato gli unici candidati che si opponevano senza ambiguità alla riunificazione capitalista. Uno degli argomenti in discussione è stata la sottovalutazione nel nostro lavoro sul campo dell’importanza delle milizie di fabbrica (Betriebskampfgruppen), che avrebbero potuto essere il soggetto politico/militare per la rivoluzione politica proletaria. Alla luce della discussione alla conferenza, sono state commissionate ulteriore ricerche.

Non sorprende che i compagni abbiano mostrato una certa varietà di valutazioni del nostro impatto nella Ddr; questa discussione è in gran parte tuttora in corso, con un certo numero di questioni che restano ancora da risolvere. Il nostro obiettivo è approfondire la comprensione degli eventi del 1989-90 da parte dei nostri compagni, e anche produrre propaganda per un futuro numero di Spartacist. Motivando il riesame, il documento della conferenza notava:

“La lotta della Lci in Germania per la rivoluzione politica proletaria e per la riunificazione rivoluzionaria della Germania è stata una sfida diretta e l’unica sfida alla svendita della Ddr all’imperialismo tedesco da parte degli stalinisti di Mosca e di Berlino Est. Ma i comunisti, che cercano di imparare dalla storia, non ultimo dalla propria, dovrebbero capire che ciò significa essere in grado di valutare criticamente i punti di forza e le debolezze di come siamo intervenuti in quanto rivoluzionari”.

... e la lotta per la rivoluzione politica in Cina

Che la valutazione del nostro intervento nella Ddr non sia solo una questione di interesse storico ma direttamente rilevante per i nostri compiti odierni e futuri, si è rivelato chiaramente in un’aspra disputa durante la discussione sulle relazioni principali nel corso di un precedente punto all’ordine del giorno. Gran parte del primo giro di discussione si è focalizzato sulle differenze sollevate da un compagno circa il nostro programma di difesa militare incondizionata e rivoluzione politica proletaria in Cina. Il compagno aveva inizialmente sollevato le proprie differenze oltre un anno fa, provocando una considerevole discussione scritta. Poco prima della conferenza, ha presentato un documento legando la propria opinione sulla Cina alla sua valutazione delle lezioni della sconfitta nella Ddr e nell’Unione Sovietica. Sebbene non fosse un delegato, la conferenza ha garantito al compagno il tempo per una presentazione per difendere le proprie opinioni in modo da poter così garantire la maggior chiarezza possibile sulla questione in disputa. Alla fine della discussione, il compagno ha dichiarato che stava riconsiderando le proprie opinioni alla luce degli argomenti fatti.

Nel suo documento il compagno ha citato un’affermazione tratta dal nostro articolo “Come è stato strangolato lo Stato operaio sovietico” (vedi Spartaco n. 39, febbraio 1993), che accusava la burocrazia stalinista per aver avvelenato la coscienza del proletariato sovietico con menzogne, burocratismo, e nazionalismo. Nell’articolo abbiamo osservato che la classe operaia sovietica non si mobilitò realmente in difesa dello Stato operaio a causa della sua atomizzazione politica, che si rifletteva nell’assenza di una direzione anti-capitalista, e nella mancanza di una coscienza di classe socialista coerente, incluso un profondo scetticismo sulla possibilità di una lotta rivoluzionaria nei paesi capitalisti avanzati. Il compagno prendendo spunto da questa osservazione ha argomentato che la classe operaia in Cina oggi, così come prima nella Ddr e nell’Unione Sovietica, manca di una qualunque comprensione della necessità di difendere le conquiste sociali incarnate nello Stato operaio. Partendo da lì, ha argomentato che poiché agli operai mancava questa coscienza, la burocrazia stalinista restava la sola forza cosciente a difendere lo Stato operaio, anche se al solo fine di difendere il proprio potere e i propri privilegi. Seguendo questa logica l’appello alla rivoluzione politica proletaria diventerebbe un appello a rovesciare l’unico fattore cosciente che resta a difendere lo Stato operaio!

Trotsky notava negli anni Trenta che la burocrazia stalinista, una casta parassitaria basata sulle forme di proprietà collettivizzate, non difendeva più l’Urss per la sua soggettiva identificazione con il socialismo ma solo nella misura in cui temeva il proletariato. In ultima analisi, lungi dal difendere la proprietà collettivizzata, gli stalinisti tradivano lo Stato operaio. La burocrazia stalinista nella Ddr si disintegrò di fronte ad una rivoluzione politica. Gli stalinisti della Germania Est si associarono alla burocrazia di Mikhail Gorbachev quando questi diede il via libera all’annessione della Ddr da parte della Germania Ovest.

In modo alquanto confuso il compagno ha anche affermato, in base alla nostra esperienza nella Ddr e nell’Unione Sovietica, che il nostro appello per la difesa militare incondizionata dello Stato operaio cinese, per quanto burocraticamente deformato, non si applicherebbe durante una rivoluzione politica. Ha aggiunto che una rivoluzione politica distruggerebbe lo Stato, argomentando che “alla fine ciò che noi difendiamo non sono ‘i corpi speciali di uomini armati, etc.’ ma la struttura sociale di quelle società”, in altre parole la proprietà collettivizzata. Ciò pone una falsa distinzione tra i corpi di uomini armati che difendono lo Stato operaio e le forme di proprietà collettivizzata su cui lo Stato si fonda. In fondo, questo argomento si sbarazza dell’importanza centrale della conquista del potere statale da parte del proletariato, cioè della necessità che la classe operaia stabilisca la propria dittatura di classe. Inoltre contraddice la nostra stessa esperienza nella Ddr, dove la nostra propaganda ha avuto un enorme impatto sui soldati della Germania Est e sovietici, molti dei quali erano coscienti di essere la linea del fronte nella difesa degli Stati operai, di fronte alle truppe Nato stanziate oltre il confine nella Germania occidentale.

Nella sua presentazione sul documento della conferenza, il compagno Bride ha ricordato l’insistenza di Lenin nell’affermare che “la politica è economia concentrata” volendo dire che le questioni economiche sono subordinate alle questioni politiche. Ha affermato “La questione politica è: quale classe domina, che significa di chi è lo Stato, e non quanta proprietà è nelle mani del governo in un determinato momento”. La Rivoluzione d’Ottobre del 1917 creò uno Stato operaio, ma la borghesia non fu espropriata sul livello economico che successivamente. Come disse Trotsky “la vittoria di una classe su un’altra significa che questa ricostruirà l’economia negli interessi dei vincitori” (“Uno Stato né operaio né borghese?”, novembre 1937).

Respingendo la nozione che il proletariato della Ddr mancava di una sufficiente coscienza per agire in difesa del proprio Stato operaio, i compagni hanno fatto riferimento alla massiccia partecipazione alla manifestazione pro-sovietica di Treptow, all’enorme eco ottenuta dalla nostra propaganda tra migliaia e migliaia di operai e giovani, all’emergere di consigli operai in varie unità del Nva sotto l’impatto dei nostri slogan. E differentemente dalla Ddr gli operai in Cina hanno già un’idea chiara di come saranno i loro futuri padroni capitalisti se dovesse esservi una controrivoluzione capitalista. La Cina è stata testimone di grandi scioperi e proteste convulse negli anni passati, con operai, contadini ed altri in lotta per difendere se stessi contro i saccheggi e le ineguaglianze prodotte dalle infiltrazioni del mercato capitalista. La “coscienza” non è qualcosa di statico e permanente. La questione della coscienza proletaria non può essere separata dalla questione di un partito operaio leninista-trotskista, che è la più cosciente espressione delle aspirazioni della classe operaia. Il nostro programma è la base per strappare il proletariato al dogma stalinista del “socialismo in un solo paese” conquistandolo alla coscienza internazionalista rivoluzionaria.

Questa battaglia ha confermato graficamente il pericolo programmatico di guardare agli eventi nella Ddr attraverso il prisma del determinismo del poi: poiché siamo stati sconfitti solo la sconfitta era possibile. Come ha sottolineato il compagno Bride, accettare la nozione che gli operai nel blocco sovietico non avrebbero potuto raggiungere la coscienza necessaria a difendere gli Stati sovietici significa bersi le falsità costruite dagli ideologi anticomunisti alla Hanna Arendt negli anni Cinquanta, che gli operai del blocco sovietico erano semplici vittime del “totalitarismo” stalinista, che li riduceva a schiavi senza cervello e senz’anima per sempre incapaci di lottare. Questa è essenzialmente la visione della cosiddetta Tendenza bolscevica, che ha argomentato nel 1990 che non c’era mai veramente stata una possibilità di rivoluzione politica proletaria nella Ddr. Nella sua replica il compagno Bride ha citato il commento di Trotsky in Lezioni d’Ottobre (1924) che se i bolscevichi non fossero riusciti a guidare la classe operaia al potere nel 1917 vi sarebbero stati interi volumi scritti su come, in ogni caso, sarebbe stato impossibile per gli operai russi prendere il potere statale. Come abbiamo scritto nel nostro documento di conferenza:

“Abbiamo coinvolto tutte le nostre piccole forze rivoluzionarie in una lotta per il potere. Siamo stati sconfitti, ma abbiamo lottato. Ciò che è cruciale è apprendere le lezioni per le battaglie future”.

Come afferma la sezione del documento per la Quinta conferenza sulla questione cinese, la disputa alla conferenza è stata solo una di varie battaglie e discussioni interne su questa questione negli anni recenti. Solo attraverso tali lotte interne ed un riesame costante della situazione empirica possiamo chiarire e ridefinire la nostra comprensione della situazione odierna profondamente contraddittoria nello Stato operaio deformato cinese. Molte tra queste lotte si sono centrate nella tendenza a far collassare gli sviluppi in Cina, vedendo in modo erroneo le “riforme di mercato” introdotte dalla burocrazia cinese come se conducessero immediatamente alla restaurazione del capitalismo. Tale modo di vedere le cose si adatta alla visione dei nostri oppositori riformisti, che in gran parte considerano già la Cina come capitalista per poter giustificare il loro rifiuto a rivendicare la difesa militare incondizionata contro gli attacchi imperialisti e la controrivoluzione interna.

Già nel giugno 2000 abbiamo riconosciuto in una mozione del Si che una tendenza a basare le nostre conclusioni esclusivamente sulle azioni e intenzioni della burocrazia “relega il proletariato in Cina al ruolo di essere semplicemente un oggetto passivo o della burocrazia stalinista o della borghesia imperialista, non una forza capace di un’azione propria indipendente”. Le riforme di mercato hanno fatto crescere e incoraggiato le forze della controrivoluzione capitalista, ma hanno anche significativamente aiutato a produrre una crescita economica significativa ed uno sviluppo ulteriore del proletariato industriale, aumentando così le contraddizioni in Cina. Mentre una giovane classe capitalista esiste in territorio cinese, non è una classe politicamente cosciente con i propri partiti politici o equivalenti. Prima o poi, le esplosive tensioni sociali scuoteranno la struttura della casta burocratica dominante. Allora si porrà nettamente la questione: restaurazione capitalista o rivoluzione politica proletaria sotto la direzione di un partito leninista-trotskista, sezione di una Quarta internazionale riforgiata.

Il Messico e la lotta contro il populismo borghese

Se il periodo attuale è controrivoluzionario, ciò non significa che non esistano opportunità per intervenire in lotte sociali. Non siamo tagliati fuori da interlocutori potenziali dalla repressione o da un intenso anticomunismo, ed in ogni paese dove abbiamo sezioni, lotte difensive hanno creato aperture per la nostra propaganda comunista e, a volte, azioni esemplari. In effetti una parte importante dell’essere un gruppo di propaganda combattivo è rappresentato dalla ricerca di queste opportunità. Il documento della conferenza ha citato la mobilitazione internazionale di forze per assistere la nostra sezione francese durante le proteste di massa centrate sugli studenti nel 2006 contro i tentativi del governo di erodere ulteriormente i diritti dei giovani lavoratori. Più in generale, il documento ha sottolineato la necessità per le sezioni di rivitalizzare e rinforzare le frazioni giovanili del partito con il compito di portare avanti un lavoro universitario consistente.

Il documento della conferenza ha notato che in particolare il Messico ha visto negli ultimi anni una situazione estremamente volatile. Una commissione speciale che includeva i delegati del Grupo Espartaquista de México (Gem) e altri compagni con conoscenze della situazione, si è riunita per discutere il nostro intervento in quel paese. Questa discussione è stata poi riportata al plenum della conferenza.

Le proteste di massa contro un notevole aumento del prezzo del cibo hanno seguito altre lotte contro le difficoltà create dall’imperialismo statunitense e dalla borghesia locale. Vi è un considerevole fermento nel Sud rurale, che si è mostrato drammaticamente nell’occupazione, durata per mesi, di Oaxaca da parte degli insegnanti in sciopero, da contadini e studenti. Ci sono state importanti lotte operaie, e la sconfitta del candidato del Prd, Lòpez Obrador nelle elezioni presidenziali lo scorso anno ha visto enormi proteste da parte dei suoi sostenitori contro i brogli elettorali del partito di destra al potere. Come ha notato un delegato, le politiche dell’amministrazione Bush e del regime messicano hanno avuto l’effetto di legare assieme nella stessa lotta, il proletariato, i poveri delle città e i contadini. Mantenendo il senso delle proporzioni, si può dire che vi è stata una certa radicalizzazione in Messico che, con alti e bassi, inizia con lo sciopero degli studenti all’università Unam di Città del Messico nel 1999.

Ma sono stati i piccolo-borghesi nazionalisti populisti, come gli Zapatisti e l’assemblea popolare dei popoli di Oaxaca (Appo) ad essere percepiti come l’ala radicale delle recenti lotte. A questi si sono accodati a loro volta la maggior parte dei gruppi di sinistra messicani. Come afferma il documento della conferenza “l’essenza principale del populismo di sinistra è quello di liquidare la centralità strategica della classe operaia, dissolvendo il proletariato nel ‘popolo’, al fine di subordinarlo alla borghesia”. Un volantino pubblicato dal Gem poco prima della conferenza della Lci sosteneva:

“I populisti confinano il loro programma alle riforme democratiche all’interno del quadro del capitalismo e del nazionalismo. Indipendentemente dalla loro militanza e dalle loro intenzioni, i populisti ‘radicali’ come l’Ezln (zapatisti) e l’Appo finiscono con l’orbitare attorno al Prd cercando di fargli pressione” (“Per mobilitazioni operaie contro le politiche affamatrici e la repressione”, Workers Vanguard n. 891, 27 aprile 2007).

Al contrario, organizzazioni come gli Ig o la Lts morenista orbitano attorno alle forze della piccola borghesia radicale che sono attratte dal Prd. Il documento della conferenza notava che la recente polemica del Gem contro gli zapatisti è “di fatto una correzione alla sopravvalutazione della coscienza del movimento zapatista che abbiamo pubblicato nel 1994 in Spartacist (n. 49-50, inverno 1993-94), dove l’articolo “Rumblings in the ‘New World Disorder’” glorificava la lotta zapatista come una negazione della menzogna borghese della “morte del comunismo”, senza affrontare il fatto che gli zapatisti rifiutano coscientemente un programma per la rivoluzione proletaria.

Al contrario dei riformisti che si accodano al populismo borghese, ora risorgente in gran parte dell’America latina, la Lci si batte per la prospettiva trotskista della rivoluzione permanente. Come affermò Trotsky in una discussione del 1938: “La classe operaia del Messico partecipa, non può aiutare ma partecipare, al movimento, nella lotta per l’indipendenza del paese, per la democratizzazione dei rapporti agrari ecc... E’ necessario dirigere, guidare gli operai, a passare dai compiti democratici alla presa del potere” (“Problemi dell’America Latina: una trascrizione”, 1938). Questa prospettiva è necessariamente legata alla lotta per la rivoluzione proletaria negli Stati Uniti e negli altri centri imperialisti, l’unica definitiva garanzia per l’avanzata socialista. La conferenza ha votato di produrre un articolo su come Trotsky ha sviluppato la teoria della rivoluzione permanente per aiutare il Gem ad affrontare i giovani attivisti.

Contro protezionismo e sciovinismo anti-immigrati

Un certo numero di questioni importanti o controverse che stanno di fronte alla nostra organizzazione sono state prima trattate da commissioni speciali costituite dalla conferenza, prima di essere sottomesse al plenum. Una commissione si è occupata della situazione e delle lotte delle donne operaie in Cina, con l’obiettivo di fornire contenuti per propaganda futura. Un’altra ha esaminato il lavoro della Lci in Polonia e le recenti dispute, portando alla decisione di ricostituire la sezione polacca della Lci. Una terza commissione che si è occupata del lavoro di difesa basata sulla lotta di classe, ha focalizzato la propria attività sugli sforzi internazionali per mobilitare un asse proletario nella lotta per liberare Mumia Abu-Jamal. Un’altra ha discusso il lavoro dei nostri sostenitori nei sindacati delle varie sezioni. Un incontro dei membri del comitato di redazione della pubblicazione in quattro lingue Spartacist ha discusso i piani per i numeri futuri.

La discussione più controversa è stata quella della Commissione sindacale, che ha fatto propria una discussione pre-conferenza molto viva sui piani per spezzare il sindacato dei portuali in Europa. Come parte della direttiva “port package” che mira ad attaccare i sindacati dei portuali europei, i padroni dei porti hanno proposto di utilizzare marinai prevalentemente stranieri per il carico e lo scarico delle navi (cosiddetto “self handling”). Il sindacato dei portuali di Amburgo si è opposto a questa misura sulla base del punto di vista protezionista sciovinista, sollevando lo slogan protezionista “Il lavoro del porto ai portuali”.

La linea della burocrazia sindacale ha trovato un’eco nella Lci , come si può vedere in un volantino del gennaio 2006 della Spad, sezione della Lci in Germania, scritto in collaborazione con compagni del centro internazionale. Il volantino aveva due posizioni contrapposte. Contrapponendosi ai tentativi della burocrazia sindacale di escludere e segregare i marinai stranieri, domandava che il lavoro fatto caricando e scaricando le navi chiunque lo faccia, debba essere pagato alle tariffe sindacali dei portuali di Amburgo, aprendo così ad una collaborazione internazionale tra portuali tedeschi e marinai stranieri. Allo stesso tempo il volantino affermava anche che “il ‘self-handling’ significa la distruzione del sindacato dei portuali e di conseguenza anche condizioni peggiori per i marinai”, implicando che il lavoro portuale non debba essere fatto dai marinai! La conferenza nazionale della Spad dell’agosto 2006 ha votato di correggere questo adattamento al protezionismo sciovinista della burocrazia sindacale riformista, ma la questione non fu completamente risolta fino alla discussione attorno alla conferenza internazionale.

Lo slogan “il lavoro del porto ai portuali” è nazionalista e protezionista, non solo potenzialmente, come è stato affermato precedentemente nella nostra propaganda. Nel contesto significa: “Il lavoro tedesco ai tedeschi”. Come un compagno intervenuto alla conferenza ha notato, una prospettiva internazionalista inizia dal punto di vista di raggiungere con il nostro programma rivoluzionario i marinai in maggioranza filippini e cercando di unirli con i loro fratelli e sorelle di classe tedeschi nella lotta contro i capitalisti. Il documento della conferenza ha riaffermato la nostra opposizione al protezionismo nei paesi imperialisti: “Per la borghesia, il protezionismo e il ‘mercato libero’ sono opzioni che possono essere discusse. Per il proletariato la scelta del protezionismo significa il rifiuto del programma dell’internazionalismo, cioè la rinuncia alla rivoluzione. La soluzione alle crisi prodotte dal capitalismo può solo essere un’economia socialista pianificata internazionalmente”.

L’adattamento al protezionismo nel caso del “port package” ad Amburgo è stata un’altra espressione delle crescenti pressioni del liberalismo borghese, così come rifratte dal prisma del riformismo operaio. La restaurazione capitalista nell’Europa dell’Est e l’intensificato sfruttamento imperialista del mondo semicoloniale hanno creato nuove ondate di immigrazione nei centri metropolitani occidentali. Settori della borghesia e delle burocrazie socialdemocratiche e sindacali promuovono il nazionalismo come mezzo per canalizzare il malcontento sulla disoccupazione e sulle condizioni di vita che peggiorano, nell’ostilità contro i lavoratori stranieri e gli immigrati. In Germania un esponente di primo piano del veleno protezionista è Oskar Lafontaine, dirigente dell’Alternativa elettorale per il lavoro e la giustizia sociale (Wasg) socialdemocratica di sinistra, che si è ora fusa con gli ex-stalinisti socialdemocratici del Pds formando insieme Die Linke (La sinistra, conosciuti anche come Partito di sinistra). Sia il Wasg che il partito che ne è seguito dopo la fusione hanno raccolto gran parte della sinistra pseudo-trotskista.

Al contrario noi combattiamo per un partito d’avanguardia internazionalista che agisca come “tribuno del popolo,” sostenendo la difesa degli immigrati e delle minoranze etniche e nazionali. La nostra rivendicazione pieni diritti di cittadinanza per tutti gli immigrati, è cruciale per difendere l’integrità della classe operaia, e ostacolare la possibilità che i capitalisti sottopongano gli strati più vulnerabili della popolazione al supersfruttamento, e serve da misura in difesa di tutti i lavoratori. Ma la maggior parte delle minoranze in Europa occidentale non è composta da immigrati, ma da figli e nipoti di operai immigrati che furono trasferiti per compensare l’insufficiente disponibilità di forza lavoro che risultò dalle devastazioni prodotte dalla Seconda guerra mondiale. Oggi questi giovani soffrono le conseguenze della mancanza di posti di lavoro e della repressione razzista della polizia. Così per combattere l’oppressione delle minoranze etniche non si può solo lottare per i diritti democratici, ma bisogna lottare per la sopravvivenza economica basata sul Programma di transizione, ad esempio organizzare i non organizzati, lavori decenti per tutti per mezzo di una scala mobile delle ore di lavoro e dei salari, il che pone la questione di una lotta contro lo stesso sistema capitalista.

L’alternativa a questa prospettiva rivoluzionaria è una forma di riformismo indiretto, che cerca in qualche modo di ridistribuire la miseria imposta dal capitalismo a chi sta al fondo della società. Ciò si riflette nel dibattito nel movimento operaio statunitense sulla questione se i lavoratori immigrati abbassano i salari degli altri settori poco pagati e particolarmente oppressi della classe operaia, in particolare dei neri. Il documento principale della conferenza nota:

“Dal nostro punto di vista la questione dei diritti degli immigrati è politica e non economica. Le nostre domande sono negative, e si riassumono nella rivendicazione per i pieni diritti di cittadinanza per chiunque sia riuscito ad arrivare in questo paese, in opposizione alla politica dello Stato borghese. Non abbiamo un programma positivo. Cioè non chiediamo un diverso insieme di politiche dell’immigrazione sotto il capitalismo... Ci occuperemo degli alti e bassi dell’economia mondiale quando la condurremo noi”.

Il documento ha riaffermato “il ruolo progressivo che i lavoratori stranieri giocano nel rompere il movimento operaio dal suo isolamento nazionale”.

La campagna per liberare Mumia Abu-Jamal

La discussione alla commissione per le questioni legali e di difesa si è concentrata sulla necessità di raddoppiare i nostri sforzi internazionali per conquistare la liberazione di Mumia Abu-Jamal, il cui caso è ora minacciosamente sottoposto alla procedura guridica detta “fast track”. Sostenitore dell’organizzazione Move, Mumia fu in gioventù portavoce del Partito della Pantera nera e divenne un eloquente giornalista capace di parlare con forza a sostegno degli oppressi. Mumia fu vittima di una montatura del sistema di “giustizia” razzista americano, accusato di aver ucciso un poliziotto di Filadelfia nel dicembre 1981. I governanti statunitensi sono determinati ad uccidere Mumia o a seppellirlo vivo per sempre in prigione, come modo per mandare un messaggio intimidatorio a chiunque voglia sfidare il loro sistema.

Noi ci battiamo per una strategia di difesa basata sulla lotta di classe, che cerca di mobilitare la forza sociale della classe operaia e di portare tra gli operai la comprensione che la lotta per Mumia è la loro lotta, che dev’essere una lotta contro lo Stato capitalista. I compagni hanno sottolineato che per mobilitare il movimento di protesta di massa centrato sul movimento operaio che occorre per vincere tale battaglia, significa combattere gli sforzi dei liberali borghesi e della sinistra riformista che promuovono illusioni nei tribunali capitalisti. Questi tipi subordinano la lotta per la libertà di Mumia alla rivendicazione di un “nuovo processo” che verrebbe svolto dallo stesso sistema legale che lo ha condotto nel braccio della morte. Questa rivendicazione è in rottura cosciente con le generazioni dei passati movimenti di protesta che domandavano “Libertà per Sacco e Vanzetti”, “Libertà per gli Scottsboro boys”, “Libertà per Angela Davis” ecc. Molti tra questi gruppi e individui hanno cercato di denigrare e nascondere una prova particolarmente importante dell’innocenza di Mumia Abu-Jamal, la testimonianza sotto giuramento di Arnold Beverly, che afferma di essere stato lui, e non Mumia, ad uccidere il poliziotto di Filadelfia e che Mumia non aveva niente a che vedere con l’omicidio.

I liberali e i loro parassiti riformisti vogliono ripulire l’immagine del sistema giuridico americano; così devono dipingere la vendetta dello Stato contro Mumia come un’aberrazione e un “esempio di cattiva giustizia”. Trovano la confessione di Beverly “non credibile” poiché non vogliono credere a ciò che milioni di persone in tutto il mondo non hanno problemi a comprendere: che Mumia è stato la vittima di una macchinazione concertata dal governo. Non ci potrebbe essere miglior esempio di come i nostri oppositori riformisti sono in questo periodo diventati aperti proponenti della democrazia borghese, e che lavorano per bloccare lo sviluppo di coscienza di classe anticapitalista che potrebbe risultare dalle mobilitazioni per liberare Mumia. Spargendo illusioni mortali che i tribunali capitalisti possano fare “giustizia” queste forze smobilitano il movimento di protesta di massa che ora deve essere rivitalizzato.

Per noi, la necessità di combattere politicamente gli sforzi di smobilitazione fatti dai liberali e dai riformisti, si pose urgentemente almeno dalla fine degli anni Novanta. Ma furono necessarie le lotte interne chiarificatrici che seguirono la crisi del nostro partito del 2003 al fine di essere in grado di affrontare questa questione. La precondizione per ridare vigore alla nostra campagna per liberare Mumia era quella di rovesciare una precedente denigrazione del lavoro di difesa come qualcosa di intrinsecamente opportunista. Come ha notato il documento della conferenza “ciò ha richiesto una revisione del nostro lavoro, risalendo al 1987, quando abbiamo adottato il caso di Mumia, alla conferenza della Sl/Us (2004). Eravamo noi e noi soltanto che abbiamo reso questa causa una causa internazionale che si focalizzava non soltanto su Mumia , ma sulla barbarie della pena di morte razzista negli Stati Uniti”. Noi siamo riusciti nei nostri sforzi di galvanizzare più vaste forze sociali nella lotta a sostegno di Mumia. Non è un’esagerazione dire che il nostro lavoro, incluso il nostro sostegno ad altri che hanno fatto proprio il caso di Mumia, è stato capace di prolungargli la vita.

Allo stesso tempo riconosciamo che queste altre forze erano ostili alla nostra politica comunista e al nostro coinvolgimento nel caso. Ma questa comprensione è stata poi utilizzata come motivazione per ritirarsi dalla lotta politica e polemica contro i nostri oppositori riformisti sul caso Mumia. Riferendosi ad alcune di queste occasioni di ritirata settaria negli anni che sono seguiti alla distruzione dell’Unione Sovietica, un compagno ha notato un po’ di tempo fa come il partito si fosse “ritirato da un mondo nuovo e alieno, nel nostro castello, sollevando il ponte levatoio e nascondendoci”. Questo atteggiamento è stato seguito, ha osservato il compagno, dall’adattamento all’opportunismo menscevico, “abbassando il ponte levatoio e correndo fuori per mischiarci con chi trovavamo, lasciando la bandiera nel castello”.

Nel riarmare politicamente il partito, le nostre recenti battaglie interne ci hanno permesso di fare importanti progressi nella campagna per liberare Mumia. Il Partisan Defense Committee e le altre organizzazioni di difesa associate con la Lci in vari paesi, hanno iniziato manifestazioni per “difendere Mumia” negli Stati Uniti, in Canada, Inghilterra, Germania e altri paesi, dove sono intervenuti relatori del movimento operaio e non solo. Opuscoli sono stati prodotti in inglese, francese e tedesco per documentare la sua innocenza e la battaglia lunga anni per la sua libertà, incluse polemiche contro la fiducia dei nostri oppositori nello Stato borghese. Raccolte di materiale sul caso di Mumia sono state distribuite in molte lingue. Il Pdc e altre organizzazioni di difesa sorelle hanno raccolto centinaia di firme, principalmente di provenienza dal movimento operaio, ad una dichiarazione iniziata dal Pdc: “Chiediamo l’immediata liberazione di Mumia Abu-Jamal, un innocente”, che riportava la confessione di Beverly e che è stata pubblicata in annunci sulla stampa nera e liberale in vari paesi.

Organizzazioni operaie di massa come il Cosatu in Sudafrica e il Trade Union Congress scozzese hanno adottato risoluzioni a sostegno dell’innocenza di Mumia e chiesto la sua liberazione.

Abbiamo organizzato assemblee pubbliche spiegando come la lotta per liberare Mumia sia parte della nostra lotta per la liberazione dei neri attraverso la rivoluzione socialista negli Stati Uniti. Il caso di Mumia è un microcosmo del dominio di classe capitalista e dell’oppressione dei neri che ne è parte integrante. Negli Stati Uniti la barbara pena di morte è l’eredità della schiavitù, il linciaggio reso legale. Mumia è vittima di una montatura giudiziaria e condannato a morte a causa della sua storia di combattente contro il razzismo e l’ingiustizia capitalisti, che iniziò quando era ancora un ragazzo membro del Partito della Pantera nera.

Le Pantere attrassero la parte migliore di una generazione di giovani militanti neri schifati dal prevalente conciliazionismo dei dirigenti dei diritti civili inginocchiati al Partito democratico. Ma il nazionalismo delle Pantere nere, che disperava della possibilità di lotta di classe integrata contro il capitalismo razzista americano, era anch’esso un vicolo cieco come le illusioni liberali che i neri potessero ottenere l’uguaglianza nei confini della società capitalista americana.

I neri negli Usa non sono una nazione. Sono una casta oppressa sulla base di razza e colore: sin dall’inizio del sistema schiavistico sono stati parte integrante della società classista americana sebbene segregati al suo fondo. La strada per la liberazione dei neri è nella lotta per l’integrazionismo rivoluzionario, cioè la piena integrazione dei neri in un’America socialista egualitaria. Quarant’anni dopo il movimento dei diritti civili, i neri degli Stati Uniti si trovano di fronte a miseria e carcerazione di massa, un’assistenza sanitaria in rapido peggioramento e scuole sempre di più segregate. Ma gli operai neri restano una componente fondamentale del proletariato multirazziale statunitense. La lotta per la liberazione dei neri è la questione strategica della rivoluzione proletaria americana. Non ci può essere rivoluzione socialista negli Stati Uniti senza che il proletariato faccia propria la lotta per la liberazione dei neri, opponendosi ad ogni manifestazione di oppressione e discriminazione razzista, e non vi può essere liberazione dei neri senza il rovesciamento di questo sistema capitalista razzista.

Il documento della conferenza nota che la nostra lotta per la liberazione di Mumia “ha fornito una delle rare occasioni in cui il nostro intervento può cambiare il corso degli eventi su di una questione di grande rilevanza per masse di persone”. La discussione alla conferenza ha enfatizzato come sia necessario molto di più nella lotta per conquistare la libertà per Mumia Abu-Jamal. Il nostro compito centrale nel corso di questo lavoro è di trarre le lezioni politiche, dalla natura dello Stato capitalista alla questione nera negli Stati Uniti, e conquistare operai, minoranze e giovani alla prospettiva della difesa basata sulla lotta di classe e al più generale programma della lotta per la rivoluzione socialista che spazzi via il sistema capitalista di ingiustizia e repressione.

La lotta per la continuità rivoluzionaria

La rifondazione della sezione polacca della Lci è stato un punto alto della conferenza. La sezione fu dissolta nel 2001, e la correzione di una falsa posizione presa dalla direzione internazionale in quel periodo è stata cruciale per riforgiare il gruppo. Più importante è stato chiarire l’evoluzione del ruolo di Solidarnosc dopo la restaurazione del capitalismo in Polonia in quanto organizzazione politica di destra e allo stesso tempo sindacato che ha guidato lotte economiche. Un’ulteriore discussione importante per consolidare il gruppo è stata sulla posizione trotskista sulla Seconda guerra mondiale, il disfattismo rivoluzionario nei confronti dei contendenti imperialisti, e per estensione alla Polonia schierata con gli alleati, combinato con la difesa militare incondizionata dell’Urss. La rifondazione del nostro gruppo polacco ci dà un appiglio cruciale, anche se piccolo, nell’Europa dell’Est.

La conferenza ha affermato la centralità di difendere la nostra integrità programmatica marxista, mediante l’intervento esterno e il confronto polemico, la lotta politica e chiarificazione interna e non ultima, la sistematica educazione dei quadri per instillare e rivedere criticamente le lezioni derivate dall’esperienza storica. Il documento principale notava: “Data la natura e le difficoltà del periodo, non possiamo prevedere una crescita sostanziale immediata. La Lci è estesa al massimo”. Ciononostante è importante mantenere la nostra distribuzione geografica, poiché non è possibile sapere in anticipo dove si verificheranno esplosioni di lotta di classe. Ciò sottolinea la necessità di stabilire priorità e continuare a perseguirle. Cruciale a questo riguardo è mantenere la frequenza quindicinale di Workers Vanguard, il giornale della Spartacist League/U.S. che svolge un ruolo importante nel mantenere insieme politicamente l’intera Lci.

E’ stata costituita una commissione per le nomine per considerare le proposte della direzione uscente e dei delegati per un nuovo Comitato esecutivo internazionale, che è incaricato di guidare la Lci fino alla prossima conferenza. Al contrario della conferenza del 2003, quando la crisi del partito ha portato a significativi cambiamenti nelle composizione del Cei, il Cei eletto questa volta è stato molto più nella linea di continuità, riflettendo i progressi fatti nel ricostruire il partito e la sua direzione. Il nuovo Cei, eletto a scrutinio segreto dopo una discussione alla sessione finale della conferenza, include uno strato di giovani compagni appartenenti a varie sezioni della Lci.

Dall’ultima conferenza della Lci, abbiamo fatto progressi nel riconoscere e combattere contro le pressioni ad adattarci alla coscienza liberale borghese, e ad applicare le norme del centralismo democratico nelle nostre decisioni interne. Ciononostante, come ha notato sobriamente il documento principale, “Dobbiamo fare molto di più quando si tratta di instillare un senso dell’obiettivo finale, che le nostre piccole forze per mezzo del potere del nostro programma hanno un impatto sulle lotte sociali, e che noi siamo gli unici con un programma per abolire il capitalismo, fonte dello sfruttamento, guerre imperialiste, discriminazioni razziste e oppressione delle donne”. Abbiamo trascorso alcuni decenni cercando qualcuno che la pensasse in modo simile a noi tra gli pseudo trotskisti, dalla Francia allo Sri Lanka, alla Grecia e in altri paesi. Ma alla fine ci siamo resi contro che in sostanza siamo l’unica organizzazione trotskista nel mondo.

Abbiamo conquistato molti quadri rivoluzionari da vari gruppi centristi e riformisti internazionali, o dalla loro periferia, il che ha permesso alla nostra tendenza di rompere l’isolamento nazionale negli Stati Uniti, prima in Australia e in Europa, poi in Giappone, Sudafrica, Messico e altrove. Questa estensione internazionale è stata e rimane assolutamente cruciale nel dare alla Lci la possibilità di sopravvivere politicamente contro le pressioni deformanti che pesano su qualsiasi organizzazione limitata al terreno nazionale. Oggi la Lci ha quadri internazionali, inclusi strati più giovani che si sono spinti avanti nel processo di ricostruzione del partito. La sfida sta nel riuscire a passare le esperienze accumulate dalle generazioni precedenti del partito a quelli che lo guideranno nel futuro. Questo include l’educazione sui classici marxisti e lo studio della nostra stessa storia, e anche la lotta continua per raffinare e sviluppare ulteriormente il nostro programma marxista in questo periodo di reazione post-sovietica. Nel fare ciò, così come nel resto del lavoro della Lci, il nostro scopo non è altro che riforgiare un’autentica Quarta internazionale trotskista che guidi il proletariato nello spazzar via la barbarie capitalista attraverso nuove rivoluzioni d’Ottobre nel mondo.

 

Spartaco n. 69

Spartaco 69

Gennaio 2008

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Pd/Rifondazione e soci: un fronte popolare di guerra, razzismo e miseria

Respingere l’offensiva capitalista! Rompere con la collaborazione di classe!

Costruire un partito leninista che lotti per il potere operaio!

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Manifestazioni di protesta accolgono la campagna mediatica sul libro Assassinato da Mumia e chiedono la liberazione immediata di Mumia Abu-Jamal

Libertà subito per Mumia Abu-Jamal!

Comunicato stampa del Partisan Defense Committee

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Respingere la campagna razzista del governo di Rifondazione/Partito democratico & co. contro rom, rumeni e immigrati!

Abbasso il “Pacchetto sicurezza”! Fermare le deportazioni! Pieni diritti di cittadinanza per tutti gli immigrati!

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Preservare il programma rivoluzionario nel periodo post-sovietico

Quinta conferenza della Lega comunista internazionale

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Ottantesimo anniversario del linciaggio legale

Lezioni della lotta per la liberazione di Sacco e Vanzetti