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Spartaco n. 69 |
Gennaio 2008 |
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Pd/Rifondazione e soci: un fronte popolare di guerra, razzismo e miseria
Respingere loffensiva capitalista! Rompere con la collaborazione di classe!
Costruire un partito leninista che lotti per il potere operaio!
“Vuoi vedere che l’Italia cambia davvero?” strombazzava Rifondazione alle elezioni del 2006. Bei cambiamenti! Città del Sud sommerse da rifiuti abbandonati nelle strade da un governo che non vuole spendere un euro per i bisogni delle masse povere. Chi protesta viene preso a manganellate dalla polizia e il capo della “macelleria messicana” di Genova, De Gennaro, è promosso commissario d’emergenza. Più di mille operai continuano a morire ogni anno sul lavoro per salari da fame e decine di migliaia restano invalidi per l’avidità di padroni che vogliono succhiare profitti da ogni goccia di sangue operaio. Sette milioni e mezzo di lavoratori e loro famigliari vivono sotto la soglia di povertà. Tutte le leggi sul precariato e i tagli alle pensioni del governo Berlusconi sono stati confermati e persino peggiorate. Ora si preparano a privatizzare Alitalia con la possibilità di migliaia di licenziamenti. Ecco la promessa mantenuta da Unione e Rifondazione: guerra agli operai, ai poveri e agli immigrati per puntellare i profitti dei capitalisti e le loro ambizioni imperialiste.
Sinora il governo Prodi è riuscito a reggersi su di una risicata maggioranza e mentre scriviamo potrebbe essere al capolinea per l’uscita dell’Udeur di Mastella. Ma in poco più di un anno e mezzo il governo di Unione e Rifondazione ha mantenuto e rafforzato i contingenti italiani nei Balcani e in Afghanistan ed è stato tra i principali attori nell’avventura imperialista in Libano, schierando 2.500 soldati dei reparti speciali. E’ stato uno zelante fautore della “guerra al terrorismo”, il cui unico scopo è quello di aumentare la repressione contro lavoratori e immigrati e dividere la classe operaia su linee etniche. Il ministro degli Interni Amato si è vantato di aver ordinato nella sola prima metà del 2007, più di 2.600 perquisizioni tra moschee, internet point e macellerie islamiche, facendo controllare più di 10 mila persone, con 60 arresti e 236 deportazioni. Per mesi Rifondazione e Pd hanno scatenato una campagna di rastrellamenti etnici e deportazioni nei campi rom e nelle baraccopoli delle grandi città, culminata a fine ottobre in un decreto legge razzista rivolto principalmente contro rom e immigrati romeni, che consente la deportazione di cittadini dell’Unione Europea se costituiscono una minaccia “per la pubblica sicurezza”. Per tutti gli immigrati, il governo ha riconfermato l’impianto delle vecchie leggi razziste Bossi-Fini e Turco-Napolitano, che regolamentano l’oppressione della manodopera immigrata, che i capitalisti vorrebbero ricattabile e priva di diritti.
Di fronte a queste misure antioperaie lo spauracchio del “ritorno di Berlusconi” inizia a fare acqua. La classe operaia è stata protagonista di numerosi scioperi e lotte difensive che continuano in questi giorni: dagli scioperi per il rinnovo contrattuale dei metalmeccanici, dei lavoratori dei trasporti e del pubblico impiego, allo sciopero generale contro il “decreto sul welfare” indetto dai Cobas a novembre. Alla Fiat, alla Thyssen Krupp e in altre fabbriche i dirigenti sindacali sono stati fischiati e ora persino i burocrati filocapitalisti minacciano uno sciopero generale come valvola di sfogo se il governo non farà qualche concessione sui salari.
La ragione di tutto ciò è semplice: il governo di Partito democratico, Rifondazione e soci è un governo capitalista, quello che i marxisti chiamano un fronte popolare. E’ un’alleanza tra partiti riformisti della classe operaia e partiti borghesi, la cui ragione di esistenza è quella di incatenare il proletariato ai propri sfruttatori e difendere gli interessi della classe capitalista. Rifondazione ha cercato di camuffare la natura di classe del governo Prodi descrivendolo come un “campo di battaglia possibile” tra gli interessi dei lavoratori e quelli dei capitalisti (Liberazione, 20 ottobre). Ma in una coalizione di fronte popolare è la borghesia che comanda, come diceva il dirigente rivoluzionario russo Leone Trotsky: “un uomo a cavallo non è un blocco tra un uomo e un cavallo”. Votando queste coalizioni, appoggiandole in parlamento o partecipandovi dal governo, partiti come Rifondazione e i suoi transfughi di Sinistra critica (Sc) e del Partito comunista dei lavoratori (Pcl) spingono il proletariato a rinunciare ai propri interessi di classe per difendere quelli degli “alleati” capitalisti. Il ruolo storico dei fronti popolari è sempre stato quello di frenare la lotta di classe e prevenire rivoluzioni proletarie: dal soffocamento della rivoluzione in Italia nel dopoguerra con la complicità del Pci, al massacro degli operai nel Cile di Allende. E anche nei momenti in cui gli operai sono sulla difensiva, spesso i capitalisti hanno bisogno che gli attacchi siano fatti da governi che includono i partiti socialdemocratici come il Prc, che hanno più possibilità di tenere a freno gli operai.
Noi spartachisti lottiamo per l’indipendenza di classe del proletariato, perché i lavoratori e gli oppressi prendano coscienza che i loro interessi e quelli della classe capitalista sono inconciliabili e rovescino l’intero sistema dello sfruttamento capitalista. Ci opponiamo a qualsiasi sostegno elettorale, illusione o fiducia nei partiti operai coinvolti in fronti popolari e abbiamo fatto appello a non votare il Prc e gli altri partiti della coalizione di Prodi, spiegando che “comunque lo si giustifichi è un voto ad una coalizione capitalista che dichiara apertamente di difendere gli interessi della classe dominante, tanto nel suo programma quanto nella sua composizione sociale” (Spartaco n. 67, marzo 2006).
La società capitalista si divide in due classi fondamentali con interessi contrapposti ed inconciliabili: i capitalisti, che possiedono i mezzi di produzione (fabbriche, terre, mezzi di trasporto) e la classe operaia che, per vivere, è costretta a vendere la propria capacità di lavoro in cambio di un salario. E’ il lavoro degli operai a produrre la ricchezza della società ed i profitti di cui i capitalisti si appropriano con lo sfruttamento del lavoro operaio, pagando agli operai solo una porzione del valore che producono e trattenendo il resto come profitti. Ogni aumento salariale, ogni conquista sociale che gli operai strappano con lotte e sacrifici, determina una diminuzione dei profitti e del controllo sociale dei capitalisti e viceversa. Finché gli operai non strapperanno il potere ai capitalisti resteranno una classe di schiavi salariati, esposti continuamente alle crisi, alle guerre e alla povertà. L’obiettivo storico del proletariato dev’essere di conquistare il potere statale e mettere sotto il controllo dello Stato degli operai tutti i mezzi di produzione, costruendo un’economia collettivizzata pianificata per soddisfare i bisogni di masse di milioni di persone. Per questo è necessario e urgente costruire un partito della classe operaia, che nella piena indipendenza politica e organizzativa dalla borghesia e dalle sue formazioni, si batta per la rivoluzione proletaria.
Rifondazione: responsabile di austerità, razzismo e guerra
Rifondazione ha fatto parte per due anni del governo, responsabile in prima persona delle sue misure antioperaie e razziste e delle avventure imperialiste. Sin dallo scorso governo Prodi, il Prc è stato determinante nel far passare tutte le principali misure con cui sono stati imposte flessibilità, sfruttamento e razzismo: dalla Turco-Napolitano che ha creato i Cpt al Patto Treu, che ha spalancato la strada alla Legge 30, alla recente legge sul welfare. Il ministro del Prc Ferrero ha votato le moderne leggi razziali proprio mentre il governo ordinava il rastrellamento e la demolizione di decine di baraccopoli e campi rom e le deportazioni di centinaia di immigrati e a dicembre ha confermato il suo sostegno votando la conversione del decreto in legge. La Ltd’I si è battuta contro questo decreto razzista sottolineando l’importanza che la classe operaia e tutti gli oppressi si mobilitino in difesa dei rom e per pieni diritti di cittadinanza per tutti gli immigrati.
Dopo aver perso un terzo dei voti alle elezioni ed essere stati più volte contestati da studenti e lavoratori, i dirigenti del Prc hanno cercato di correre ai ripari. Così si è assistito allo spettacolo grottesco in cui Rifondazione ha organizzato una tiepida protesta di strada e dalle pagine del giornale contro leggi odiose che in parlamento è stata determinante nel far approvare. Un esempio è stata la massiccia manifestazione organizzata dal Prc sul welfare il 20 ottobre scorso a Roma, che rivendicava apertamente l’appoggio al governo e gli chiedeva di compiere “una svolta, un’iniziativa di sinistra che rilanci la partecipazione popolare e conquisti i punti più avanzati del programma dell’Unione, per evitare che si apra un solco tra la rappresentanza politica, il governo Prodi e chi lo ha eletto” (Liberazione, 3 agosto 2007).
Predicando il sostegno al governo e l’idea che si debba spingerlo a “rispettare il programma dell’Unione”, il Prc cerca di incatenare i lavoratori alla collaborazione di classe e ostacolare la lotta di classe, l’unico strumento in mano ai lavoratori per respingere l’insieme delle misure antioperaie volute dalla borghesia. E’ proprio per la sua capacità di ostacolare la resistenza operaia, che la borghesia accetta il Prc al governo.
Il sistema parlamentare italiano del secondo dopoguerra è stato una creatura degli imperialisti nella guerra fredda contro l’Unione Sovietica, volto ad escludere il Pci dal governo nazionale (pur coinvolgendolo nell’amministrazione locale del capitalismo). Ciò non significa che il Pci fosse una forza autenticamente comunista: al contrario, svolse un ruolo cruciale tra il 1943 e il 1948 nello strangolare la rivoluzione proletaria cui aspiravano settori decisivi del proletariato. Il Pci subordinò il proletariato alla borghesia “antifascista” e disarmò i partigiani per restituire il potere ai capitalisti. Dopo la controrivoluzione in Unione Sovietica nel 1991-1992, la borghesia ha proclamato che la distruzione dell’Urss significava la “morte del comunismo”, esprimendo il suo desiderio che non ci siano mai più rivoluzioni proletarie come quella guidata dai bolscevichi nell’ottobre del 1917. La premessa fondamentale che la rivoluzione proletaria non è più possibile è condivisa da tutta l’attuale sinistra riformista, da Rifondazione fino ai suoi transfughi di Sinistra critica e Pcl.
Il crollo dell’Urss ha consentito ai capitalisti italiani di disfarsi del vecchio sistema di potere e di accettare al governo gli eredi del Pci. Dall’inizio degli anni Novanta l’Italia è stata governata da un’alternanza di governi di destra e di fronte popolare capitalista in cui hanno svolto un ruolo fondamentale Prc e Ds. Usando lo spauracchio della destra al potere e con la complicità delle burocrazie sindacali a loro legate, hanno saputo condurre attacchi alla classe operaia spesso più pesanti di quelli della destra. Senza il loro contributo decisivo la borghesia avrebbe faticato molto di più a far ingoiare al proletariato la devastazione delle conquiste operaie, leggi razziste e guerre imperialiste.
Ma questa capacità è sempre più affievolita e le coalizioni elettorali di fronte popolare (come quelle di centro-destra) sono riuscite solo parzialmente a realizzare gli obiettivi dei capitalisti e a volte hanno dovuto fare retromarcia di fronte a una vasta resistenza operaia o al malcontento crescente. Così per meglio portare avanti i suoi attacchi, la borghesia cerca ora di sfrondare queste coalizioni vaste e fragili, sia attraverso l’unificazione del Pd, sia attraverso una legge elettorale antidemocratica che limiti ancor più l’accesso al parlamento. Come conseguenza il Prc rischia di rimanere escluso da future coalizioni di governo e cerca disperatamente di arrivare a qualche forma di unificazione con le forze alla sinistra del Pd (Pdci, Sd e Verdi) in modo da raggiungere un peso politico ed elettorale sufficiente per continuare ad essere un alleato indispensabile in future coalizioni di fronte popolare ed evitare di vedersi escluso dalle stanze dei bottoni.
Anche la Sinistra arcobaleno è un puro prodotto della campagna borghese ideologica sulla “morte del comunismo”, e sia il Prc che le altre componenti si basano sulla premessa che la rivoluzione socialista non è più un obiettivo: ciò a cui questi rottami dello stalinismo e della socialdemocrazia aspirano è semplicemente di essere ammessi ai posti di comando dello Stato capitalista. Rifondazione è pronta a disfarsi dei richiami al comunismo e della falce e martello (simbolo che in ogni caso ha sempre usato solo per mascherare la sua putrida politica di collaborazione di classe), per fondersi con anticomunisti borghesi come i Verdi e i transfughi dei Ds di Mussi e Salvi, che negli ultimi quindici anni hanno messo radici nei ministeri dello Stato capitalista, pur di continuare a gestire gli interessi della borghesia italiana.
Referendum sul welfare e collaborazione di classe
In tutta Europa, i governi capitalisti sono intenti a rovesciare le misure sociali che furono introdotte nel secondo dopoguerra, dopo che l’Unione Sovietica sconfisse la Germania nazista mettendo le basi per la creazione, negli anni successivi, di Stati operai deformati nell’Europa orientale e centrale. Di fronte ad una classe operaia combattiva ed in molti casi partiti comunisti di massa, le borghesie italiana, francese, tedesca ecc. furono disposte a sacrificare parte dei propri profitti per pacificare gli operai. Ma con la distruzione controrivoluzionaria dell’Unione Sovietica, una sconfitta storica per gli operai e gli oppressi del mondo intero, i governanti capitalisti hanno attaccato ferocemente le conquiste della classe operaia così come i diritti degli immigrati e i diritti democratici in generale.
In Francia ci sono stati duri scioperi contro i tentativi di Sarkozy di smantellare le pensioni dei dipendenti pubblici e in Germania i ferrovieri hanno ingaggiato il più grande sciopero nella storia della Deutsche Bahn. Tradite dalle direzioni burocratiche dei sindacati queste lotte sono state ancora una volta convogliate nel vicolo cieco della collaborazione di classe. In Italia, dove i dirigenti sindacali sono parte integrante del sistema di governo del fronte popolare guidato da Prodi, le lotte sono state sinora tenute sotto controllo.
I costanti attacchi alle condizioni di vita della classe operaia riflettono un consenso esteso a tutto lo spettro politico borghese: che i tagli di pensioni, istruzione, sanità e contratti precari sono essenziali per rendere il capitalismo italiano più competitivo rispetto ai suoi rivali imperialisti. Questo consenso si estende anche ai partiti riformisti come Rifondazione, che è stata determinante nel far passare leggi come il Patto Treu, o il recente “pacchetto welfare”. Gli accordi del 23 luglio tra governo e vertici confederali e il successivo referendum sono stati l’ennesima dimostrazione del ruolo traditore delle burocrazie che dirigono attualmente i sindacati, sottolineando la necessità di una battaglia per costruire una direzione alternativa dei sindacati, che si basi sulla lotta di classe e sull’indipendenza dei lavoratori dai capitalisti e dal loro Stato.
Alla notizia che era stato raggiunto un accordo bidone gli operai di alcune fabbriche sono entrati immediatamente in sciopero. I burocrati sindacali erano coscienti che questo ennesimo tradimento avrebbe scatenato le reazioni dei lavoratori, così hanno subordinato la firma dell’accordo ad una “consultazione della base” attraverso un referendum. Il vero obiettivo del referendum era quello di mettere un freno agli scioperi spontanei, seppellendo il potere sociale dei settori più combattivi del proletariato sotto la massa di voti di lavoratori più arretrati e passivi, pensionati e persino di nemici di classe del movimento operaio (manager, poliziotti ecc.): la stessa tecnica adottata nel 1993 e nel 1995 per far ingoiare il taglio di scala mobile e pensioni.
L’accordo sul welfare è passato a stragrande maggioranza (circa l’80 percento). Ma nelle fabbriche metalmeccaniche più organizzate e combattive i “no” sono stati la maggioranza. In grandi fabbriche come la Fiat hanno raggiunto l’80 percento. Quasi un milione di lavoratori ha espresso con il “no” la propria opposizione ai tradimenti dei burocrati e la disponibilità a lottare per far saltare i piani della borghesia. Nella vittoria del “si” si sono mescolati vari fattori. I burocrati sindacali hanno fatto gli straordinari, calpestando ogni parvenza di democrazia operaia e ricorrendo a inganni e minacce perché il referendum fosse un plebiscito per il governo. Ai relatori delle assemblee era vietato presentare le ragioni del “no” e quei dirigenti sindacali che hanno preso posizione o manifestato per il “no” sono stati velatamente minacciati di espulsione. I burocrati sindacali hanno sfruttato abilmente le divisioni generazionali nel movimento operaio: un milione di pensionati sono stati indotti a votare “si” con un bonus una tantum in aggiunta alla pensione e i lavoratori più anziani con la limatura dello “scalone”. Ma il fattore principale sono stati la demoralizzazione e il disarmo politico degli operai generati dalla martellante propaganda dei burocrati che minacciavano, in caso di sconfitta degli accordi, il ritorno di Berlusconi e la riconferma tout court della legge Maroni. Anche la Fiom, che era contro l’accordo ha rinunciato a fare campagna per il “no” e ad organizzare qualsiasi azione di sciopero contro gli accordi del 23 luglio, per evitare che queste sfociassero nella lotta di classe contro le misure di un governo che appoggiano.
La Ltd’I ha fatto appello a votare “no” in opposizione agli attacchi del governo e alla svendita delle direzioni filo capitaliste dei sindacati, perché, come ha detto un nostro sostenitore in un’assemblea di lavoratori: “E’ un accordo contro i lavoratori e la classe operaia, che ci fa andare in pensione dopo e con una pensione da fame, che sostiene la precarietà, firmato dai sindacati perché sostengono questo governo capitalista. E’ un accordo contro i giovani, le donne, gli immigrati, i settori più oppressi e sfruttati”.
I Cobas si sono opposti al Protocollo sul welfare organizzando uno sciopero generale. Ma la Cub e lo Slai hanno anche fatto appello a “boicottare” il referendum (in realtà un semplice appello all’astensione) invitando così i settori operai che si opponevano all’accordo a non intervenire in questa importante battaglia contro la burocrazia sindacale. In qusto modo hanno aiutato nei fatti la vittoria del “si”, dando un sostegno mascherato al tradimento dei burocrati sindacali e al fronte popolare. I dirigenti dei Cobas non mettono in discussione l’ordinamento capitalista: concordano con i burocrati dei sindacati confederali sul fatto che in ultima analisi gli interessi degli operai siano subordinati alle esigenze dei capitalisti, il disaccordo è soltanto sul prezzo che si può ottenere nelle svendite e che vogliono essere loro a negoziarle. Così la collaborazione di classe è intrinseca anche nel loro operato, che spesso si basa sul tentativo illusorio e suicida di attrarre lo Stato capitalista e le sue istituzioni dalla parte dei lavoratori, rafforzando tra gli operai l’illusione che lo Stato sia un’entità al di sopra delle classi e non uno strumento di repressione dei capitalisti. Molti dirigenti della Cub e del Sdl inoltre sono quadri di Rifondazione o di Sinistra critica e hanno appoggiato il governo. E anche i dirigenti dello Slai Cobas, i più decisi nel dire che il centrosinistra è uguale al centro destra, sono immersi nel frontepopulismo: i suoi dirigenti Malavenda e Delle Donne, più volte si sono candidati nelle file di Rifondazione o del Pdci in seno ad alleanze di fronte popolare.
Come scrisse nel 1940 il rivoluzionario russo Lev Trotsky:
“Nell’epoca attuale i sindacati non possono essere semplici organi della democrazia come all’epoca del capitalismo libero-scambista. Non possono restare a lungo politicamente neutri, cioè limitarsi alla difesa quotidiana degli interessi operai. Non possono essere più anarchici, cioè ignorare l’influenza decisiva dello stato sulla vita dei popoli e delle classi. Essi non possono rimanere ancora a lungo riformisti, perché le condizioni obiettive non permettono più riforme serie e durevoli. I sindacati della nostra epoca possono o servire come strumenti secondari del capitalismo imperialista per subordinare e disciplinare i lavoratori e ostacolare la rivoluzione, oppure al contrario diventare gli strumenti del movimento rivoluzionario del proletariato”.
La burocrazia che dirige i sindacati cerca costantemente di frenare le lotte per imporre la “concertazione” con i padroni, lavorando perché il capitalismo italiano sia più “competitivo”. Come spiegò Lenin nel suo libro del 1916, L’imperialismo, fase suprema del capitalismo, nei paesi imperialisti esiste una solida base oggettiva che consente di comprare una piccola parte del proletariato coi sovrapprofitti derivanti dallo sfruttamento del mondo coloniale. E’ su questa “aristocrazia operaia” che si basa la burocrazia sindacale. Grazie ai suoi piccoli privilegi essa si identifica con gli interessi della “sua” classe capitalista e la difende contro i suoi rivali.
La lotta di classe è importante, ma di per sé non basta, serve un’alternativa politica rivoluzionaria che può essere portata solo da un partito operaio rivoluzionario.
Contro le divisioni settarie della classe operaia in sindacati confederali e di base, divisi su linee politiche o categoriali, i rivoluzionari lottano per realizzare l’unità della classe operaia nella stessa industria al fine di massimizzare il potere sociale che il proletariato ha nelle azioni di lotta di classe a difesa di se stesso e degli altri settori della popolazione. Ma i sindacati da soli non sono sufficienti. La battaglia politica principale che noi rivoluzionari conduciamo contro ciascuna formazione riformista che si aggrappa alla coda dei partiti borghesi o vuol creare “un’area” per spacciare la propria mercanzia all’ombra del fronte popolare, è quella rivolta a prendere il potere statale, smantellare il sistema basato sulla proprietà privata, riorganizzare una società socialista egalitaria. Uno Stato capitalista basato sullo sfruttamento dei lavoratori non può essere “riformato” nell’interesse dei poveri. Lo Stato capitalista deve essere distrutto e sostituito da un nuovo Stato basato sulla proprietà collettivizzata e sull’economia pianificata.
In quest’ottica il partito comunista d’avanguardia fa un’opera sistematica per smascherare la politica di collaborazione con la borghesia dei burocrati sindacali di Rifondazione comunista e delle sue code.
Pcl, Sinistra critica: oppositori del marxismo rivoluzionario
La partecipazione del Prc al governo e la sua corsa alla fusione con la Sinistra arcobaleno ha messo a nudo la natura antioperaia del suo programma, spingendo le formazioni pseudotrotskiste che per anni lo avevano sostenuto a prenderne le distanze. Dopo aver cercato invano di candidare Marco Ferrando alle elezioni del 2006 nelle liste del fronte popolare di Prodi e aver appoggiato il Prc alle elezioni, la corrente di Progetto comunista è uscita dal Prc formando il Partito comunista dei lavoratori. A dicembre ne è uscita anche Sinistra critica (dopo aver appoggiato per un anno e mezzo il governo) che ha fatto appello ad una “costituente anticapitalista”. Ma la politica di queste organizzazioni resta una replica in salsa rosa della collaborazione di classe e del riformismo parlamentare di Rifondazione. Il loro obiettivo è di esercitare una pressione di “sinistra” sui partiti riformisti e sulla burocrazia sindacale, puntando ad un governo capitalista “delle sinistre”, ad un nuovo fronte popolare più presentabile, non di costruire un partito operaio rivoluzionario, basato su di un programma di rovesciamento del capitalismo e di potere proletario. Sono oppositori del marxismo rivoluzionario, le cui basi sono l’indipendenza di classe del proletariato e la lotta per una rivoluzione proletaria internazionale: il programma per cui lottiamo noi della Lega comunista internazionale.
Sc e Pcl hanno lealmente contribuito per quindici anni alla politica antioperaia del Prc e le loro lamentele non gli hanno impedito di occupare posizioni dirigenti nel Prc e di rendersi complici dei suoi continui tradimenti di classe.
Sinistra critica ha acquisito una notorietà immeritata di “opposizione” a Prodi per il fatto che Franco Turigliatto ha contribuito con la sua astensione alla messa in minoranza del governo il 21 febbraio 2007. Sinistra critica pretende anche di avere delle credenziali “antimperialiste” avendo votato contro il rifinanziamento della missione in Afghanistan lo scorso marzo. Ma la politica di Turigliatto non ha niente di antimperialista ed è solo un appello all’imperialismo italiano ad adottare una diversa politica estera, non meno reazionaria. Intanto Sinistra critica ha votato la fiducia al governo sul rifinanziamento della missione in Afghanistan il 27 luglio 2006 “per un senso di lealtà e di vincolo verso quell’elettorato che ha battuto le destre e permesso la nascita di questo governo” (www.erre.info). La fiducia di Turigliatto ha consentito non solo la prosecuzione dell’occupazione dell’Afghanistan, ma lo stanziamento di 488 milioni di euro per il mantenimento di contingenti imperialisti in Iraq, Bosnia, Kossovo ecc.
Nella sua dichiarazione di fiducia al governo (27 luglio 2006), Turigliatto si è spinto a suggerire che “Se davvero l’Italia vuole dare un contributo alla pace in Medio Oriente, si batta fino in fondo contro la politica di Israele,
si batta per la costruzione di un reale Stato palestinese e, in questo quadro, per una missione di interposizione Onu non solo tra Israele e Libano ma anche sulla striscia di Gaza e sui confini del 1967” (idem). Questi commoventi appelli ai propri padroni imperialisti, che vivono dello sfruttamento e dell’oppressione dei popoli semicoloniali, a svolgere un ruolo di pace e di difesa dei popoli servono ad incatenare gli operai ai loro sfruttatori. I settori della borghesia italiana che si oppongono all’”unilateralismo” della superpotenza imperialista americana, vorrebbero che l’imperialismo italiano si ritagliasse un “posto al sole” nel Mediterraneo e nei Balcani all’ombra dell’Onu o dell’Unione Europea. L’imperialismo non è una politica, è la natura stessa del capitalismo contemporaneo. Per eliminarlo serve una rivoluzione proletaria a scala internazionale. L’Onu poi è un covo di ladri e assassini imperialisti, come dimostra l’embargo che ha ucciso più di un milione di persone in Iraq. La fiducia votata da Sinistra critica alle missioni imperialiste e i loro appelli all’imperialismo italiano a svolgere un ruolo di “pace” dimostrano che la loro politica è ancorata alla difesa nazionalista dell’imperialismo italiano e serve solo ad alimentare le illusioni che l’imperialismo possa essere riformato da un governo di “vera sinistra”.
Al contrario di Sc, noi della Ltd’I abbiamo detto Fuori le truppe italiane e tutte le truppe imperialiste dal Libano! Nei conflitti armati tra imperialisti e le forze (spesso reazionarie) finite nel loro mirino dall’Iraq al Libano, abbiamo fatto appello al proletariato a schierarsi per il sostegno militare alle forze che si opponevano all’imperialismo, senza dargli alcun sostegno politico e condannando le azioni fratricide e settarie. Soprattutto abbiamo fatto appello alla lotta di classe nei centri imperialisti. In quanto rivoluzionari in Italia, il nostro compito è costruire un partito che si batta contro la classe dominante capitalista e per la rivoluzione socialista in questo paese.
Nonostante la sua retorica di opposizione, nei fatti Sc ha aiutato il governo a mantenersi in piedi in ogni occasione cruciale e ha in pieno la responsabilità delle sue misure antioperaie, anche quando i suoi parlamentari hanno avuto la possibilità di indossare la foglia di fico di un voto contrario irrilevante ai fini della loro approvazione. Ad esempio Sc ha fatto campagna contro il protocollo sul welfare e ha votato contro la politica estera di D’Alema. Ma pochi giorni dopo Turigliatto ha di nuovo dato un voto decisivo di fiducia che ha consentito al governo di sopravvivere e approvare il protocollo sul welfare e il decreto razzista sulla “sicurezza”.
Ora che è fuori dal Prc, Sc rivendica “l’indisponibilità a governare il capitalismo”, fino a quando la “sinistra di classe” non sia riuscita a “modificare drasticamente sistemi sociali concepiti per fare da cane da guardia al sistema e acquisire peso e potere nella società e nella struttura socio-economica”: cioè, finché non ci siano le basi per un governo di fronte popolare capitalista più presentabile di quello attuale.
I marxisti si oppongono per principio e senza condizioni al ministerialismo borghese, alla complicità nella gestione dello Stato capitalista, che rappresenta la dittatura delle classi dominanti. Ciò che distingue i comunisti rivoluzionari dai riformisti è la comprensione che il compito storico della classe operaia è di spezzare l’apparato repressivo su cui si basa l’ordinamento capitalista e sostituirlo con uno Stato operaio, il potere dei consigli operai (soviet), che espropri la classe sfruttatrice privandola del controllo che con i soldi, le connessioni e il controllo su mezzi di comunicazione di massa, istituzioni culturali e religiose ecc., esercita sulla società. La conquista del potere statale da parte del proletariato, la stragrande maggioranza della popolazione, è la premessa dell’abolizione della società divisa in classi e quindi dell’estinzione dello Stato stesso. Al fondo lo Stato si riduce a dei distaccamenti speciali di uomini armati (polizia ed esercito) che detengono il monopolio legale della violenza e lo esercitano per mantenere il dominio della classe capitalista sui lavoratori. La polizia, i corpi degli ufficiali e attualmente anche l’esercito sono forze volontarie arruolate a scopi repressivi e integralmente dedicate alla difesa dell’ordinamento borghese. Sono nemici mortali del movimento operaio, per questo noi ci opponiamo alla presenza di poliziotti, vigili e guardie private nei sindacati (dalla Cgil ai Cobas).
Al contrario, Sinistra critica e la sua tendenza internazionale non si fanno scrupoli ad offrirsi volontari per assumere la gestione diretta dello Stato borghese quando se ne offre l’opportunità. Il caso più eclatante è quello di Miguel Rossetto, un loro dirigente in Brasile, che è stato per cinque anni ministro dell’agricoltura nel governo capitalista brasiliano di Lula, avallando la repressione contro i contadini Sem Terra. In Francia, il leader della Lcr Olivier Besancenot ha dichiarato di essere disposto a partecipare ad un eventuale governo a condizione che sia “anticapitalista”. Nel suo manifesto elettorale, la Lcr dichiarava che “prenderà le sue responsabilità in un governo del genere”. Ma dato che la Lcr pensa che la rivoluzione proletaria oggi è utopica e superata e ha ufficialmente rinunciato alla dittatura del proletariato, il suo governo di “anticapitalista” avrebbe soltanto il nome.
Sinistra critica avanza l’appello ad una “costituente anticapitalista”, un movimento modellato sui Social forum, che esalta come “l’unico modo in cui un percorso di liberazione può ricominciare” (Manifesto programmatico). Come abbiamo spiegato in Spartaco n. 66 (“La truffa dei Social forum”): “i Social forum e il cosiddetto movimento ‘anticapitalista’ non costituiscono fondamentalmente nessuna minaccia per il dominio capitalista (...) sono stati disegnati su misura per i sentimenti di attivisti che ne hanno fin sopra i capelli della politica e dei partiti parlamentari, ma sono ugualmente dei fronti popolari che promuovono la leggenda che una “alleanza del popolo” con presunti capitalisti ‘progressisti’ può mettere fine alle devastazioni dell’imperialismo”. Tra gli sponsor ufficiali del Fsm ci sono il governo brasiliano, il Banco do Brasil e la più grande compagnia petrolifera del paese, la Petrobras, e non mancano nemmeno agenzie della Cia, come la Fondazione Rockefeller e la Fondazione Ford!
Il Pcl di Ferrando si presenta come “unica forza della sinistra italiana che si oppone al governo Prodi”, cercando di intercettare il malcontento tra gli operai e nella base di Rifondazione ed incanalarlo in un programma riformista. Per quindici anni dentro Rifondazione hanno appoggiato elettoralmente le coalizioni capitaliste di cui il Prc ha fatto parte (compreso il governo Prodi), proponendo, in “alternativa” l’appello a Rifondazione a separarsi dai Ds e a costruire un “polo di classe anticapitalista” con i Verdi (un partito borghese), il correntone Ds e il Pdci. La loro politica consiste nella ricerca di un blocco delle sinistre, un fronte popolare che amministri il capitalismo in nome di illusorie riforme strutturali: al congresso di fondazione del Pcl, Ferrando ha lanciato la sua “sfida” al Prc e alla “Sinistra Arcobaleno” a rompere col Pd e... lottare negli interessi dei lavoratori!
Il nucleo programmatico del Pcl è la richiesta di una “Svolta radicale nella politica economica”, un programma di redistribuzione dei redditi, che affida allo Stato capitalista il compito di difendere gli interessi dei lavoratori con:
“un forte aumento di salari e stipendi (...) l’abolizione di tutte le leggi di precarizzazione del lavoro (...) il ritorno ad una previdenza pubblica a ripartizione, che ripristini pensioni certe e adeguate per chi ha lavorato una vita (...) un forte aumento della spese sociali per la sanità pubblica, la scuola pubblica, l’università”. E come dovrebbe lo Stato capitalista realizzare questo riforme? Semplice, risponde il Pcl: “Si taglino le enormi spese militari (21 miliardi di euro annuali). Si ritirino le missioni coloniali e di guerra (che costano milioni di euro ogni giorno). Si tassino gli enormi profitti delle grandi imprese e delle grandi banche (oltre 40milardi netti nel solo 2005 per le prime 20 imprese). Si abbattano gli scandalosi stipendi di deputati e senatori (...) Si colpisca davvero l’evasione fiscale legale ed illegale dei grandi gruppi economici (decine di miliardi l’anno). Si nazionalizzino (senza indennizzo e sotto il controllo dei lavoratori) le aziende in crisi, le grandi imprese e le grandi banche” (Piattaforma del Pcl, 18 luglio 2007)
La richiesta di “ridurre” le spese militari significa accettare (limitandolo) il militarismo borghese e il suo budget e spaccia l’illusione che su una questione decisiva per la borghesia come il mantenimento di un esercito che ne difenda le posizioni sui mercati internazionali e contro gli operai all’interno, sia possibile riorientare le risorse del capitalismo senza una rivoluzione proletaria. E’ un tradimento dell’opposizione marxista di principio all’esercito borghese, che si esprime nello slogan di Karl Liebknecht: Né un uomo, né un soldo per l’esercito capitalista!
A differenza di Sinistra critica e Pcl che illudono gli operai che si possa ottenere una trasformazione sociale stabile in seno al capitalismo attraverso lo Stato borghese e una ridistribuzione dei redditi, noi marxisti sappiamo che alla base di povertà, crisi e guerre c’è il sistema di produzione capitalista e ci battiamo per legare le lotte attuali alla prospettiva della rivoluzione proletaria, senza la quale ogni temporanea conquista del proletariato e degli oppressi resta limitata e reversibile. Nelle attuali lotte difensive serve il Programma di transizione trotskista, volto a legare le lotte attuali del proletariato con la necessità di nuove rivoluzioni d’Ottobre. Bisogna rivendicare che siano garantiti gratis a tutti assistenza sociale e sanitaria di qualità, cure adeguate ai bambini e agli anziani. Che tutto il lavoro disponibile sia diviso tra tutta la manodopera esistente, senza riduzioni salariali e con una scala mobile delle ore di lavoro (ad esempio per una settimana di 30 ore pagate 40). Per consentire alle donne di lavorare effettivamente a tempo pieno servono degli asili gratuiti aperti 24 ore su 24. Le divisioni generazionali ed etniche e la precarietà devono essere combattute lottando per la sindacalizzazione di tutti i lavoratori in base al principio: uguale paga a uguale lavoro. E i soldi per pagare tutto questo? Non ci sono, dicono i Ds (o il Pd), bisogna che tirate un po’ la cinghia. Sì, ci sono, ribattono i riformisti di sinistra, da Rifondazione a Sinistra critica e al Pcl: basta far pagare più tasse ai capitalisti. Ma il capitalismo è assolutamente incapace di soddisfare i bisogni vitali degli operai e degli oppressi. La classe operaia, che produce la ricchezza della società capitalista e i profitti della borghesia, è l’unico soggetto che ha il potere sociale e l’interesse obiettivo di rovesciare il sistema capitalista ed abbatterne lo Stato, per gettare le basi materiali per sradicare la miseria e produrre per i bisogni dell’intera specie umana.
Noi siamo il partito della Rivoluzione russa!
Lo scorso 7 novembre è stato il novantesimo anniversario della Rivoluzione russa guidata dal partito bolscevico di Lenin e Trotsky. Nonostante la successiva degenerazione stalinista dello Stato operaio sovietico culminata nella sua distruzione controrivoluzionaria nel 1991-92 da parte delle forze di Boris Eltsin sostenute dall’imperialismo, la Rivoluzione d’Ottobre è stata la più importante conquista rivoluzionaria del proletariato internazionale. Come scrisse il fondatore del trotskismo americano James P. Cannon:
“La questione russa non è un esercizio letterario che si può intraprendere o lasciare da parte a seconda dello stato d’animo del momento. La questione russa è stata e resta la questione della rivoluzione. Il 7 novembre 1917 i bolscevichi russi hanno tolto una volta per tutte la questione della rivoluzione operaia dal regno dell’astrattezza e ne hanno fatta una realtà in carne ed ossa (...) La Rivoluzione d’Ottobre ha posto il socialismo all’ordine del giorno in tutto il mondo. Ha rivitalizzato e forgiato il movimento operaio rivoluzionario del mondo, strappandolo al caos sanguinoso della guerra. La Rivoluzione russa ha mostrato nella pratica, con l’esempio, in che modo si fa una rivoluzione operaia. Ha rivelato nella realtà il ruolo del partito. Ha mostrato nella realtà che genere di partito devono avere gli operai. Con la sua vittoria, e con la riorganizzazione del sistema sociale, la Rivoluzione russa ha provato per sempre la superiorità della proprietà nazionalizzata e dell’economia pianificata sulla proprietà privata capitalista, sulla concorrenza senza piano e sull’anarchia produttiva”.
La Rivoluzione russa dell’ottobre del 1917, concepita come il primo passo verso la realizzazione del socialismo su scala planetaria, creò una società in cui chi lavorava governava, attraverso organismi di potere proletario. Distrusse le bande di uomini armati della borghesia e basò il nuovo potere operaio su nuovi corpi di uomini armati il cui centro era l’Armata Rossa costruita ex novo da Trotsky a partire dal 1918. Alla dittatura di classe della minoranza borghese fu sostituita la dittatura di classe del proletariato sostenuta dai contadini: la stragrande maggioranza della popolazione. Per la prima volta furono garantiti pari diritti democratici alle donne gettando le basi materiali per la loro liberazione dalla schiavitù domestica. Fu garantita piena uguaglianza alle minoranze nazionali oppresse in quella “prigione di popoli” che era l’impero zarista, concedendo alle repubbliche il diritto di affiliarsi o non affiliarsi all’Unione, aprendo così la strada ad una coesistenza armoniosa tra i popoli.
La vittoria dell’Ottobre fu possibile solo grazie all’esistenza del partito bolscevico, un partito proletario d’avanguardia forgiato sulla base di un programma rivoluzionario. I riformisti dell’epoca, i menscevichi e i socialisti rivoluzionari, appoggiarono il Governo provvisorio capitalista di Kerensky, anch’esso un fronte popolare, in cui convivevano i partiti operai riformisti e il partito della borghesia (i cadetti). Come scrisse Trotsky, “Senza dubbio i bolscevichi presero parte ai soviet. Ma non fecero la minima concessione al fronte popolare. La loro rivendicazione era quella di rompere questo fronte popolare, di distruggere l’alleanza con i cadetti, e di creare un vero governo operaio e contadino” (La sezione olandese e l’Internazionale, luglio 1936). Sinistra critica e Pcl con la loro politica di appoggio “critico” ai fronti popolari, sono una caricatura dei menscevichi e dei socialisti rivoluzionari.
La pressione dell’accerchiamento imperialista, la devastazione della classe operaia russa nella Guerra civile e il lungo isolamento della Rivoluzione russa, in particolare dopo la sconfitta della rivoluzione in Germania nel 1923, dettero la possibilità ad uno strato burocratico capeggiato da Stalin di usurpare il potere politico con una controrivoluzione politica nel 1923-24. Contrariamente all’opportunismo nazionalista di Stalin, l’Opposizione di sinistra di Trotsky, fondata sulla base del programma del marxismo autentico che aveva animato la Rivoluzione bolscevica lottò per preservare ed estendere le conquiste della Rivoluzione russa.
Pur basandosi sulle forme di proprietà proletarie dello Stato operaio degenerato sovietico da cui traeva i suoi privilegi, in nome del “socialismo in un solo paese” e della “coesistenza pacifica con l’imperialismo”, la burocrazia stalinista minò le basi dello Stato operaio, sabotò la rivoluzione all’estero distruggendo il Comintern come strumento rivoluzionario e finì con lo svendere lo Stato operaio. La restaurazione del capitalismo nell’Europa orientale e nell’ex Unione Sovietica nel 1991-1992 è stata una sconfitta storica per il proletariato. La Lega comunista internazionale (quartinternazionalista), ha combattuto a fondo la controrivoluzione capitalista nell’ex Unione Sovietica così come negli Stati operai dell’Europa dell’Est. Ci siamo battuti per la difesa militare incondizionata dell’Urss e degli Stati operai deformati e per delle rivoluzioni politiche proletarie volte a cacciare gli usurpatori stalinisti. Nel 1979 abbiamo salutato l’intervento dell’Armata Rossa sovietica in Afghanistan contro i mujaheddin, i reazionari islamici sostenuti e armati dalla Cia e abbiamo fatto appello all’estensione delle conquiste della Rivoluzione d’Ottobre ai popoli afgani. Nel 1981 ci siamo opposti alla controrivoluzione di Solidarnosc in Polonia e nel 1989 abbiamo mobilitato tutte le nostre forze per lottare contro l’annessione capitalista della Ddr, cercando di guidare l’incipiente rivoluzione politica che si stava sviluppando in Germania Est nella prospettiva di una riunificazione rivoluzionaria delle due Germanie, con la cacciata della burocrazia stalinista e una rivoluzione socialista nella Germania occidentale. Come parte di questo intervento abbiamo lanciato un appello, poi raccolto dal partito stalinista al potere, ad una manifestazione di fronte unico contro una profanazione fascista del memoriale di guerra sovietico e in difesa dello Stato operaio della Ddr. Quella manifestazione raccolse 250 mila persone al parco di Treptow a Berlino Est il 3 gennaio 1990 mostrando graficamente la forza del nostro programma trotskista. Dopo la vittoria del Quarto Reich e la sconfitta del proletariato tedesco, abbiamo continuato la lotta in Unione Sovietica. Nel corso dell’ascesa di Eltsin, i nostri compagni distribuirono più di centomila volantini di un appello agli “Operai sovietici: schiacciare la controrivoluzione di Eltsin-Bush!” All’epoca solo il programma trotskista di rivoluzione politica avrebbe potuto impedire la controrivoluzione capitalista in Urss e Europa dell’Est. Oggi continuiamo a batterci per la difesa militare incondizionata degli stati operai deformati rimanenti (Cina, Corea del Nord, Vietnam e Cuba), contro l’imperialismo e la controrivoluzione e per una rivoluzione politica proletaria che cacci la burocrazia stalinista.
Pcl e Sinistra critica oggi si lamentano degli attacchi allo Stato sociale, ma quando hanno sostenuto le forze controrivoluzionarie in Europa dell’Est e in Unione Sovietica in nome del “pluralismo politico”, della “totale libertà d’espressione” (numero speciale sull’Urss di Inprecor agosto 1991) hanno dato il loro contributo, per quanto modesto, alla distruzione dell’Urss e agli attuali attacchi alle conquiste operaie. La Lcr, Falcemartello e gli attuali dirigenti del Pcl e del Pdac, appoggiarono la controrivoluzione di Solidarnosc in Polonia, il “sindacato” giallo del Vaticano e della Cia. I precursori di Sinistra Critica e Falcemartello appoggiarono apertamente Eltsin “contro la dittatura stalinista” nel suo controgolpe sostenuto dagli imperialisti nell’agosto del 1991.
La controrivoluzione capitalista nell’Urss ha provocato una grande regressione nella coscienza dei lavoratori più avanzati. La borghesia si è lanciata nel più sfrenato trionfalismo per la “morte del comunismo”, un trionfalismo che serve solo a celare la consapevolezza che il comunismo resta all’ordine del giorno. Ma se i capitalisti investono risorse enormi per convincere gli operai che è impossibile superare i confini del sistema di produzione capitalista, il compito dei comunisti è quello di dimostrare sistematicamente, in tutte le lotti sociali ed economiche, la necessità ineluttabile di rovesciare il capitalismo e il suo Stato, per poter realizzare i bisogni più pressanti e fondamentali delle masse lavoratrici. Il fine della Lega comunista internazionale è la rivoluzione socialista. Per questo obiettivo la Lci e la sua sezione italiana si sforzano di costruire un partito operaio rivoluzionario multietnico, che sarà tribuno di tutti gli oppressi. Il suo compito è di portare il programma rivoluzionario alla classe operaia, trascenderne l’arretratezza e i pregiudizi, combattere il riformismo e i programmi piccolo-borghesi che subordinano il proletariato alla borghesia. Unitevi a noi nella lotta per nuove rivoluzioni d’Ottobre.
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